Il digitale, la velocità e il problema della responsabilità: questioni di natura “non tecnica”

…come sempre, non sono previsti “tempi di lettura”

 

Velocità vs. riflessione/ responsabilità

La “nuova” velocità del digitale, nell’interazione complessa con il fattore umano e il sistema delle relazioni sociali, conserva l’ambivalenza originaria di qualsiasi “fattore” di mutamento e di qualsiasi processo sociale e culturale; un’ambivalenza che, oltre ad essere straordinaria opportunità, mette anche in evidenza i nostri limiti e le nostre inefficienze – a livello personale, organizzativo e sociale – ma, soprattutto, ci lascia poco tempo per la riflessione e l’analisi critica su ciò che accade e, più in generale, su una (iper)complessità che mette a nudo la radicale inadeguatezza dei paradigmi, dei modelli interpretativi, delle culture tradizionali e, ancor di più, dei moderni strumenti di controllo e gestione.

[-> cultura intesa, in senso generale, come insieme di pratiche e credenze, di modelli e strumenti etc. storicamente determinati e appartenenti ad un certo contesto storico-culturale o, per dirla alla Weber, come “sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo” cui viene attribuito “senso” e “significato” sempre dal punto di vista del Soggetto]

In linea generale, possiamo affermare che la “velocità” (e una certa idea/visione della velocità) limita/ostacola/complica la “riflessione”, la pratica della logica (su cui – come ripeto da tanti anni – si dovrebbe lavorare fin dai primi anni di scuola) e il “pensiero critico”; allo stesso tempo, l’ossessiva ricerca della semplificazione (?) a tutti i costi – che, chiariamolo, è utile e va ricercata a patto che non ci faccia perdere di vista l’insieme, il globale, il complesso connaturato ai processi sociali, economici, organizzativi e culturali – sfocia spesso nella banalizzazione delle analisi e delle soluzioni proposte.

Di conseguenza, per le domande, l’analisi critica e la ricerca (incessante), c’è poco spazio (tempo), e non soltanto a livello di discorso pubblico e di narrazioni dominanti. Anche se, apparentemente, oggi sono in molti a richiamare qualcosa che, nei percorsi della scienza e, più in generale, nello sviluppo della conoscenza e dell’innovazione, viene quasi dato per scontato: l’importanza di porsi “domande”, di mettere in discussione paradigmi dominanti e modelli consolidati, di cercare i punti di debolezza e le anomalie in quelle conoscenze, ma anche in quegli stereotipi e pregiudizi che, oltre che condizionarci a tutti livelli, ci rassicurano perché rendono decodificabile e significativo il reale e la vita intorno a NOI…

Continuiamo così a cercare (soltanto) soluzioni e risposte semplici a problemi complessi (tutti sono interessati, sanno e vogliono sapere esclusivamente “come si fa?”), in tempi che sono sempre più stretti, con una rapidità richiesta di esecuzione che ci costringe ad affidarci totalmente – si tratta di una fiducia e di una delega senza condizioni – alla tecnica, alle macchine, ai robot, ai sistemi esperti e alle nuove tecnologie, con profonde implicazioni in termini appunto di gestione e di responsabilità. Anche a questo livello, il pensiero e, soprattutto, la riflessione non vanno molto d’accordo con la velocità, con l’eccessiva velocità che – ripeto – mette a nudo tutte le nostre debolezze e insicurezze, anche a livello organizzativo e di Stati-Nazione.

E – ci tengo a sottolinearlo – affrontare tali questioni, di cruciale importanza, con questo approccio non significa, in alcun modo, mettere in discussione l’importanza e il valore della tecnica e delle innovazioni tecnologiche.

Come abbiamo affermato anche più di recente «La tecnica e la tecnologia, prodotti complessi dei contesti storico-culturali e delle culture (e non, come molti continuano a sostenere, “oggetti” non appartenenti, quasi esterni, alla/e cultura/e stessa/e) continuano ad imprimere costantemente accelerazioni repentine a organizzazioni e sistemi sociali, con profonde implicazioni per le identità, le Soggettività e gli ecosistemi relazionali e comunicativi; implicazioni e dinamiche sistemiche che ci costringono – come ribadito più volte in passato (1998 e sgg.) – a ripensare, non soltanto modelli, strategie, politiche, ma anche, e soprattutto, categorie e relative definizioni, non ultime quella di reale, virtuale, Persona, relazione, vita, identità, umano, naturale, artificiale, etica etc. Conseguentemente, diventa «di fondamentale importanza, in tal senso, ridefinire lo spazio del sapere (dei saperi) e ripensare lo “spazio relazionale” (1996 e sgg.), all’interno del quale si costruiscono le identità – che non sono mai date una volta per tutte…in costante divenire – e le soggettività: “costruzione” che avviene attraverso il dialogo, la conversazione, la reciprocità, l’empatia, la comunicazione = processo sociale (complesso) di condivisone della conoscenza (potere). Siamo sempre un “NOI” e non un “IO” (identità < > riconoscimento), anche se non ne siamo consapevoli. Esistiamo, sempre e comunque, all’interno di un sistema di reti di conversazione e comunicazione. Perché conoscere/sapere è vivere e viceversa e tali dinamiche nascono e si evolvono, sempre e soltanto, attraverso gli ALTRI, in chiave sistemica, oltre che relazionale. Livello “micro” (quello delle relazioni e dell’interazione sociale) e livello “macro” (quello delle organizzazioni, dei sistemi, degli Stati-nazione etc.),  non soltanto non sono separati, ma si influenzano reciprocamente e sono in costante connessione e relazione…un duplice livello di analisi che, come ripetuto tante volte negli anni, richiede approccio alla complessità e una prospettiva sistemica (superamento del principio di causalità, di qualsiasi forma di determinismo mono-causale e riduzionismo; tante le concause e molteplici le variabili da considerarsi; sistemi e organizzazioni evolvono e si differenziano non in maniera lineare etc.). La sfida della e alla complessità ci chiede di ripensare educazione e istruzione, in maniera profonda, radicale».

 

La sintesi (complessa) di nuovi valori e un nuovo rapporto tra la teoria e la prassi. Tra autonomia e responsabilità

Come ho avuto modo di affermare esattamente alla metà degli anni Novanta, ma anche più di recente «Oggi infatti, come mai in passato, la tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio, rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.). In altre parole, nel quadro complessivo di un necessario ripensamento/ridefinizione/superamento della dicotomia natura/cultura, non possiamo non prendere atto di come i ben noti meccanismi darwiniani di selezione e mutazione si contaminino sempre di più con quelli sociali e culturali che caratterizzano la statica e la dinamica dei sistemi sociali. Sempre più difficile, oltre che fuorviante, provare a tenere separati i due percorsi evolutivi e, allo stesso tempo, sempre più urgente si fa la domanda di un approccio multidisciplinare alla complessità per l’analisi e lo studio di dinamiche (appunto) sempre più complesse, all’interno delle quali i piani di discorso e le variabili intervenienti si condizionano reciprocamente, mettendo a dura prova i tradizionali modelli teorico-interpretativi lineari. E, ancora una volta, non si tratta di essere “pro” o “contro”, anzi occorre andare oltre la sterile, ma sempre presente e puntuale, polarizzazione del dibattito che ha logiche radicalmente differenti da quelle della produzione e condivisione di conoscenza (potere): dobbiamo acquisire consapevolezza di trovarci difronte ad una trasformazione antropologica (Dominici, 1996) che, mettendo in discussione gli stessi presupposti basilari di pensiero, teoria e prassi, evidenzia ancora una volta l’urgenza di un cambio di paradigma – più volte echeggiato già negli anni Novanta – e la ridefinizione delle stesse categorie concettuali».

 

La rivoluzione tecnologica ha definito un nuovo rapporto tra l’individuo e la norma, tra la teoria e la prassi, fornendogli, in qualche modo, l’illusione di essere assoluto sovrano e padrone delle proprie scelte, con il rischio di non tenere nella dovuta considerazione le interazioni, le interdipendenze sociali e la comunità di appartenenza. Diviene così urgente, ma allo stesso tempo problematica, la questione che Hans Jonas ben sintetizza nel concetto di autodeterminazione responsabile (un concetto che, anche di recente, qualcuno si è attribuito, insieme a quello di pedagogia della responsabilità…): un concetto probabilmente in grado di colmare il grande vuoto esistente tra le idee di autonomia e interdipendenza.

In altri termini, il problema della responsabilità si pone nel momento stesso in cui esistono infinite possibilità legate al potere di agire, di scegliere e di comunicare o, in alternativa, di non comunicare (impossibile?). La responsabilità è un concetto relazionale (risponde alla logica del Noi) ed è quel principio universale che permette all’individuo di limitare le proprie possibilità di potere e di influenza sugli altri: agire e, di conseguenza comunicare, in modo responsabile significa allora accordare la massima importanza alle relazioni sociali di interdipendenza che ci legano agli altri, in una sorta di etica che potremmo definire “interattiva”, tutta basata su una comunicazione che consideri soprattutto chi ci ascolta.

Nell’atto comunicativo, ciò implica il concetto fondamentale di “reciprocità”, cioè il rispetto di sé e di chi comunica con noi, anche perché prima «Nessuno era ritenuto responsabile per le conseguenze involontarie di un suo atto ben intenzionato, ben ponderato e ben eseguito. La leva breve del potere umano non richiedeva la leva lunga del sapere predittivo; la brevità dell’una era tanto poco colpevole quanto quella dell’altra. Proprio perché il bene umano conosciuto nella sua universalità è lo stesso in ogni tempo, la sua realizzazione o violazione ha luogo in ogni tempo, e il suo luogo completo è sempre il presente»[1].

La modernità e la tecnica, – la rivoluzione digitale oggi – hanno a tal punto modificato la realtà, che le conseguenze di tale metamorfosi sono «di dimensioni così nuove che l’ambito dell’etica tradizionale non è più in grado di abbracciarle»[2]. Altro elemento fondamentale, che Jonas non ha trascurato, è l’assoluta novità, rispetto al passato, riguardante la condizione della vita umana, che ha ormai un carattere globale. A tal proposito, il processo di globalizzazione che si va realizzando, vede i nuovi media digitali e le reti come i veri protagonisti del cambiamento. Ma, a questo punto, sono due i quesiti che ci vengono in mente: qual è la natura di questo processo di globalizzazione? Al di là dei grandi risvolti in campo economico e di confronto culturale, le nuove tecnologie della comunicazione quali implicazioni possono avere? Il problema consiste nel tentare di capire se tali tecnologie, basate sull’interattività, favoriscano oppure no una comunicazione intersoggettiva, autonoma e responsabile, ma anche se “dietro” a questo nuovo ecosistema comunicativo, si nascondano, quasi paradossalmente, alcuni rischi di nuove asimmetrie informative e conoscitive, di omologazione culturale e standardizzazione dei modi di pensare dei soggetti. La nuova dimensione globale dell’agire e del comunicare pongono la questione di un’etica della persona, un’etica della previsione e della responsabilità in qualche modo proporzionale, altrettanto nuova quanto le eventualità con cui essa ha a che fare.

Il rischio più grave consiste soprattutto nel fatto che il Soggetto possa diventare uno degli oggetti della tecnica[3], in un contesto storico-culturale già caratterizzato da un preoccupante “vuoto etico”, nel quale «il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi»[4].

Pertanto, essendo indubbio che le nuove tecnologie della comunicazione hanno trasformato il vissuto sociale degli individui e gli individui stessi, dobbiamo chiederci se lo sviluppo di tali tecnologie, che certamente accrescono le nostre possibilità conoscitive e comunicative, riuscirà a creare un tipo di umanità culturalmente evoluta ed aperta, ma soprattutto più predisposta a quell’agire comunicativo, che sembra essere una delle vie etiche percorribili nella comunicazione globale.

Ma la domanda cruciale potrebbe essere anche così formulata: la nuova comunicazione crea o simula una reale intersoggettività/reciprocità nei processi comunicativi? All’interno delle reti sociali e dei social networks, possiamo parlare di comunicazione oppure si tratta di sistemi complessi basati sulla sola connessione? Tutto il discorso finisce per ricollegarsi comunque ai tre concetti considerati fondamentali per la nostra proposta: autonomia, libertà e intersoggettività. Le questioni cruciali sono ancora queste, al di là di leggi, codici normativi e regole. In sintesi, i media digitali e la Rete, cambiando radicalmente le modalità della convivenza umana, che tipo di orizzonti, non solo economici e politici, aprono di fronte all’individuo multimediale? Il nostro discorso, senza cadere in una posizione di tipo apocalittico che sarebbe solo improduttiva, deve farci riflettere se essi rappresentino realmente, parafrasando il titolo del testo di Ithiel de Sola Pool, delle “Tecnologie di libertà” da un punto di vista etico e morale o se, invece, siano dei semplici acceleratori di un processo informativo e comunicativo globale, già in fase avanzata, che sembrerebbe però, secondo alcuni, “neutro”, piatto e unidirezionale[5].

Le continue innovazioni nel campo della tecnologie della connessione, rappresentano sicuramente una grande rivoluzione in campo economico, politico e culturale; tuttavia, dobbiamo chiederci che tipo di soggetto etico fanno emergere da tale metamorfosi? Inoltre, dal momento che il Soggetto, predisposto originariamente alla comunicazione, plasma la sua identità attraverso l’interazione con gli altri durante il processo di socializzazione, non è inutile domandarsi anche, ora che tale interazione è filtrata, su quali basi egli completerà tale processo.

Il problema nasce dal fatto che le tecnologie della connessione sembrerebbero non garantire sempre un vero scambio interattivo, poiché esse «simulano delle interazioni comunicative, ossia imitano l’interazione attraverso un sistema meccanico o elettronico. La simulazione interviene nell’ambito dell’interazione anche con i caratteri di una simulazione comportamentale, da parte del sistema informatico, delle modalità di comportamento di un interlocutore reale o di un ambiente in cui l’individuo possa agire»[6].

Ma c’è un’altra questione, legata anch’essa alla natura di questi nuovi processi: in una situazione comunicativa, creata attraverso i media basati sull’interattività, la libertà di comunicare e confrontarsi è, comunque e sempre, limitata da ciò che il sistema informatico ci consente all’interno di schemi logico-matematici preesistenti: quindi si corre seriamente il rischio che il messaggio, essendo privato di tutti quegli elementi caratteristici di una comunicazione diretta senza filtri, venga ricevuto come una semplice trasmissione meccanica di dati, che devono soltanto essere codificati. Tali dati oltretutto richiedono, problema non secondario, una specifica competenza telematica, dal momento che «l’apparente trasparenza del sistema costituita dalla semplicità del suo uso e dalla comprensione delle modalità di dialogo da parte dell’utente – in quanto fanno riferimento a modelli a lui già noti – si risolve in realtà in una opacità del sistema rispetto alle sue reali potenzialità e soprattutto alle sue limitazioni. I sistemi interattivi non sono, infatti, luoghi di libera interazione. In primo luogo, poiché esiste una prefigurazione dell’utente nell’ambito del sistema che riguarda le sue azioni e i suoi atteggiamenti percettivi (i tempi di reazione piuttosto che le modalità di percezione di un ambiente tridimensionale nei sistemi di Realtà Virtuale), i suoi possibili obiettivi, le sue competenze relative sia al contenuto sia alle modalità di utilizzo del mezzo. L’attualità dell’interazione dipende quindi dal verificarsi di una congruenza tra il modello di utente prefigurato dal sistema e l’individuo reale, ad esempio, a livello della soglia minima di competenze e conoscenze richieste per lo scambio comunicativo. Esiste, quindi, una serie di possibilità di fallimento della comunicazione interattiva dovute all’esistenza di scarti tra le competenze e gli obiettivi possibili prefigurati dal sistema e quelli propri dell’utente stesso. Quando si verificano queste incongruenze, posta la rigidità del sistema, l’interazione diviene impossibile – nel caso di un’incongruenza legata alle competenze – o inutile se il problema è relativo agli obiettivi»[7].

Quindi, diverse sono le istanze di ordine etico-morale che si creano nell’ambito della società interconnessa. Il nuovo tipo di interattività, più che altro simulata, consente alla comunicazione di rimanere libera, autonoma, intersoggettiva e soprattutto spontanea? Inoltre, non si può fare a meno di evidenziare che forse l’atto comunicativo e il messaggio vengono svuotati di quella carica emozionale che solo una comunicazione immediata può dare, dal momento che il comunicare qualcosa è soprattutto trasmettere un fascio di emozioni, condividere, “mettere in comune”, in un rapporto bidirezionale e paritetico che richiede partecipazione. Infatti «La natura mediata della comunicazione che instaura tra individui tramite i new-media, – che abbiamo rilevato più volte – e il fatto che l’individuo interagisca con rappresentazioni iconiche del proprio interlocutore oppure lo percepisca esclusivamente come l’emittente empirico di un messaggio scritto che gli giunge nell’ambito di un dialogo con il sistema, sono stati individuati come cause o di una perdita della referenzialità della comunicazione o di una diminuzione della consapevolezza dell’interlocutore»[8].

Il rischio, cioè, è che la comunicazione diventi una semplice trasmissione meccanica di dati neutri, legata solo al rispetto di alcune regole di tipo tecnico-operativo, che non riguardano più il discorso sul soggetto e la sua personalità; in tal modo, l’individuo diventerebbe solo un elemento fisico del complesso processo comunicativo. Quindi a far la differenza sarà ancora una volta il fattore umano, a patto che ci sia consapevolezza e formazione.

Allora il punto cruciale resta sempre il seguente: che tipo di individuo (Persona?) sta nascendo dall’incontro con le nuove tecnologie e modalità comunicative?

La ricerca di una nuova etica della comunicazione non può prescindere dal considerare che «I nuovi media agiscono sulla qualità stessa della nostra esperienza comunicativa, offrendole occasioni impensabili ma richiedendole, come merce di scambio, una svalutazione dei sistemi di riferimento tradizionali: categorie, semiotiche, strategie utilizzate per parlare della comunicazione contemporanea rischiano un rapido degrado»[9].

Un nuovo individuo multimediale (1996) è a tutti gli effetti «un viaggiatore digitale, un elettronauta consapevole del suo viaggiare. Non sempre, forse, consapevole del suo cambiare, durante il viaggio, non sempre consapevole che in questo viaggio mutano profondamente le strutture cognitive, i riferimenti culturali, l’idea di comunicazione»[10].

In conclusione è, però, di fondamentale importanza, a nostro giudizio, che tale discorso sui rischi di una comunicazione meccanizzata e priva di reali contenuti, non cada – oggi come allora (1996) – nell’ambiguità della mancata distinzione tra regole tecniche e norme morali: cioè, il problema etico va analizzato evitando che le regole in senso tecnico possano essere scambiate con le regole dell’etica della comunicazione. (sulle questioni della responsabilità e della complessità rinvio anche a un precedente contributo)

 

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[1] H.Jonas (1979), Das Prinzip Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt am Main, trad.it., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p.9.

[2] Ibidem p.10.

[3] H.Jonas (1990), op.cit..

[4] Ibidem p.31.

[5] Cfr. I.De Sola Pool (1988), Technologies of Freedom, trad.it., Tecnologie di libertà. Informazione e democrazia nell’era elettronica, UTET, Torino 1995.

[6] G.Bettetini, F.Colombo (1994), Le nuove tecnologie della comunicazione, Bompiani, Milano, p.184.

[7] Ibidem p.195.

[8] Ibidem p.197.

[9] P.Vidali, Esperienza e comunicazione nei nuovi media, in G.Bettetini, F.Colombo (1994), Le nuove tecnologie della comunicazione, Bompiani, Milano, p.300

[10] Ibidem p.301.

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