Le organizzazioni complesse tra “vecchi” miti organizzativi e razionalità limitata

“Dietro alla questione dei Big Data (e, più in generale, dei dati), a mio avviso, torna anche il “vecchio”, ma sempre attuale, tema della razionalità nelle scelte e nelle decisioni – non soltanto a livello organizzativo – che, importante esserne consapevoli, è sempre più una razionalità limitata (H.A.Simon). Nella società interconnessa/iperconnessa, si tratta di un aspetto ancor più paradossale se consideriamo proprio l’enorme disponibilità di dati e informazioni (non tutte utili, per la verità, anzi!). Tuttavia, consapevole dell’importanza di avere disponibilità di questa quantità infinita di dati e, soprattutto, di essere in grado di analizzarli ed elaborarli con le finalità più differenti, continuo a ritenere cruciali soprattutto le questioni legate alla capacità di comprendere fino in fondo e organizzare sistematicamente la mole infinita di informazioni contenute in questo tipo di (iper)complessità. In tal senso, la “vera” rivoluzione dei Big Data è legata alle nuove opportunità di analizzarli e tradurne le evidenze in decisioni da prendersi in un tempo ragionevole. Esiste evidentemente un problema cruciale di come riorganizzare i processi automatici di scelta delle notizie e delle informazioni che possono tradursi in conoscenza”.

Ripartiamo dal post precedente, riguardante l’importanza dei dati (che… “non parlano mai da soli”), per sviluppare ulteriormente il discorso sulla particolare ipercomplessità delle organizzazioni (cfr. concetto di sistemi complessi adattivi) e sulla centralità strategica che rivestono la comunicazione – da noi intesa come “processo sociale di condivisione della conoscenza” (1996) – e, appunto, la gestione delle informazioni e dei dati: due “variabili”, a loro volta, complesse assolutamente fondamentali per l’efficienza dei sistemi organizzativi e per la loro stessa capacità di adattarsi e gestire, in maniera attiva, l’imprevedibilità e il cambiamento (continuo). Sistemi organizzativi, in molti casi, incentrati sul vecchio paradigma organizzativo, tuttora estremamente condiviso e diffuso, al di là del discorso pubblico e di una certa comunicazione esterna (di reputazione= etichetta): un paradigma che prende vita dalla convinzione di fondo che la razionalità – una certa idea/visione della razionalità (disponibilità di informazioni – valutazione rapporto costi/benefici)  e dell’efficienza, fondate sulla gerarchia, sul possesso e l’usabilità di informazioni e dati – continui (debba continuare) a pervadere e dominare tutti i processi decisionali e conoscitivi e, più in generale, contraddistingua l’organizzazione e la stessa società (NOI) da tutto ciò che organizzato ed efficiente non è.

L’ambito o, per meglio dire, l’area della prassi sociale su cui continuiamo a lavorare è quello delle organizzazioni complesse, ancora profondamente segnate da culture organizzative (identità, credenze, valori, pratiche, simboli, dispositivi identitari, comportamenti, memoria, immagine etc.) di tipo tradizionale, fortemente conservative e conservatrici, il cui assetto e le cui gerarchie decisionali e conoscitive possono essere soltanto in parte scardinate dall’innovazione tecnologica e digitale; si tratta, infatti, di culture organizzative tuttora profondamente segnate da una certa visione (narrazione/rappresentazione/auto-percezione), per tanti versi perfino fuorviante, della razionalità e dell’efficienza nei processi organizzativi e, più in generale, sociali. Culture profondamente radicate e che traggono origine da quelli che rappresentano dei veri e propri (vecchi) “miti” dell’organizzazione e dell’azione collettiva e sociale: ricordiamo, oltre a quello della razionalità e dell’efficienza, quelli dell’ordine e del controllo totale dell’imprevedibilità e dell’incertezza, anche a livello di comportamenti individuali e collettivi. Vecchi “miti” che, in un passato anche recente, hanno portato all’illusione di definire perfino delle “leggi” scientifiche riguardanti la statica e la dinamica delle organizzazioni e delle società umane.

Organizzazioni complesse che, attualmente, si (auto)definiscono “a rete” o “2.0/3.0/4.0” ma che, in realtà, pur avendo introdotto tecnologia e digitale, continuano a gestire informazioni, conoscenze e, soprattutto, processi relazionali e comunicativi – capitale umano e sociale – con modalità e strumenti tipici di quel modello industriale soltanto riformulato e riattualizzato in chiave rivoluzione digitale.

 

Sistemi sociali aperti e razionalità limitata

L’organizzazione, come detto, può essere definita come un SISTEMA SOCIALE APERTO** – basato su un processo di interazione tra le parti – in cui la conoscenza dell’ambiente (stakeholders, dati, informazioni etc.) è decisiva per adattarsi al cambiamento, gestirlo e non “esserne gestiti”. Allo stesso tempo, la creazione di una cultura organizzativa si configura come l’asset strategico che consente la definizione di risposte efficaci all’imprevedibilità e alla vulnerabilità connaturate ai sistemi stessi, oltre che ai rischi potenziali e reali provenienti dall’ambiente.

D’altra parte, siamo di fronte ad un “… sistema adattivo di componenti fisiche, personali e sociali che sono tenute insieme da una rete di comunicazioni interpersonali e dalla volontà dei suoi membri di cooperare per il raggiungimento di un fine comune” (H.A.Simon,1947)

Qualsiasi tipo di organizzazione si fonda su PROCESSI, cioè su insiemi di ATTIVITÀ fra loro LOGICAMENTE INTERCONNESSE la cui efficienza ed efficacia sono garantite proprio dalla gestione efficiente di processi informativi e comunicativi, innescati da attori sociali che – è bene ricordarlo – producendo e condividendo informazioni e conoscenza, non si limitano ad adattarsi all’ambiente (sociale e/o organizzativo), bensì contribuiscono a modificarlo e co-generarlo.

Eppure, come già accennato e in maniera quasi paradossale, proprio nella cd. Società Interconnessa (2014) – segnata da processi di continua smaterializzazione e da un’enorme, infinita disponibilità di dati, informazioni e (talvolta) conoscenze – i sistemi organizzativi devono continuamente fare i conti con una condizione di RAZIONALITÀ LIMITATA sulla quale (spesso) si registra poca consapevolezza anche rispetto ad una serie di “variabili” assolutamente determinanti:

– complessità dell’ambiente di riferimento e dell’ecosistema;

– incapacità dell’attore sociale di raccogliere, elaborare e memorizzare tutte le informazioni necessarie;

– impossibilità di prevedere fino in fondo le strategie degli altri;

– conoscenza sempre parziale della “catena mezzi-fini” ;

– distinzione non chiara tra “mezzi” e “fini” ;

– conoscenza limitata delle alternative – ruolo delle convinzioni preesistenti nelle scelte/decisioni – l’analisi complessiva richiede costi eccessivi;

– impossibilità di conoscere tutte le conseguenze delle scelte (problema di ragionevolezza di tempi e costi) ;

– distorsioni nei feedback;

– le decisioni sono quasi sempre del “gruppo” e sono correlate a processi di cooperazione/competizione/conflitto;

– presenza di molteplici livelli di ambiguità.

 

Ciò significa che le dimensioni della percezione e dell’intuizione, oltre (evidentemente) a quella relazionale e di gruppo, sono davvero quelle più decisive e, allo stesso tempo, imprevedibili nelle dinamiche evolutive dei sistemi organizzativi. Oltretutto, il piano delle strutture e dei sistemi è strettamente correlato a quello delle Persone e della spazio comunicativo (sociale, sistemico-relazionale e interpersonale), dal quale, peraltro, è anche profondamente condizionato.

All’interno di tale ipercomplessità, l’attore sociale non è in grado di darsi una raffigurazione completa della realtà, né di conoscere tutti gli obiettivi possibili delle sue azioni; né infine di darsi una rappresentazione di tutti i mezzi possibili per raggiungerli o delle conseguenze di ciascuna azione.

Accade così che le informazioni utili per la soluzione dei problemi siano sempre incomplete e confuse con una grande quantità di dati inutili. Per non parlare della questione riguardante le (necessarie) competenze metodologiche per analizzarli, gestirli ed utilizzarli in maniera produttiva: come detto più volte in passato, la delega a software e applicazioni è inevitabile ma occorre essere consapevoli che questa non può colmare in alcun modo un vuoto formativo di tipo metodologico. Un problema che rischia di radicalizzarsi ulteriormente nel nuovo ecosistema (1996): la vera sfida – soggetta, in ogni caso, ad una serie di limitazioni – si conferma quella legata alla possibilità di trasformare le informazioni, che consentono l’interpretazione e l’azione sull’ambiente, in conoscenza, anche se sempre con relativi rischi di conflittualità (controllo delle risorse). Affinché ciò si verifichi è necessario che si attivino concretamente processi di condivisione, e non di semplice scambio. Di conseguenza, la variabile complessa “benessere organizzativo” si (ri)presenta ancor di più come di fondamentale importanza, pur nella sua intangibilità e difficile misurabilità.

Come scritto anche in passato: “[…] la società della conoscenza spinge le organizzazioni complesse a configurarsi come “sistemi sociali aperti” (Dominici 1998 e sgg.) che tentano di governare l’incerto attraverso la condivisione di una cultura organizzativa e progettuale (vedi teoria dei sistemi), definita ed elaborata all’interno di quelle reti relazionali intersoggettive esistenti “dentro” i sistemi organizzativi. Si tratta di un (necessario) cambio di paradigma culturale (Dominici,1996) (lungo periodo) che, oltre a coinvolgere modelli organizzativi e strategie di azione, riguarda da vicino la qualità delle relazioni sociali e, nello specifico, le persone (e la questione della responsabilità) con il loro sapere, le loro competenze ma anche i loro vissuti sociali (ibidem). La conoscenza sociale e relazionale (intersoggettività), prodotta sempre da un “NOI”, viene ulteriormente elaborata (e condivisa) nell’incontro/confronto con l’Altro, qualunque sia la situazione/contesto. […] Gli attori sociali producendo conoscenza non si limitano ad adattarsi all’ambiente (sociale e/o organizzativo), bensì contribuiscono a modificarlo e co-generarlo (si pensi anche al concetto di “autopoiesi” – ricordo, in particolare, gli studi di H.R. Maturana e F.J. Varela, dello stesso N.Luhmann, punti di riferimento essenziali più volte citati)”.

Dando vita ad una ipercomplessità di cui siamo tuttora poco consapevoli…

 

Alcuni riferimenti bibliografici per chi volesse approfondire:

Becker G.S. (1964-75-93), Human Capital. A Theoretical and Empirical Analysis, with Special Reference to Education, trad.it., Il capitale umano, Laterza, Roma-Bari 2008.

Bernstein D. (1984), Company Image and Reality, trad.it., Company Image. La comunicazione d’impresa tra immagine e realtà, Guerini, Milano 1988.

De Toni A.F., De Zan G., Il dilemma della complessità, Marsilio, Venezia 2015.

Dominici P. (2005), La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento, FrancoAngeli, Milano 2011.

Dominici P., La Società dell’irresponsabilità , FrancoAngeli, Milano 2010.

Dominici P., Dentro la Società Interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014.

Douglas M. (1985), Risk Acceptability According to the Social Sciences, Routledge, New York, trad.it., Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano 1991.

Emery F.E. (a cura di), Systems Thinking, trad.it., La teoria dei sistemi. Presupposti, caratteristiche e sviluppi del pensiero sistemico, FrancoAngeli, Milano 2001.

Invernizzi E., La comunicazione organizzativa: teorie, modelli e metodi, Giuffrè, Milano 2000.

Luhmann N. (1984), Soziale Systeme, Suhrkamp, Frankfurt 1984, trad.it. Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna 1990

McDaniels T., Small M.J., Risk Analysis and Society: An Interdisciplinary Characterization of the Field, Cambridge: Cambridge University Press, 2004.

Minghetti M., L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization, EGEA, Milano 2013.

Mintzberg H. (2009), Managing, trad.it., Il lavoro manageriale, FrancoAngeli, Milano 2010.

Morin E. (1990), Introduction à la pensèe complexe, trad.it., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993.

Simon H.A. (1947), Administrative Behavior, trad.it., Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna 1958.

Taleb N.N., Antifragile, trad.it., Antifragile, Il Saggiatore, Milano 2013

Watzlawick P., Helmick Beavin J., Jackson D.D. (1967), Pragmatic of Human Communication. A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes, trad.it., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971.

Weick K.E., Sutcliffe K.M. (2007), Managing the Unexpected. Resilient Performance in an Age of Uncertainty, trad.it., Governare l’inatteso, Raffaello Cortina Ed., Milano2010.

 

Allego a questo post alcuni precedenti contributi che sviluppano le questioni accennate:

  1. La condizione del sapere nella società della conoscenza

http://bit.ly/1wAmbAD

  1. La Società interconnessa e il ritardo nella cultura della comunicazione

http://bit.ly/1HgiZ2k

  1. Competenze e saperi per la Società Interconnessa: le due culture e la complessità

http://bit.ly/1QXZzkI

4.La cultura motore del cambiamento, ma anche agente di democratizzazione e cittadinanza

http://bit.ly/1qaeFYq  

5.La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo

http://bit.ly/1QXZJZF

6.La questione culturale e il problema della responsabilità: il ruolo strategico di scuola e istruzione. In cerca di “teste bene fatte”

http://bit.ly/1tjO7ni

7.L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica

http://bit.ly/1LS0Qbz

  1. L’accesso è la nuova misura dei rapporti sociali …nuove categorie per una nuova complessità

http://bit.ly/1CkENRf

  1. Nella Rete: sapere riflessivo e sistemi ad alta interdipendenza…tra inclusione ed esclusione

http://bit.ly/1P0QfgE

10.Il rischio di essere sudditi in democrazia

http://bit.ly/RoRScn

 

N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, CITATE SEMPRE GLI AUTORI anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro degli altri.

 

Il dipinto è di Piet Mondrian