ETICA e COMPLESSITÁ: tra ritrovata centralità e ricerca di un dialogo

Al di là delle questioni riguardanti, da una parte, la politica, la società civile e  la sfera pubblica (corruzione, legalità, familismo amorale, cultura della furbizia, irresponsabilità, trasparenza, etica pubblica etc.) e, dall’altra, le importanti scoperte scientifiche tradotte in innovazione tecnologica, la riflessione sull’etica – molto “parlata”, promossa e discussa, non solo a livello mediatico, poco praticata (coerenza dei comportamenti e questione culturale)  – sembra essere tornata di attualità ed essersi riproposta, oltre che come una delle questioni sociali e politiche centrali (per non dire, forse, quella più importante per le ricadute e le implicazioni), anche come “oggetto di studio” (e si spera anche di ricerca) non soltanto per le diverse discipline umanistiche, ma anche – ed è questa forse la novità, soprattutto per come ciò è avvenuto – di quelle scientifiche. Una ritrovata centralità che affonda senza dubbio le sue radici nell’avvento della Modernità[1] – e del progetto illuminista che ne ha costituito il sostrato etico e culturale – una fase storica di mutamento globale dei sistemi e dei processi culturali e produttivi che, pur nella sua complessità e ambivalenza, presenta a mio avviso già i “germi” di quella che, successivamente, sarà chiamata società della conoscenza (2003). Un’epoca caratterizzata dalla crisi delle ideologie, dal crollo di tutte le utopie che si erano poste come obiettivi fondamentali la creazione di un’umanità nuova, di un individuo “perfetto”, autonomo e consapevole fino in fondo, ma anche di una società ideale fondata su scienza e tecnica, e sui valori di ragione e progresso; ma, soprattutto, un’epoca segnata dalla decostruzione, dalla critica radicale (operata da tutto il pensiero di fine Ottocento – inizio Novecento) e dalla confutazione di tutti i dogmi, compresi quelli della scienza, fino ad allora accettati tout court e (quasi) mai messi in discussione.

Il pensiero moderno e contemporaneo sembra affondare le sue radici proprio nella presa di coscienza della debolezza dei tradizionali sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo; nella consapevolezza che non esistono più conoscenze indiscutibilmente esatte, culture egemoni e/o predominanti, valori assoluti, verità incontrovertibili bensì, conoscenze probabilisticamente e statisticamente attendibili (valide), valori relativi, spiegazioni ed analisi della complessità molteplici. Peraltro, tali dinamiche vengono accelerate proprio grazie al contributo determinante della cd. scienze  esatte che forniscono linfa vitale a tutti i saperi nel loro percorso di autocritica e ridefinizione dei confini disciplinari e del metodo empirico. Si tratta fondamentalmente di una crisi della razionalità occidentale e dei modelli di società da essa prodotti. D’altra parte, la scienza servendosi della tecnica, suo “braccio armato”, ha spalancato di fronte all’umanità orizzonti impensabili e inimmaginabili nella prassi dell’agire individuale e collettivo. Da tale divaricazione sono sorte nuove istanze etiche e morali, nuove problematiche che mettono in grave difficoltà la decisione individuale e/o politica: di fronte a tale (iper)complessità, come e dove si collocano le scienze sociali ? Come si devono porre nei confronti dei problemi etici e/o morali, della questione cruciale dei “valori” che orientano il comportamento individuale (e collettivo) e che, inevitabilmente, hanno ripercussioni sociali difficilmente quantificabili o valutabili empiricamente (si pensi alla tema dell’etica pubblica…post in preparazione)? Anche perché, l’etica e le scienze sociali un tempo si frequentavano (basti pensare ai grandi classici di area sociologica, politologica ed economica), poi l’obiettivo cruciale di presentarsi/accreditarsi – e, soprattutto, essere percepite e riconosciute – come scienze ha creato una distanza che tuttora fatica ad assottigliarsi; e questo, anche paradossalmente,  dal momento che, da tempo, proprio le scienze “esatte” stanno sempre più progressivamente prendendo coscienza del sostrato etico su cui si fondano. A tal proposito, ribadiamo l’assoluta urgenza di superare distinzioni come questa, che hanno soltanto prodotto danni e rallentato il cammino, anche sociale, di produzione e distribuzione della conoscenza (inclusione sociale).  In altre parole, occorre riprendere un dialogo complesso ma possibile, anzi, auspicabile soprattutto se si considera la rilevanza delle dimensioni del rischio/incertezza e della vulnerabilità all’interno dei sistemi e delle organizzazioni. Max Weber, consapevole dell’impossibilità di una conoscenza realmente avalutativa,  ha evidenziato come proprio il mutamento etico, più che quello tecnologico, determini/inneschi quello sociale (come sottolineato più volte, le cause dei fenomeni sono sempre molteplici e occorre evitare spiegazioni riduzionistiche e deterministiche); lo stesso Émile Durkheim ha  evidenziato magistralmente come sia sempre una base di tipo morale a rendere possibili  l’integrazione e la coesione di un sistema sociale, anche il più complesso.D’altronde, seppur con prospettive differenti, gran parte della letteratura scientifica non soltanto sociologica – nell’analisi dell’individuo e nello studio delle motivazioni più profonde che lo spingono all’azione – converge inequivocabilmente sulla questione cruciale dell’etica e dei valori condivisi.

I principi etici (e/o morali), i valori, all’interno delle società umane (ma il discorso vale anche per le organizzazioni, che lavorano tanto sulla definizione di una cultura organizzativa proprio per questi stessi motivi), svolgono in primo luogo la fondamentale funzione di garantire il consenso (che si traduce spesso in conformismo), assicurando la prevedibilità dei comportamenti, oltre che la formazione, il rafforzamento e la condivisione di una visione del mondo comune e condivisa. Tuttavia, la cultura (e i modelli culturali), pur svolgendo la funzione essenziale di attribuire senso e significato alla realtà, rendendola – come detto – interpretabile e apparentemente prevedibile, talvolta perfino rassicurante, conserva al suo interno anche gli elementi della sua contraddizione (qualcuno avrebbe parlato  di “germi”), che consentono agli attori sociali di metterla in discussione, fino a negarla e a negarne forme e oggettivazioni. E, quindi, questi stessi valori/principi, non appartengono ad una sfera che potremmo definire metafisica ma anzi, al contrario, sono strettamente connessi ad un complesso processo di acquisizione intersoggettiva legato, a sua volta, all’esistenza concreta e pratica degli individui (storicamente determinata), al gruppo di riferimento e alla loro comunità di appartenenza, nei confronti della quale dovrebbero essere responsabili, cioè rispondere delle proprie azioni. Dunque, è possibile studiare l’etica partendo dai presupposti propri delle scienze sociali ? Noi siamo evidentemente convinti di sì, proprio per il legame indissolubile esistente tra quegli stessi principi etici (e morali) e i contesti storico-sociali nei quali nascono, vengono elaborati e si diffondono, fino a cristallizzarsi nelle norme giuridiche; che, ricordiamolo, rappresentano anch’esse una risposta di tipo culturale a istanze e problematiche socioculturali da cui scaturiscono le forme di conflittualità, proprie della società ipercomplessa (2003-5).La ricerca sull’etica e i valori sociali e, su un altro piano, la ricerca di un’etica condivisa rappresentano forse le risposte più significative alla nuova complessità sociale, sempre più sfuggente e ambigua.

P.S. Spero davvero possa interessarvi: con Fuori dal Prisma ho deciso di provare a riflettere insieme (anche) su questi temi che sembrano più per “addetti ai lavori” ma, a mio avviso, non è così! O meglio, dobbiamo fare uno sforzo perché non sia così….bisogna allargare le maglie, includere, coinvolgere, anche rischiando qualcosa. Vi ringrazio per il tempo e la pazienza

P.S. Condividete pure e riutilizzate i contenuti (è la ricchezza della Rete) ma citate le fonti. Grazie e buona lettura a tutt*


[1] Nella sterminata letteratura sulla modernità, e sulle molteplici dimensioni che la costituiscono, mi limito a segnalare: J.Habermas (1985), Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwölf  Vorlesungen, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, trad.it. Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari 1987; M.Berman (1982), All that is Solid Melts into Air. The Experience of Modernity, Simon and Schuster, New York, trad.it. L’esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna 1985; Z.Bauman (2000), Liquid Modernity, Polity Press Blackwell Publishers Ltd., Oxford, trad.it. Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.