Nuovo ecosistema (1996) della comunicazione e terrorismo.Tra sicurezza e libertà, tra controllo e cooperazione

La Società Interconnessa – ecosistema globale a razionalità limitata fondato sull’interdipendenza dei sistemi**, sul trattamento e l’elaborazione delle informazioni e della conoscenza (nuovo paradigma)[1] – si presenta di fatto, non soltanto come la struttura portante del capitalismo digitale e dell’economia della condivisione [2], ma anche e soprattutto, con riferimento alle questioni oggetto del presente saggio, come ambiente comunicativo ideale per le organizzazioni terroristiche e criminali, sia per progettare e realizzare strategie complesse di “guerra” psicologica, che per pianificare e condurre un’attività di propaganda a livello globale in grado di condizionare profondamente la percezione (individuale e collettiva), le paure e le insicurezze, i pericoli e la loro accettabilità sociale, gli immaginari collettivi di opinioni pubbliche mai come ora esposte alle fiammate emotive del sistema mediatico globale[3]. Opinioni pubbliche sempre più condizionate e condizionabili che, a loro volta, sono in grado di esercitare pressione su una Politica, sempre più debole e marginale rispetto ai poteri economici e finanziari, che è chiamata a dare delle risposte e operare delle scelte proprio in chiave transnazionale. Le reti e gli ecosistemi della connettività complessa costituiscono, non da oggi, la leva fondamentale per portare il conflitto, che già di per sé presenta caratteristiche del tutto differenti rispetto a quelli del passato, su un piano della prassi sempre più strategico, per non dire vitale, sia a livello micro che a livello macro: il piano della comunicazione virale e diffusa in tempo reale. E i regimi democratici occidentali (categoria che uso per semplificare) non sembrano assolutamente capaci di contrastare, almeno per ora, questo tipo di propaganda e di “guerra” psicologica e mediatica che viene condotta anche a livello culturale. E, in tal senso, l’errore sarebbe proprio quello di interpretare questa situazione così complessa, ambivalente e piena di ambiguità, anche rispetto al ruolo ed alle scelte sia dell’Unione Europea che della cosiddetta Comunità internazionale – la cui presenza è impalpabile – con la lente riduzionistica della scontro di civiltà. È proprio ciò che il terrorismo (e i movimenti estremisti) si attende e si pone come obiettivo fondamentale, oltre a quello di minare la fiducia nelle relazioni sociali e nei sistemi esperti, mettendo radicalmente in discussione il concetto di libertà, la privacy – intendiamoci, già ampiamente violata dalle aziende e dalle multinazionali in rete – i valori e gli stili di vita caratterizzanti gli Stati-nazione che cercano di contrastarne l’avanzata. In altre parole, il terrorismo globale, oltre al voler (appunto) terrorizzare, mettere paura, non attende altro che una risposta: il “NOI contro VOI”. A tal proposito, occorre in primo luogo, e con urgenza, una seria analisi sociale e culturale di questi fenomeni e dei contesti in cui si sviluppano, ma l’impressione è che, a questo livello strategico di discorso, si continui a navigare a vista ma, soprattutto, sia quanto mai evidente l’assenza di una strategia comunicativa mirata, a livello locale e globale, in grado anche di costruire contro-narrazioni, di legittimare l’azione politica e diplomatica che va necessariamente condotta.

Come sempre, la repressione è condizione necessaria ma non sufficiente; in tal senso, l’oscuramento di siti e di pagine Facebook o la cancellazione di account, coinvolti nelle attività di propaganda e/o reclutamento, rispondono a logiche di breve periodo e non bastano. Non soltanto perché si tratta di questioni e processi culturali – le cui dinamiche hanno sempre un’evoluzione non lineare – ma anche perché le reti del nuovo ecosistema sono strutture aperte in grado di espandersi all’infinito (autopoiesi), integrando una molteplicità di nodi potenzialmente infinita, senza limiti (1998): il problema, ancora una volta, è quello delle logiche (apertura vs. chiusura, controllo vs. cooperazione e sicurezza vs. libertà) e degli utilizzi che – evidentemente, con modalità e finalità differenti – élite, gruppi di potere, lobby, moltitudini, grandi aziende digitali[4] (Google e Facebook su tutte), Stati-nazione e organizzazioni criminali e terroristiche, fanno delle reti sociali e dei media digitali. Contrariamente alle narrazioni egemoni sulla Rete e sull’ecosistema digitale, sempre presentati come luoghi della massima libertà, orizzontalità e disintermediazione, le logiche dominanti sono quelle del controllo, della sorveglianza totale, della chiusura sistemica anche come risposta a fasi critiche di evoluzione dei sistemi sociali che, segnate da accelerazioni improvvise e straordinarie innovazioni tecnologiche[5], determinano crisi e momenti di turbolenza non soltanto economica. Si tratta di crisi che sono sempre, in primo luogo, crisi di controllo e gestione dei processi, all’interno delle quali le asimmetrie informative e conoscitive e il cultural divide (come sostengo da anni, il problema) giocano un ruolo assolutamente decisivo, rappresentando la zona d’ombra del nuovo ecosistema, quella parte di Rete e reti sociali – estensioni di quelle preesistenti al Web – che sono dentro solo dal punto di vista della connessione. In questa linea di discorso, appare evidente come la società interconnessa abbia definito anche un nuovo assetto delle stesse comunicazioni di massa, contribuendo, in ogni caso, ad una riconfigurazione dei rapporti di potere.

La società ipercomplessa[6] e l’età dell’informazionalismo – questa, la nostra prospettiva – hanno segnato l’inizio di un complesso processo di civilizzazione fondato su Internet e i social-media, che presenta specifiche regole di inclusione e cittadinanza e che, pertanto, chiede un ripensamento delle stesse categorie concettuali e delle relative definizioni operative. Come affermato più volte anche in passato, la sfida, non soltanto conoscitiva, a questo tipo di complessità va portata – a nostro avviso – uscendo dalle vecchie torri d’avorio e abbandonando gli altrettanto vecchi paradigmi del determinismo monocausale per abbracciare definitivamente una prospettiva sistemica della e sulla complessità. In altre parole, abbiamo il dovere di maturare finalmente la consapevolezza che la realtà, i processi, i problemi sono sempre complessi e richiedono appunto un approccio multidisciplinare alla complessità; e se i problemi sono complessi, non possono che esserlo anche le eventuali soluzioni che, ammesso si trovino, sono, comunque e sempre, soluzioni provvisorie e temporanee; dobbiamo ripensare radicalmente la relazione tra i saperi e le competenze, già a partire dalla scuola (1998 e sgg.). Non possiamo più permetterci l’errore storico, oltre che strategico, di pensare e analizzare gli “oggetti” e i fenomeni isolandoli e riconducendoli a spiegazioni sempre parziali e riduzionistiche: gli oggetti vanno pensati e analizzati come sistemi, facendo molta attenzione a non confondere le cause con gli effetti e consapevoli delle molteplici dimensioni e variabili intervenienti. La questione cruciale dell’approccio e del cambio di paradigma va assolutamente estesa a tutti gli ambiti, compresi il terrorismo globale e la criminalità: l’ipercomplessità con cui ci confrontiamo è in costante evoluzione e tale evoluzione per differenziazione è processo complesso e tutt’altro che lineare.

[1] Dominici P., Dentro la Società Interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014.

[2] Dominici P., Per un’etica dei new-media. Elementi per una discussione critica, Firenze Libri Ed., Firenze 1998.

[3] La correlazione tra media, emotività, climi d’opinione, agenda della politica è davvero strettissima e, come noto, documentata da diversi studi e percorsi empirici della communication research; ne abbiamo continue conferme ogni giorno e, di recente, l’abbiamo verificata anche nel corso delle ultime drammatiche vicende riguardanti i flussi migratori e le nuove forme di schiavitù. Rappresentazioni fondate sul potere delle immagini e sulle narrazioni che condizionano, non soltanto gli immaginari delle opinioni pubbliche, ma anche e soprattutto i cosiddetti decisori.

[4] Rispetto a queste grandi aziende del digitale c’è chi ha parlato di “cannibali digitali”. Si veda in particolare l’articolo di S. Vergine, Nuovi poteri. Cannibali digitali, in «L’Espresso», n.35, anno LXI, 3 settembre 2015. Probabilmente, il termine “cannibali” si richiama ad una frase di Marshall McLuhan «Il nuovo ambiente plasmato dalla tecnologia elettrica è un ambiente cannibalistico che divora le persone. Per sopravvivere, bisogna studiare le abitudini dei cannibali».

[5] Vorrei tuttavia chiarire un equivoco, piuttosto diffuso nei discorsi e nelle narrazioni sull’innovazione e la civiltà digitale: la tecnologia (e i suoi prodotti) non è qualcosa di esterno alla cultura e ai processi socioculturali, al contrario essa è dentro la cultura, ne è parte costitutiva e fondamentale, oltre a costituirne un prodotto complesso: dico questo perché, sempre più spesso, mi capita di leggere argomentazioni del tipo “la cultura è costretta a rincorrere la tecnologia”. Ritengo si tratti dell’ennesima dicotomia fuorviante, che va superata al fine di un’analisi critica e globale delle dinamiche in atto.

[6] P. Dominici (2005), La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento, FrancoAngeli, Milano 2011.

 

Tra le pubblicazioni (Peer Reviewed) più recenti sulla complessa tematica del terrorismo globale, e le numerose variabili e approcci da considerare, segnalo in modo particolare il volume:

U.Conti (a cura di),Elementi per una sociologia del terrorismo.Temi e prospettive di ricerca, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016

 

Riferimenti bibliografici (una selezione) per chi volesse approfondire:

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N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti, ma CITATE SEMPRE GLI AUTORI (anche quando si tratti di concetti e relative definizioni operative come p.e. nuovo ecosistema, società asimmetrica,società ipercomplessa, l’anello debole, rimettere la Persona al centro etc.) e le FONTI. Non si tratta “soltanto” di un REATO: COPIARE, ma anche USARE le IDEE, le INTUIZIONI, le DEFINIZIONI senza CITARE è anche, e soprattutto, una grave SCORRETTEZZA. Viene rubata una parte di chi, con sacrificio, ha pensato, ideato, elaborato, creato. La CONDIVISIONE è altro e, a qualsiasi livello di discorso, parte proprio dal RICONOSCIMENTO dell’ALTRO.

immagine: opera di Vasilij Kandinskij