Un “pillola”, un “assaggio” del libro (Peer Reviewed) che spero possa interessarvi.
Prima di tutto, dobbiamo partire da un assunto “forte”, necessario per la nostra analisi e per l’approccio che intendiamo sviluppare, che abbiamo provato a sintetizzare nel titolo di questo capitolo: comunicazione è complessità. Ma che significa complessità? Che significa osservare e tentare di comprendere un processo complesso? Perché la comunicazione è un processo complesso? Queste sono alcune delle domande cui proveremo a rispondere nel corso della nostra analisi, partendo da questa definizione (2005): la comunicazione è processo sociale di condivisione della conoscenza (potere) in cui sono coinvolti – sotto molteplici aspetti e con numerose variabili intervenienti – attori sociali (con i loro profili psicologici e i loro sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo), gruppi, comunità, vissuti, situazioni, contesti, mezzi di comunicazione, ecosistemi etc. che stabiliscono tipi e modalità di relazione non riconducibili al famoso principio di causalità. Tipi e modalità di interazione che risultano essere sempre sistemici e con un coefficiente di imprevedibilità significativo, al di là del modello culturale dominante (che è appunto funzionale alla coesione sociale ed alla creazione di condizioni di prevedibilità).
E la complessità di un “oggetto”, di un processo, di un’organizzazione, di un sistema è legata alla presenza di molteplici variabili che, come accennato, ne rendono difficile l’osservazione e, fatto ancor più significativo, considerato che parliamo di conoscenza scientifica, la replicabilità.
Nel nostro caso, possiamo definire la comunicazione anche come un’interazione sociale caratterizzata da un sistema di relazioni nel quale azione e retroazione (feedback) presentano un carattere probabilistico, con relativa difficoltà di individuare “regolarità” e fare “previsioni”. Pertanto, essendo un processo complesso, le cui dinamiche non seguono il principio di causalità, contrariamente ai luoghi comuni (non solo mediatici) ed a certi pregiudizi di matrice anche accademica, analizzare scientificamente – o quanto meno con rigore metodologico – la comunicazione è estremamente complicato e richiede competenze e un approccio multidisciplinare. Spesso, al contrario, all’insegna di frasi fatte e luoghi comuni (tutto è comunicazione, la frase più inflazionata), l’oggetto comunicazione ci viene restituito come semplice, banale, facilmente intuibile; un oggetto di studio che non richiede neanche particolari conoscenze e/o competenze (stesso discorso potrebbe esser fatto per i pregiudizi che circondano la figura del comunicatore e il suo profilo professionale).
L’analisi della comunicazione e dell’attuale ecosistema si rivela, conseguentemente, una sfida alla complessità, nella complessità: «La complessità è davvero una sfida. È una sfida ambivalente, con due facce come Giano. Da una parte è l’irruzione dell’incertezza irriducibile nelle nostre conoscenze, è lo sgretolarsi dei miti della certezza, della completezza, dell’esaustività, dell’onniscienza che per secoli – quali comete – hanno indicato e regolato il cammino e gli scopi della scienza moderna. Ma d’altra parte non è soltanto l’indicazione di un ordine che viene meno; è anche e soprattutto l’esigenza e l’ineludibilità di un “approfondimento dell’avventura della conoscenza”, di una “trasformazione dei giudizi di valore che operano nella selezione delle questioni legittime e dei problemi che è interessante porre, perfino di una nuova concezione del sapere”, di un cambiamento estetico, di un “dialogo fra le nostre menti e ciò che esse hanno prodotto sotto forma di idee e di sistemi di idee”. In questo senso il delinearsi di un universo incerto non è tanto il sintomo di una scienza in crisi, ma anche e soprattutto l’indicazione di un approfondimento del nostro dialogo con l’universo, l’indicazione della forza dei nuovi modelli elaborati dalle nostre scienze nel tentativo di tenere conto del massimo di certezze e di incertezze per affrontare ciò che è incerto»[1]. Lo studio e la ricerca sulla comunicazione richiedono pertanto un cambiamento di prospettiva che l’approccio alla complessità sembra in grado di garantire, dal momento che, ci richiede «di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici. È la tensione verso il sapere totale, e nello stesso tempo, la coscienza antagonista del fatto che, come ha detto Adorno, “la totalità è la non verità”. La totalità è nello stesso tempo verità e non verità, e la complessità sta proprio in questo: nella congiunzione di concetti che si combattono reciprocamente»[2].
Mantenendo fermo il nostro presupposto (la comunicazione è processo sociale di condivisione della conoscenza=potere), è quanto mai opportuno chiarire che analizzare la comunicazione è ben diverso dall’analizzare i mezzi di comunicazione: significa – tornando a quanto detto inizialmente – individuare e definire le molteplici variabili che svolgono un ruolo decisivo in un processo complesso, dinamico, condizionato da molteplici livelli di analisi e di ambiguità; un processo in cui occorre porre l’attenzione sul sistema delle relazioni, sulla loro qualità, sui rapporti di potere che ne scaturiscono, nel quadro di un’ecologia della comunicazione estremamente complicata. La categoria concettuale di “ecosistema” diventa centrale, ancor di più perché i media digitali e i social network segnano un salto di qualità senza precedenti: da capire fino in fondo se questo salto di qualità sia in termini di connessione (fatto innegabile) o di comunicazione (diverse le criticità in proposito). Anche e soprattutto per queste motivazioni, abbiamo scelto la definizione di “tecnologie della connessione”, proprio a voler sottolineare l’importanza cruciale del fattore umano e delle relazioni sociali all’interno dei processi comunicativi.
[1] G.Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Bruno Mondadori, Milano 2007, p. XXIII-XXIV.
[2] E.Morin, Le vie della complessità, in G.Bocchi, M. Ceruti (a cura di), op.cit., p.35.
NB: Copiare è reato ed profondamente scorretto, citate sempre le fonti. Anche perché…che soddisfazione possa dare appropriarsi di idee, concetti e studi altrui presentandoli come propri e originali, non l’ho mai capito e mai lo capirò. Buona lettura e, spero, buona condivisione!