La civiltà digitale tra libertà e sorveglianza: attraversamenti e percorsi nella ipercomplessità (2003)

«…la società può essere compresa soltanto attraverso lo studio dei messaggi e dei mezzi di comunicazione relativi ad essi; e nello sviluppo futuro di questi messaggi e mezzi di comunicazione, i messaggi fra l’uomo e le macchine, fra le macchine e l’uomo, e fra macchine e macchine sono destinati ad avere una parte sempre più importante»

Norbert Wiener

 

«La tecnologia ci dice come fare certe operazioni. È muta davanti al perché»

Franco Ferrarotti

 

Il processo di globalizzazione – esito radicale e mondializzato dei processi contraddittori, e talvolta ambigui, della “prima modernità” – ha reso ancor più evidente, tra i tanti aspetti, proprio la trasformazione delle modalità della prassi dell’agire umano[1].

In particolare, la cosiddetta società dell’informazione e della conoscenza ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità, favorito certamente dalle grandi innovazioni tecnologiche che hanno determinato la nascita di un sistema globale della comunicazione, ma anche da un diffuso clima di fiducia nella nuova utopia della società della conoscenza. Una nuova utopia che si fonda sulla convinzione che lo sviluppo del sistema dell’informazione e delle capacità comunicative rappresenti il prerequisito fondamentale per risolvere, all’interno dei sistemi sociali, sia le questioni dell’integrazione e del controllo sociale – la cui esigenza rende, peraltro, necessaria e “inevitabile” quella burocrazia analizzata da Max Weber in Economia e società[2] – che il problema dell’anomia (Durkheim).

Le nuove potenzialità di azione e trasformazione della realtà, introdotte nella prassi globale dall’avvento delle nuove tecnologie della connessione, hanno segnato così anche la definitiva affermazione del modello di globalizzazione occidentale che, per come si sta configurando, è destinato a creare nuove disuguaglianze e conflitti: anche se la stessa globalizzazione può senz’altro rivelarsi un’opportunità fondamentale anche per i paesi meno sviluppati, a patto che dietro ci sia un progetto forte transnazionale che veda coinvolti tutti i vecchi Stati-nazione.

La dimensione fondamentale della politica – come scritto anche in passato – risulta sempre più marginale, in una realtà globale sempre più plasmata dalla liberalizzazione dei mercati e di tutti i flussi informativi, che rende ancora più urgente una riflessione approfondita anche sul ruolo e sull’importanza di avere “istituzioni globali” realmente funzionanti e operative, in grado di governare i processi di cui si discute. Oltretutto, l’avvento della Information society porta con sé la nascita di un nuovo Soggetto, protagonista della modernità radicale, che potremmo definire, anche suggestivamente, «individuo multimediale»[3]. Un Soggetto – per alcuni un nuovo individuo sovrano[4] – che potrà utilizzare sempre più le tecnologie informatiche e i dati condivisi, non soltanto per acquisire e utilizzare informazioni di ogni genere in maniera sempre più autonoma e, si spera, consapevole, ma anche per produrre egli stesso informazioni e conoscenze (ribadisco sempre digital divide e, soprattutto, cultural divide permettendo). Allo stesso tempo, esiste il rischio che questo nuovo individuo multimediale possa rivelarsi in futuro una sorta di “atomo sociale”, esperto della nuova prassi tecnologica, ma sempre più (auto)escluso dalla vita collettiva e dalle interazioni sociali non mediate. Ciò potrebbe, peraltro, comportare – non tutti ne sono convinti però – un ulteriore indebolimento del tessuto sociale e della stessa società civile[5], variabile decisiva per la vita dei sistemi democratici.

L’economia della condivisione e della conoscenza rappresenta una straordinaria “risorsa” (opportunità) che – occorre ribadirlo – non può e non deve rimanere una “risorsa per pochi” (inclusione, asimmetrie, competenze), altrimenti la spaccatura tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi, tra coloro che hanno accesso alle ricorse e coloro che non hanno accesso, tra coloro che detengono il sapere e le competenze e coloro che non li possiedono, sarà definitiva e insanabile: in gioco cittadinanza e democrazia (come abbiamo detto più volte, categorie da ripensare). Il sistema-mondo rischia seriamente di rivelarsi sempre di più come una grande rete globale, costituita da metropoli ipertecnologiche connesse tra loro, ai cui confini premono le nuove masse povere costituite da coloro che non hanno accesso e non sono dentro il nuovo ecosistema globale. A tal proposito, di fondamentale importanza – evidentemente, una volta garantita una sopravvivenza dignitosa e rese disponibili le infrastrutture – saranno anche le politiche di alfabetizzazione agli strumenti della rivoluzione digitale e di formazione delle nuove figure professionali. Occorre elaborare strategie politiche internazionali all’altezza dell’ennesima grande rivoluzione industriale della storia umana: una transizione, che, a differenza delle altre, per la rapidità e la complessità dei mutamenti innescati, è senza precedenti nel cammino evolutivo dei sistemi sociali. Una transizione globale che, oltre ad accrescere in maniera esponenziale le possibilità conoscitive e comunicative, annullando la barriera dello spazio-tempo, ne ha messo in discussione i sistemi valoriali, l’identità e le appartenenze: si vanno affermando così nuove dinamiche, nuove reti di interazione sociale che ridisegnano completamente i confini tra spazio pubblico e spazio privato[6], i rapporti col potere e la fruizione estetica.

La rivoluzione tecnologica, da cui è scaturito l’avvento della società interconnessa, ha creato le condizioni – per ora, aggiungiamo noi, soprattutto nel “mondo sviluppato” – per una crescente integrazione tra intelligenze e macchine, ma, soprattutto, per una crescente interdipendenza tra le parti che compongono il sistema-mondo. Allo stesso tempo, la natura dei media interattivi e del nuovo ecosistema costringe i sistemi sociali, insieme ai processi produttivi, distributivi, politici e culturali che li caratterizzano, a strutturarsi secondo una logica a rete che mette in crisi vecchie gerarchie e processi decisionali; ma soprattutto, evidenzia anomalie e debolezze dei tradizionali modelli interpretativi, in precedenza capaci di rendere relativamente prevedibile la vita sociale e organizzativa. Il problema è che, almeno per ora, non abbiamo definito modelli alternativi (l’urgenza del cambio di paradigma), pur avendo affinato gli strumenti di rilevazione. Ma sia le criticità (controllo, sorveglianza totale, asimmetrie, analfabetismo funzionale etc.) che le resistenze al cambiamento sono molte e continueranno ad esserlo se, oltre a non puntare con decisione su educazione e formazione, non ci si prenderà cura del tessuto connettivo dei diritti umani e di cittadinanza, gravemente lesionato in questi anni. Ed è proprio la logica interattiva insita nel modello stesso della Grande Rete, che si fonda sulla comunicazione e sulla condivisione di tutte le risorse (1996), quell’elemento che potrebbe favorire l’evoluzione dei moderni sistemi sociali verso modelli di società sempre più aperte e democratiche, oltre che fornire le basi per un progetto forte (transnazionale) di globalizzazione etica. Il controllo delle complesse dinamiche del capitalismo mondiale e del progresso tecnologico è una questione di gestione della conoscenza (complessità), ma anche, evidentemente, di gestione delle informazioni e dei dati, e richiede appunto “sapere condiviso” (2003) e cultura della conoscenza (collettivamente e socialmente costruita): un bene inestimabile ed inesauribile che tutti noi, nei limiti delle nostre possibilità e dei ruoli che ricopriamo, abbiamo il dovere di alimentare e diffondere, a maggior ragione in un’epoca che sta mettendo a dura prova la prospettiva fondamentale di un nuovo Umanesimo e lo stesso concetto di dignità umana. Siamo ben al di là delle questioni riguardanti la nuova utopia della società della conoscenza e le narrazioni che accompagnano la civiltà digitale.

Il cyberspazio globale e la Società Interconnessa (2014) costituiscono un macro-tessuto nervoso strutturato come una rete, formato da comunità virtuali[7] – in molti casi, si tratta di comunità e di reti chiuse – che, almeno potenzialmente, sembrano in grado di ricreare alcune condizioni del vivere comunitario, riproponendo una ben nota dicotomia formulata dal sociologo tedesco Ferdinand Tönnies che, già più di un secolo fa, utilizzava le categorie concettuali «forti» – o per meglio dire gli «idealtipi» – di “comunità” (Gemeinschaft) e “società” (Gesellschaft)[8], per indicare una fondamentale, e per molti versi critica, fase di passaggio da una forma associativa – la comunità – basata su relazioni naturali ed emotive, oltre che su una forte volontà comune, ad un’altra – la società (borghese, industriale, capitalistica) – fondata su rapporti contrattuali e, soprattutto, su valori individualistici ed utilitaristici.

La condivisione delle risorse conoscitive e delle competenze, unita ad adeguate (e complesse) politiche di scolarizzazione e formazione a più livelli, rappresenta una strada che non è più possibile non percorrere: la tecnica ci ha messo in condizione di trasformare la realtà, e non soltanto di adattarci ad essa. L’innovazione tecnologica è variabile determinante per l’evoluzione dei sistemi sociali e delle organizzazioni, ma da sola non è sufficiente. Ancora una volta, servono cultura, conoscenza condivisa e formazione per far metabolizzare ai sistemi il cambiamento (1998) e gestire efficacemente le fasi di mancanza di controllo associate alle accelerazioni dettate dalla tecnologia – che, lo ricordo, è sempre un prodotto della cultura e non un qualcosa di “esterno”. Ma educazione, cultura, conoscenza condivisa e formazione servono anche (e molto) per allargare la piattaforma dei diritti e delle libertà (nella responsabilità), accrescendo la consapevolezza che per essere cittadini e non “sudditi”, non è più sufficiente essere informati (che, in ogni caso, già sarebbe un buon punto di partenza). La civiltà digitale della trasparenza e della sorveglianza totale ci fa sentire più sicuri e (forse) connessi agli altri ma, allo stesso tempo, mette in discussione identità e diritti fondamentali. Dobbiamo ancora capire come abitare e interagire dentro il nuovo ecosistema, gestendo le dinamiche…per non essere gestiti.

[1] Già nel 1996 avevo parlato di trasformazione antropologica e di nuovo ecosistema.

[2] Cfr. M.Weber (1922).

[3] Cfr. su questa definizione P.Dominici (1998).

[4] Cfr. J.D. Davidson, W.Rees-Mogg, The Sovereign Individual, Simon and Shuster, New York 1997.

[5] Cfr. sul concetto di “società civile” l’opera del moralista scozzese A.Ferguson (1767), An Essay on the History of Civil Society, trad.it., Saggio sulla storia della società civile, Vallecchi, Firenze 1973. Ferguson analizza il processo di evoluzione delle società umane e individua nella nascita della proprietà privata e dell’interesse privato i fattori che determinano l’avvento della società civile. I sistemi sociali si sono evoluti anche grazie allo sviluppo della divisione del lavoro che però ha causato anche alienazione e indebolimento del senso della comunità. Con grande anticipo, Ferguson intuisce che le società umane potranno evitare il probabile declino soltanto ritornando al modello della comunità, basato sulla partecipazione attiva e consapevole degli individui che la compongono alla vita politica comune. L’uomo, secondo Ferguson, è l’unico artefice della realtà in cui vive e qualsiasi situazione sociale scaturisce dalla sua attività. La stessa società è opera dell’uomo. Le idee di Ferguson, come si potrà intuire, hanno molto influenzato anche lo stesso Karl Marx.

[6] Cfr. J.Meyrowitz (1986), No Sense of Place: The Impact of Electronic Media on Social Behavior, trad.it. Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna 1993, saggio nel quale l’Autore, riconoscendo ai media e, in particolare, ai media elettronici il potere di influenzare il comportamento sociale, sostiene che tale potere non deriva dalla natura dei messaggi da essi veicolati, bensì dalla nuova configurazione e organizzazione degli “ambienti sociali” che determinano e in cui si sviluppano le reti di interazione sociale. Il rapporto tra “luogo fisico” e “luogo sociale” si è fortemente indebolito, in conseguenza del fatto che i nuovi mezzi di comunicazione  hanno fatto perdere agli individui il vecchio “senso del luogo”, annullando qualsiasi confine tra sfera “pubblica” e “privata” e trasformando perfino i concetti stessi di “identità” e di “comportamento sociale”. Meyrowitz, coniugando le teorie di Goffman e McLuhan parla di una “sovrapposizione delle sfere di socializzazione” causata dal processo di ristrutturazione dei palcoscenici sociali sui quali interpretiamo i nostri molteplici ruoli. In altri termini, i media elettronici – trasformando il significato del tempo e dello spazio nelle interazioni sociali – hanno modificato in profondità la “geografia situazionale della vita sociale”, configurandosi come veri e propri “ambienti culturali”. Il sistema dei media tende sempre più ad annullare le differenze esistenti tra i “mondi di esperienza” dei singoli attori sociali, prefigurando addirittura un nuovo ordine sociale. Su questi argomenti si vedano gli importanti lavori di E.Goffman (1959), The Presentation of Self in Everyday Life, trad.it. La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1969 e di M.McLuhan (1964), Understanding Media: The Extensions of Man, trad.it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967.

[7] Cfr.H.Rheingold (1993), The Virtual Community, trad.it. Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano 1994.

[8] Cfr. F.Tönnies (1887), Gemeinschaft und Gesellschaft, Leipzig, O.R.Reislad; trad.it., Comunità e società, Comunità, Milano 1963; quest’opera rappresenta un “classico” della letteratura sociologica in cui si affronta il tema del passaggio dalle società semplici a quelle complesse: la “comunità” si fonda sul vincolo naturale che spinge gli uomini ad unirsi dando vita a rapporti naturali, su una volontà organica comune, su codici comunicativi e costumi condivisi e, soprattutto, sul predominio degli interessi collettivi su quelli individuali. La “società”, originata da una volontà arbitraria è, al contrario, innervata da relazioni “artificiali” sempre finalizzate al raggiungimento di un “utile” e strutturate sulla base di  rapporti contrattuali.

 

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immagine: opera di Vasilij Kandinskij