La comunicazione, spesso intesa come “tecnica”, o insieme di tecniche, di persuasione proprie di un agire strumentale e utilitaristico – costituisce, al contrario, l’essenza dell’azione umana e sociale: processo sociale di condivisione della conoscenza (e delle informazioni) che si configura come comprensione dell’Altro e incontro (responsabile) in cui sono chiare e nette alcune distinzioni: tra mezzi e fini, tra strumenti e contenuti, tra attori e strutture. Con al centro la Persona, lo spazio relazionale e un approccio responsabile finalizzato, pur tra tante criticità[1], all’inclusione e ad un dialogo realmente simmetrico (competenze) che riattivi, all’interno delle reti di prossimità, i meccanismi sociali della fiducia e della reciprocità. Occorre superare questo tipo di ritardo culturale nel considerare la comunicazione come tecnica o, peggio ancora, a confonderla con il marketing; comunicazione è trasparenza e condivisione, impegno verso l’Altro (simmetria e reciprocità). Strumento complesso che impatta a molteplici livelli di analisi (come argomentato più volte, anche in passato “comunicazione è organizzazione”). Purtroppo, ancora oggi c’è molta confusione anche terminologica e la comunicazione, tra stereotipi e luoghi comuni, continua ad essere vista e raccontata esclusivamente come insieme di mezzi, di “tecniche” e strategie per manipolare, convincere, vendere, indottrinare, promuovere e auto-promuoversi. C’è ancora molto da lavorare per diffondere l’idea stessa della comunicazione come servizio, come accesso, condivisione, semplificazione; come processo in grado di mediare il conflitto, gestire l’imprevedibilità dei sistemi, definendo le condizioni per la riduzione della complessità. E ancor più complicato è (e sarà) provare a cambiare le culture organizzative, ancora troppo legate a vecchi modelli e procedure che la tecnologia da sola non può modificare fino in fondo; allo stesso tempo, al di là delle etichette e del discorso pubblico, c’è ancora poca consapevolezza rispetto alla centralità strategica del capitale umano, del benessere organizzativo e della conoscenza condivisa. Attualmente,tutti si dichiarano d’accordo su tali questioni ma, quando poi si deve decidere di tagliare qualche voce, le prime indiziate sono sempre la formazione e la comunicazione (non la pubblicità). Inoltre, per molto tempo, si è persa un po’ di vista la questione delle competenze necessarie per comunicare, ma anche gestire le asimmetrie comunicative e conoscitive (rapporti di potere, inclusione, cittadinanza). Il comunicatore, in altri termini, non può essere solo un “tecnico” della comunicazione (connessione?), della vendita e/o della costruzione del consenso. Si pensi alla retorica ed alle narrazioni quasi mitologiche sui “grandi comunicatori” della politica (in realtà, grandi persuasori/manipolatori)…Occorre sempre, in tal senso, distinguere tra comunicazione e propaganda (e non solo): si tratta di un termine che, soprattutto la storia dei regimi totalitari, ha connotato in maniera estremamente negativa. Termine scomodo che nessuno si azzarda più ad utilizzare. Più in particolare, nel settore della comunicazione pubblica – che è quello che interseca il nostro discorso fondato sulla relazione tra comunicazione e cittadinanza – nonostante numerose normative e direttive che le assegnano una centralità strategica, in realtà la comunicazione continua, in molti casi, ad essere utilizzata come strumento (pur complesso) per gestire l’emergenza e/o la crisi organizzativa. In linea generale, paghiamo un ritardo culturale non indifferente su tali questioni, un ritardo proprio nel modo di progettare e realizzare le organizzazioni e la vita pubblica.
[1] Per ciò che riguarda gli aspetti problematici dei social media e della rivoluzione digitale, si vedano: Lovink G. (2012), Networks Without a Cause, trad.it., Ossessioni collettive. Critica dei social media, EGEA, Milano 2012; R.Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Garzanti, Milano 2012; S. Turkle (2011), Alone Together. Why we expect more from technology and less from each other, trad.it., Insieme ma soli. Perchè ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Ed., Torino 2012; A.Keen, Vertigine digitale. Fragilità e disorientamento da social media, EGEA, Milano 2012; I.Quartiroli, Internet e l’Io diviso. La consapevolezza di sé nel mondo digitale, Bollati Boringhieri, Torino 2013; L.De Biase, Homo pluralis.Esseri umani nell’era tecnologica, Codice Ed., Torino 2015
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