La società interconnessa e…l’economia politica dell’insicurezza | #Rete #capitalismo #democrazia

L’egemonia della razionalità strumentale e dell’economia di mercato (autoregolato) ha finito con il far trionfare una logica di dominio che è stata estesa alla totalità della vita sociale. Tale processo ha indebolito anche i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive. Al livello della coabitazione sociale, si è generata pertanto una società globale fortemente individualizzata, che scarica molte più responsabilità sulle spalle di ogni singolo attore sociale richiedendo una libertà responsabile. Sotto questo aspetto, lo sviluppo delle forme di comunicazione mediata (Thompson,1995), al di là dei vantaggi in termini di telelavoro, cooperazione e di distribuzione della conoscenza, potrebbe anche raffreddare ulteriormente i meccanismi protagonisti della produzione di capitale sociale. Peraltro, le dinamiche tipiche della Rete come detto più volte, anche in  tempi non sospetti, ricalcano in tutto e per tutto quelle delle reti sociali tradizionali.

La crescita esponenziale del potere finanziario ha avuto conseguenze estremamente negative per l’economia-mondo e, soprattutto, per la vita delle persone; il processo di formazione di uno spazio virtuale,  ove far scorrere ad altissima velocità i flussi economici ed informativi, non ha fatto altro che privare la Politica e i sistemi di potere del controllo sul proprio corpo, separandoli ulteriormente dalla società civile e dai singoli attori sociali. E credere che la tecnologia (in particolare, le reti) possa risolvere qualsiasi problema, compreso il riavvicinamento tra Politica e cittadini potrebbe rivelarsi l’ennesimo errore fatale (confusione tra popolarità online e fiducia). Dal momento che la prassi politica e sociale, pur trovando nuove arene virtuali di costruzione e organizzazione del consenso e/o delle opinioni, richiede il passaggio cruciale dall’elaborazione teorica all’azione pratica, concreta, che deve incidere sul decisore politico. E, per far questo, occorrono attori sociali informati e criticamente formati in carne e ossa, destinatari attivi e consapevoli dentro le loro reti di cooperazione sociale. Non semplici cittadini “connessi”(Dominici 1998, 2003,2005) messi in condizione di non poter tradurre operativamente istanze e progetti di una cittadinanza attiva e concretamente partecipata. Mi riferisco, in tal senso, anche al concetto che proposi anni fa di sfera pubblica (ormai) “ancella del sistema di potere”.

La trasformazione del modo di produzione economica e del mercato del lavoro, la radicalizzazione della divisione sociale del lavoro, la nascita di nuove disparità anche in termini di opportunità di partenza, di nuove forme di sfruttamento e, quindi, di nuove conflittualità; l’indebolimento delle funzioni delle tradizionali forme di partecipazione politica, (almeno per ora) illusoriamente sostituite dalle utopie della democrazia on line, hanno fatto il resto rendendo profondamente incerta l’esistenza degli individui ai quali  si chiede flessibilità (precarietà) in ogni aspetto della loro vita senza offrire in cambio alcuna garanzia (Sennett, 1998; Gallino, 2001). La società degli individui, emancipatasi dai vincoli della tradizione e, in un certo senso, in balìa della crescita del potenziale della razionalità rivolta allo scopo, deve fronteggiare la crescita esponenziale delle forze produttive che rende il processo di modernizzazione riflessivo, cioè tema e problema di sé stesso.

Il vantaggio è senza dubbio legato al fatto che tali rischi non hanno più la possibilità – come in passato – di essere ignorati dalla sfera pubblica e dalle opinioni pubbliche, dal momento che sono comunque oggetto di tematizzazione non solo mediatica e nei social networks. Ed è proprio questa la prospettiva in cui si inquadra l’analisi di John Tomlinson (1999) sulla globalizzazione che va intesa, in primo luogo, come un fenomeno culturale costituito da una rete di esperienze che, attraverso i meccanismi di disaggregazione spazio-temporale, modifica in profondità la percezione dei luoghi fisici nei quali ci confrontiamo con l’Altro, estendendo su scala globale gli effetti delle scelte locali adottate. La cultura si configura come risorsa transnazionale, “bene comune” a disposizione, almeno per ora, di élite, lobby e gruppi dominanti.

La globalizzazione costituisce la condizione empirica del mondo moderno, condizione che viene associata al concetto di connettività complessa, intesa come processo di progressivo aumento delle reti di interdipendenza che costituiscono quella che abbiamo definito la “società interconnessa”. Si tratta di un processo che può essere interpretato, oltre che come il trionfo della razionalità soggettivistica e strumentale occidentale, anche come il trionfo di un’ideologia omnicomprensiva e totalizzante che avvolge, ingloba, plasma tutte le sfere della prassi e della vita reale. E la critica alla globalizzazione (Gallino, 2000; Stiglitz, 2002; Touraine, 2004), produttrice di un individualismo disgregatore, è, in realtà, una critica al sistema capitalistico globale (Magatti, 2009) reo di aver infranto l’antica alleanza tra capitalismo e democrazia e di aver puntato esclusivamente su uno sviluppo economico e tecnologico senza considerare le profonde implicazioni sociali e sui singoli individui. L’economia-mondo sta progressivamente depotenziando i meccanismi e i dispositivi propri dei regimi democratici e tutto ciò ha profonde ripercussioni non soltanto su assetti e gerarchie del sistema produttivo globale  ma anche, e soprattutto, sull’architettura complessiva dei diritti e delle tutele riguardanti le persone e, nello specifico, i lavoratori. In un quadro complessivo di generale indebolimento dei sistemi di welfare, si verifica così il passaggio dalla società del lavoro alla società del rischio (Beck,1986,1999 e 2007), con la definitiva affermazione di un’economia politica dell’insicurezza.

P.S. Condividete i contenuti ma, per cortesia, citate le fonti. Grazie e buona lettura!