Innovazione e domanda di consapevolezza: la filosofia come “dispositivo” di risposta alla ipercomplessità

Due anni di “Fuori dal Prisma” e, con l’occasione, ho deciso di condividere con Voi un estratto di un paper accettato e discusso (in corso di pubblicazione) in alcuni congressi internazionali, non soltanto di Filosofia.

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L’obiettivo principale di questo paper è quello di evidenziare i livelli di connessione esistenti tra la particolare contingenza/congiuntura storico-culturale e la sempre più attuale ed urgente domanda di filosofia e di un “diritto alla filosofia” inteso, non tanto come risposta ad una domanda di senso che è forte, radicata ed evidente, quanto come una sorta di diritto alla consapevolezza, ad essere capaci di riflettere, analizzare criticamente ed elaborare pensiero e, possibilmente, soluzioni alle problematiche della propria esistenza. In una società sempre più asimmetrica e caratterizzata da una rigida stratificazione sociale, nella quale la possibilità di accedere, condividere ed elaborare informazioni/conoscenze, sta rendendo ancor più evidenti certe asimmetrie (p.e. la stessa Rete e la cd. società della conoscenza sono di fatto opportunità per pochi, almeno per ora…), questa visione del diritto alla filosofia riguarda, in primo luogo, proprio gli esclusi, i soggetti devianti (secondo certi modelli culturali), gli “invisibili” (in  molti casi, anche alle ricerche sociali ed alle tradizionali rilevazioni statistiche), le non-persone (Dal Lago); cioè coloro che vivono appunto ai margini della società ipercomplessa e interconnessa. Ad un livello successivo, tale diritto potrebbe contribuire a determinare le condizioni socioculturali (insieme ad altre variabili) per un’educazione non imposta sulla base di principi a priori (educazione vs indottrinamento), bensì costruita attraverso il discorso filosofico, fondata sulla consapevolezza e sulla formazione al pensiero logico e critico – e, ad un livello più alto, sulla preparazione epistemologica – capace di orientarci nel governo dell’imprevedibilità e dell’inatteso. Ma la “vera” questione riguarda il fatto che, in molti casi, non sono minimamente garantiti alcuni pre-requisiti fondamentali anche soltanto per poter discutere di inclusione, di eguaglianza delle condizioni di partenza e, più in particolare, di condizioni di praticabilità che il diritto alla filosofia sembra richiedere e poter garantire.

Nuove forme di disuguaglianza (Sen) si vanno delineando proprio in una fase di grande cambiamento: l’attuale contesto storico-culturale, infatti, continua ad evolversi per differenziazione e in maniera tutt’altro che lineare e, non a caso, da più parti si solleva opportunamente la questione di un cambio (necessario) di paradigmi.

Un tipo di contesto, che ho definito in passato “società ipercomplessa” (2003), caratterizzato da “oggetti di studio” e processi che sono di fatto “sistemi” e non semplici “oggetti” e che, come tali, chiedono di essere analizzati in una prospettiva sistemica.

Di più: dobbiamo trovare il modo di tradurre questa domanda significativa di filosofia in forme nuove che coinvolgano e includano tutti gli attori sociali. Il discorso filosofico può creare le condizioni per educare le nuove generazioni a saper riconoscere e comprendere tale complessità (centralità strategica di scuola e università) ed il diritto alla filosofia è, in tal senso, “dispositivo” fondamentale nella definizione di modelli interpretativi, buone pratiche e di “teste ben fatte” (Montaigne).

Quelle teste ben fatte che, a differenti livelli di analisi, rappresentano forse l’unico vero antidoto, da una parte, alla “reclusione” dei saperi negli stretti (e sterili) ambiti disciplinari e, dall’altra, alla cd. società dell’ignoranza (2009); una società (Noi e le reti sociali), profondamente segnata da asimmetrie informative e conoscitive, in cui sono stati messi in discussione, non soltanto il legame sociale e i valori della comunità, ma anche i principi stessi della cittadinanza (globale) e della democrazia.

Il “diritto alla filosofia” si configura, in tal senso, anche come dispositivo di risposta a quello che ho voluto definire “società asimmetrica”, caratterizzata da architetture, non soltanto tecnologiche, aperte ma da reti sociali sostanzialmente chiuse.

Con un individualismo dominante che è l’esito, per certi versi inevitabile, del complesso processo/progetto di emancipazione portato avanti nel corso della modernità.

Un processo di emancipazione delle masse, prima, del Soggetto, poi, segnato da una profonda ambivalenza: da un lato, infatti, esso ha accresciuto gli spazi di libertà e ha portato al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali (almeno in linea teorica); dall’altro, sembra aver contribuito ad indebolire i vincoli e i legami di appartenenza alla comunità, in un momento in cui sono aumentati i legami di interdipendenza e le stesse potenzialità comunicative appaiono enormemente accresciute. Sia nel campo della condotta conoscitiva che in quello della morale e dell’etica, attraversiamo una fase estremamente delicata in cui continuiamo ad assistere (per la verità, già a partire dagli anni Ottanta) alla radicale messa in discussione del ruolo delle tradizionali agenzie di socializzazione; al passaggio da una socializzazione verticale, rigidamente strutturata per tappe – in cui i modelli culturali e i valori (insieme con pregiudizi e stereotipi) sono stati sempre imposti dall’alto ed interiorizzati – ad una socializzazione orizzontale in cui gli attori sociali scelgono, spesso con pochi “strumenti”, tra molteplici sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo.

A ciò si aggiunga che i media, vecchi e nuovi (distinzione che non regge più, per questo preferiamo parlare di ecosistema), si sono letteralmente divorati, insieme con il cd. “gruppo dei pari”, il tradizionale spazio educativo e formativo funzionale alla costruzione sociale delle identità e delle soggettività.

Ebbene, ancora una volta, proprio in questo specifico contesto storico, il diritto alla filosofia rappresenta lo strumento indispensabile per provare a tracciare una nuova “mappatura” adatta alla (apparente) indeterminatezza della società ipercomplessa. Mi permetto di aggiungere anche che la domanda di filosofia trova, a mio avviso, un’ulteriore motivazione “forte” nel diffuso degrado e torpore morale che contraddistinguono la nostra società: una società segnata dal familismo amorale (Banfield), dall’assenza di una reale mobilità sociale verticale, nonché dall’assenza di un modello culturale forte e di un’etica condivisa; variabili complesse che, unite al policentrismo formativo, determinano, quasi paradossalmente, una condizione di “vuoto etico” (Jonas), quasi di “anomia” (Durkheim), con omologazione culturale e conformismo dominanti.

In altre parole: in una società profondamente asimmetrica in cui, da una parte, la dimensione dell’irresponsabilità è egemone e rappresenta la vera questione culturale e, dall’altra, l’istruzione e la formazione (soprattutto un certo tipo di formazione descrittiva) non costituiscono più gliascensori socialidi una volta in grado di garantire dinamicità ai sistemi sociali, la teoria e la prassi del diritto alla filosofia diventano risorse strategiche, in grado di definire condizioni di praticabilità per formare “teste ben fatte” e, nel lungo periodo, per far riacquistare autonomia alla sfera pubblica.

Pertanto, l’interrogativo di fondo, che tiene insieme il nostro contributo, potrebbe essere così formulato: perché è così forte la domanda di un diritto alla filosofia proprio in questo preciso momento storico? Come già accennato, anche la cosiddetta “questione culturale” delinea, a mio avviso, un percorso obbligato che passa necessariamente per la centralità della scuola e la qualità dei processi educativi ridando centralità alla co-costruzione della Persona, che è anche e soprattutto il risultato di un NOI e non di un IO!

Non è inutile sottolineare, in tal senso, quanto possa rivelarsi decisivo un rilancio in grande stile degli studi umanistici, sia in termini di ricerca che di formazione.

La filosofia – lo ripetiamo – è ancora una volta il “dispositivo” in grado di metterci in condizione di riconoscere e saper “gestire” (?) la complessità (preferisco, da sempre, il verbo “abitare” che implica una consapevolezza, uno sguardo e un approccio differenti); l’unico “metodo” in grado di farci ragionare anche con la testa del “grande Altro”.

Ciò assume ancor più significato all’interno di mondi della vita sempre più contraddistinti dall’incertezza e dalla precarietà (condizioni, ormai, esistenziali), dalle differenze e dal confronto tra sistemi di orientamento valoriale e tra linguaggi e codici di comunicazione sempre più diversificati.

Un diritto alla filosofia che non può rimanere “soltanto” insegnamento e pensiero, ma che deve (dovrebbe), appunto, emanarsi in istituzioni trasparenti e accessibili, oltre che in regimi democratici realmente inclusivi e in grado di garantire almeno l’eguaglianza delle condizioni di partenza.

Le stesse istituzioni, alla pari del diritto e delle leggi che sono sempre cristallizzazioni di norme sociali e culturali pre-esistenti, rappresentano di fatto la traduzione operativa, anche in termini di mediazione simbolica, di istanze sociali e culturali determinatesi all’interno di un dato contesto storico-culturale, storicamente determinato. Il diritto alla filosofia assume, in tal senso, un valore ancor più significativo proprio perché legato all’iper-complessità dei sistemi sociali attuali e si prefigura, in tal senso, come pre-requisito fondamentale di un diritto alla cittadinanza che va ripensato e che implica il superamento della stessa idea di democrazia procedurale.

La filosofia non è, e non potrà mai essere, solo materia di insegnamento ma pratica che dev’essere co-costruita insieme, poi insegnata e condivisa, fin dai primi anni di scuola, allo scopo di educare e formare persone in grado di orientarsi all’interno di una realtà fenomenica (e di un’offerta formativa) complessa, estremamente ambigua e articolata che rende sempre più difficile l’intuizione ma anche la scelta razionale (cfr. il concetto di “razionalità limitata”).

La domanda di filosofia è tornata straordinariamente forte proprio per quel bisogno insopprimibile di “ridare senso” ai vissuti, alle biografie, alle storie di vita; ma anche ad una realtà incerta, caotica, confusa, indeterminata nella quale la condotta morale e quella conoscitiva hanno smarrito i tradizionali percorsi codificati e sistemi di orientamento. Per “abitare la (iper)complessità” (Dominici, 1995-96 e sgg.).

Come già detto, la filosofia rappresenta, in tal senso, anche il tentativo fondamentale di rispondere alla domanda essenziale di ricongiungimento tra i saperi e le discipline*, ricomponendo la frattura tra l’Umano e il tecnologico (1996).

I livelli e i piani di discorso, in questo tipo di analisi, sono evidentemente molteplici e richiedono, al livello della Politica, anche un superamento della visione tecnico-giuridica della partecipazione e fruizione dei nuovi spazi di libertà, con tutte le criticità del caso. Più in generale, occorre un ripensamento del contratto sociale e delle ragioni profonde che rendono possibili i sistemi e il legame sociale stesso e che, parafrasando Jurgen Habermas, potremmo vedere anche come sistema di processi di argomentazione sensibile alla verità.

 

Colgo l’occasione per ricordare non soltanto un grande (davvero) Filosofo, un intellettuale che ha saputo “dare senso” e aprire prospettive: Hilary Putnam (Chicago, 31 luglio 1926 – 13 marzo 2016)

http://bit.ly/1RhqJ8D   Hilary Putnam: la filosofia ha un futuro?

http://huff.to/250iaTD by Martha C.Nussbaum

http://bit.ly/1S00hxe di Maurizio Ferraris

Ne segnalo volentieri, anche se con tristezza, l’ultimo libro (con introduzione di Mario De Caro): http://bit.ly/1QT46VV

 

 

N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti, ma CITATE SEMPRE GLI AUTORI (anche quando si tratti di concetti e relative definizioni operative come p.e. società asimmetrica o società ipercomplessa) e le FONTI. Non si tratta “soltanto” di un REATO: COPIARE, ma anche USARE le IDEE, le INTUIZIONI, le DEFINIZIONI senza CITARE è anche, e soprattutto, una grave SCORRETTEZZA che, peraltro, nega la “natura” stessa della CONOSCENZA: co-costruita, condivisa, collettiva. Viene rubata una parte di chi, con sacrificio, ha pensato, studiato (a lungo, negli anni, e con rigore), ideato, elaborato, creato. La CONDIVISIONE è altro e, a qualsiasi livello di discorso, parte proprio dal RICONOSCIMENTO dell’ALTRO.

Un approccio e percorsi di ricerca dal’95

immagine: foto di Piero Dominici