Dentro la società interconnessa: rischi e opportunità della nuova complessità sociale

Razionalità (sempre più) limitata e vulnerabilità dominano i sistemi sociali e le organizzazioni complesse, che si mostrano sempre più caotici e disordinati, segnati da profonde contraddizioni e da un’ambivalenza dei processi produttivi, economici e culturali. Questa ulteriore fase di mutamento, legata all’avvento dell’economia interconnessa, pone alla nostra attenzione alcune questioni anche in materia di cittadinanza. In discussione, ci sono nuove opportunità di emancipazione offerte dalla conoscenza diffusa che alimenta le reti di protezione e promozione sociale: si intensificano i legami di interdipendenza e di interconnessione, anche se alcuni osservatori continuano ad ipotizzare la possibile fine del legame sociale. Il vecchio modello industriale costituito da assetti consolidati, gerarchie, logiche di controllo e di chiusura al cambiamento sta per essere scardinato dal nuovo ecosistema della conoscenza. Viviamo, d’altra parte, in un’epoca sempre più segnata dalla frantumazione dei sistemi di appartenenza e credenza – veri e propri produttori di identità individuali e collettive – e  dalla conseguente affermazione di valori individualistici e utilitaristici. Una sorta di “tirannia dell’individuo” (Todorov) che si presenta come vera e propria forza centrifuga in grado di corrodere i legami dei sistemi sociali, testandone costantemente la resilienza. Un processo di progressivo indebolimento e sfaldatura che trova ulteriori conferme nel diffuso deficit di partecipazione sociale e politica a sua volta alimentato da un clima di sfiducia generale nei confronti di tutte le istituzioni (formali e informali), in passato uniche responsabili della trasmissione dei sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo. L’individualismo dominante nei nostri sistemi sociali è l’esito, per certi versi inevitabile, del processo/progetto di emancipazione portato avanti nel corso della modernità. Un processo di emancipazione delle masse, prima, del Soggetto, poi, che se, da un lato, ha accresciuto gli spazi di libertà e ha portato al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali (almeno in linea teorica), dall’altro ha contribuito ad indebolire i vincoli e i legami di appartenenza alla Comunità. Il trionfo di un Soggetto, non soltanto libero di ma anche libero da, ha determinato, paradossalmente, in un’epoca che sembra segnata da maggiori opportunità di emancipazione e potenzialità comunicative – anche se si fa spesso confusione tra comunicazione e connessione – uno scollamento del tessuto sociale, costituito da persone sempre più “isolate” nell’affrontare tale complessità. Quella contemporanea è un’epoca in cui i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione (vedi anche concetto di capitale sociale) – struttura portante, insieme ai rapporti economici e di potere – sono stati messi a dura prova anche da processi di precarizzazione che hanno reso l’instabilità condizione esistenziale. L’ipotesi di fondo, su cui vogliamo provare a ragionare, è la seguente: al di là della profonda crisi economica (che non ha radici esclusivamente economiche, anzi!), la fase che stiamo vivendo è particolarmente drammatica soprattutto perché le persone avvertono chiaramente questo rischio di “fine del legame sociale” che, paradossalmente, si manifesta proprio nella cosiddetta “società della comunicazione” dov’è, molto semplicemente, “impossibile non comunicare”(?).

In questo scenario così complesso, incerto e articolato, la comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza, e le nuove forme di produzione sociale sembrano poter essere in grado di determinare nuove opportunità di inclusione e cittadinanza, facendo riguadagnare una certa autonomia alla sfera pubblica rispetto alla politica. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e piena di ostacoli, al di là della ben note questioni del digital divide, dell’alfabetizzazione e delle competenze comunicative e socioculturali necessarie.

Perché a fare la differenza, anche nel mondo on line – che non va pensato come un mondo “altro” – saranno sempre i contenuti e gli utilizzi degli strumenti comunicativi, oltre alla gestione consapevole dei processi. Come abbiamo avuto modo di scrivere più volte, nella società ipercomplessa (Dominici, 2003, 2005 e 2011), la comunicazione ha assunto definitivamente una centralità strategica in tutte le sfere della prassi, a tal punto che «considerando fondata l’equazione conoscenza = potere, ne consegue che tutti i processi, le dinamiche e gli strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza non potranno che determinare una condivisione del potere o, comunque, una riconfigurazione dei sistemi di potere. La comunicazione, dunque, costituisce il pre-requisito fondamentale per la riduzione della complessità, la gestione del rischio, la mediazione dei conflitti, il governo di quella imprevedibilità connaturata ai sistemi stessi».

La sfida, non soltanto conoscitiva, a questo tipo di complessità va portata uscendo dalle vecchie “torri d’avorio” e abbandonando gli altrettanto vecchi paradigmi del determinismo monocausale per abbracciare definitivamente, e con coraggio, una prospettiva sistemica della e sulla complessità (Dominici, 1995 e sgg.).

Perché la complessità è un “dato di fatto”! Non si tratta di essere – come sempre accade in questi casi – pro o contro…E dobbiamo lavorare molto a livello culturale (a partire da istruzione e formazione) e, nello specifico, di cultura della comunicazione (condivisione, accesso, trasparenza, semplificazione —cittadinanza—democrazia), affinché tale complessità si configuri e costituisca (concretamente) una opportunità; ancor di più in una fase delicata come quella attuale, in cui c’è anche chi tenta di farne un “uso” strumentale allo scopo di ostacolare e rendere inefficace il cambiamento (dal basso).Il rischio è anche quello di pensare che l’innovazione tecnologica (senza cultura) possa risolvere ogni problema: in questo caso “il
mondo nella rete
” costituirebbe un’opportunità/risorsa solo per le élites (ancora una volta, la scuola è strategica), con effetti di riproduzione delle disuguaglianze conoscitive e culturali (asimmetrie).

Consapevoli della ben nota impossibilità di una conoscenza realmente avalutativa, cercheremo di osservare e provare a comprendere questa (iper)complessità con uno sguardo critico e, talvolta, con disincanto…FUORI DAL PRISMA!

Vi ringrazio per il tempo dedicato e Vi auguro buona/e riflessione/i.

N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.

I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.

Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.

Un approccio e percorsi di ricerca dal’95

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