La condivisione dei saperi e l’utopia di un sistema-mondo meno asimmetrico

Era il 1999 mentre scrivevo… verba volant, scripta manent

 

Alla base della nostra prospettiva vi è la speranza e la consapevolezza che la diffusione e la condivisione dei saperi e delle conoscenze, attraverso la comunicazione (etica), rappresenti davvero un valore aggiunto di cui i moderni sistemi sociali ad elevata complessità possano, senza dubbio, servirsi per tentare di governare la nuova ipercomplessità (globalizzazione), elaborando un progetto transnazionale forte ed autorevole che coinvolga anche i “soggetti deboli” del sistema-mondo.

Il processo di digitalizzazione ed informatizzazione della realtà sta favorendo la proliferazione di reti di interdipendenza e di interconnessione a tutti i livelli che, tuttavia, almeno per il momento, non ha reso meno evidenti le profonde asimmetrie del sistema-mondo (anzi). La circolazione delle idee e dei flussi informativi avviene ormai su scala planetaria e ciò sta facendo nascere una rete di interazioni a livello mondiale. Tuttavia, a voler sottolineare ancora una volta la natura ambivalente dei processi in atto, dobbiamo registrare, all’interno del sistema-mondo, l’esistenza di forze contrastanti tra loro (centripete e centrifughe*): infatti, contemporaneamente al fenomeno definito con il concetto di “globalizzazione”, va affermandosi una forza, rispetto a questo stesso processo, antitetica che la letteratura chiama localismo. Un concetto che vuole proprio indicare la reazione, soprattutto politica e culturale, che alcune parti dell’organismo sistema-mondo stanno esercitando rispetto alle forze omologanti e alle grandi pressioni economiche che l’economia-mondo impone soprattutto ai vecchi stati-nazione ed ai paesi più deboli, i quali si trovano completamente spiazzati (scavalcati) dalla virtualità e dalla rapidità dei flussi economici e informativi.

Il territorio dei vecchi stati-nazione, un tempo “portatore” di identità e di appartenenza, si trova immerso in una fittissima rete di interazioni (economiche, politiche, culturali etc.) sulle quali non riesce più ad esercitare nessun controllo: secondo alcuni, questo aspetto rappresenterebbe un vantaggio. Forse lo è, ma per ora riguarda solo i paesi più ricchi: anzi, la nostra sensazione è che se i vecchi stati-nazione non si riapproprieranno al più presto del loro ruolo e delle loro funzioni – in altri termini, se la politica (transnazionale) non si riprenderà il già esiguo spazio lasciatole dall’economia – la globalizzazione da possibile “risorsa” si trasformerà in elemento di definitiva spaccatura del sistema-mondo.

Il processo di globalizzazione, definito dal sociologo inglese Anthony Giddens come «l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa» , ha subito una impressionante accelerazione grazie ai nuovi strumenti comunicativi, che hanno favorito il processo di distanziazione spazio-temporale.

I media elettronici stanno decostruendo i concetti tradizionali di tempo e di spazio, rendendo possibili scambi sociali, economici e culturali del tutto indipendenti rispetto ai corrispettivi contesti.

In altre parole, la globalizzazione ha condotto alle loro estreme conseguenze i processi che avevano in ultima analisi generato la Modernità*, garantendole uno straordinario dinamismo: a) la separazione del tempo e dello spazio che, mettendo in correlazione sempre più stretta implicazioni locali e interazioni a distanza, riconfigura interamente le dinamiche della vita sociale; b) la conseguente disaggregazione (disembedding) dei sistemi sociali, che si realizza attraverso la creazione di “emblemi simbolici” (mezzi di interscambio come la moneta) e di “sistemi esperti” (sistemi di realizzazione tecnica o di competenza professionale, fondati su un “sapere esperto” che consideriamo valido), meccanismi entrambi basati sulla fiducia: tali meccanismi consentono interazioni sociali a grande distanza; c) l’ordinamento e il riordinamento riflessivo delle interazioni sociali in virtù dei continui input di sapere che condizionano in profondità l’agire individuale e collettivo (società dell’informazione e della conoscenza), elemento su cui torneremo più avanti. Quelle che Giddens chiama “istituzioni disaggregate” hanno la capacità di trasformare le pratiche locali in relazioni sociali globalizzate e viceversa.

Siamo, forse, di fronte alla nascita di una nuova cittadinanza elettronica globale* ed al conseguente indebolimento del senso di appartenenza alla comunità (Gemeinschaft), peraltro già provato dalla natura delle dinamiche della società industriale.

Nella società dell’informazione e della conoscenza, i confini dei vecchi Stati nazionali, portatori di identità culturali e politiche, sono stati annullati – per non dire spazzati via – dalla circolazione delle informazioni e delle conoscenze. Attraversiamo, in tal senso, una fase estremamente complessa, quella del grande mercato globale, in cui è diventato di fondamentale importanza saper sfruttare a pieno le potenzialità della società dell’informazione: la conoscenza, il sapere condiviso, l’informazione e la loro circolazione in tempo reale costituiscono, non soltanto le principali risorse strategiche (in termini di ricchezza e potere) di quella che abbiamo definito con Beck la società mondiale del rischio, ma anche, e soprattutto, le “leve” su cui la società globale può, e deve, fare forza nel tentativo di fornire gli “strumenti” concettuali ed operativi indispensabili per edificare un sistema-mondo più “etico” (e meno asimmetrico), fondato sul reciproco riconoscimento delle molteplici identità culturali e sulla condivisione di alcuni “valori” universali*. Si tratta, in altre parole, di ricollocare l’uomo/la Persona al centro del nuovo progetto di progresso globale: in questo progetto (che potrebbe essere visto da alcuni come “utopistico”), un approccio alla complessità, la ricerca di un sapere complesso e di un’etica della comunicazione – o se si preferisce, di una comunicazione globale etica – possono offrire un contributo di primaria importanza. La crescita complessiva del sistema-mondo non sarà realmente tale, se verrà nuovamente commesso l’errore di credere che progresso materiale e tecnologico risolvano ogni questione (come detto anche in passato, sono la cultura e l’accesso alla conoscenza le “vere” leve del cambiamento). La modernità radicale, con le sue caratteristiche a volte paradossali, ci obbliga, in ultima analisi, a riflettere sul fatto che la sola spiegazione economica dei fenomeni in atto a livello globale non è sufficiente, ma, soprattutto, non può più risultare predominante rispetto a quella politica, sociale e culturale.

 

Dico sempre: la conoscenza è processo sociale che ha origine e si sviluppa grazie alla condivisione*. Se siete interessati, condividete/riutilizzate pure i miei contributi ma citate le fonti. Grazie del vostro tempo!

immagine: opera di Vasilij Kandinskij