Arte è complessità…
La complessità della complessità* e la sua rappresentazione
Un contributo che sarebbe dovuto uscire qualche mese fa…lo ripropongo oggi, recuperando anche alcuni brani estratti da altre pubblicazioni (divulgative e scientifiche).
…Prendendo spunto dalla notizia ANSA, relativa alla prossima Biennale Arte 2019 dedicata al tema della “complessità”, ho pensato di condividere un estratto del saggio Abitare i confini, oltre l’incompletezza. Tra complessità e cultura della comunicazione, pubblicato in Pier Luigi Capucci, Giorgio Cipolletta (eds.), The New and History – art*science 2017/Leonardo 50 Conference Proceedings, Ravenna, Noema, 2018.
Di seguito, per comodità, riporto il testo ANSA: «L’arte non dovrebbe andare a braccetto con “il conformismo della semplicità”, bensì “abbracciare la contraddizione”, fornire gli strumenti per comprendere prospettive diverse. E’ un po’ questo il manifesto della Biennale Arte 2019, illustrato dal nuovo curatore, Ralph Rugoff, presentato a Ca’ Giustinian dal presidente dell’ente culturale veneziano, Paolo Baratta. E proprio della complessità la prossima Mostra d’arte di Venezia – dall’11 maggio al 24 novembre 2019 – vuole diventarne il principale ‘alleato’. “May you live in interesting times” (che tu possa vivere in tempi interessanti) è il titolo della kermesse. Si tratta di un ‘finto’ proverbio cinese, in voga nella politica degli Trenta e negli anni Sessanta: “Non c’è dubbio che i nostri tempi ‘siano interessanti’ – ha detto Rugoff – Le cose cambiano in modo imprevedibile, con mutamenti di governo che nessuno avrebbe previsto, la Brexit è stata inaspettata, gli Usa hanno eletto un presidente che nessuno pronosticava, in Europa sono nati governi proto fascisti, non succedeva dagli anni Trenta”. L’intento di Rugoff è combattere il modello imposto di discussione polarizzata. “L’arte – ha sottolineato – ci dona gli strumenti per sperimentare e percepire la complessità”. Ormai, ha proseguito Rugoff, “è impossibile il dialogo tra estremi opposti. Internet ha agevolato questo scenario, oggi posso scegliere di avere sullo smartphone solo le notizie che mi piacciono. L’arte invece abbraccia la contraddizione, ha un ruolo di enorme importanza, quello di aiutarci a risintonizzare il nostro pensiero, sviluppando la comprensione di prospettive diverse”. Alla prossima Biennale d’arte contemporanea, quindi, si cercherà di mettere in discussione categorie e canoni, abbracciando punti di vista multipli. “Sono convinto che l’arte sia conversazione, un’esperienza. – ha aggiunto il curatore – In una mostra l’importante non è l’oggetto esposto, ma è come uscendo si vede il mondo in maniera diversa. L’arte ci dona gli strumenti per sperimentare e percepire la complessità”. Nessuna tesi o modello precostituiti, quindi. Quella del 2019 sarà una Biennale “collegiale”, in cui gli stessi artisti diventeranno curatori, indicando eventuali “colleghi” che vorrebbero vedere esporre: “Sarà un viaggio in cui alla fine l’idea di partenza non sarà quella finale”, ha concluso Rugoff. Il presidente Paolo Baratta ha sottolineato i successi degli ultimi anni: “Con 615mila visitatori – ha ricordato – la Biennale è diventata sempre più indipendente, senza la necessità di supporti esterni. Sarà sempre più così, i numeri ci dicono che siamo diventati una meta di ‘pellegrinaggio’ per espandere il proprio sguardo. Tanto più ora in cui c’è un nuovo ‘conformismo della semplicità’, abbiamo il compito di presentare la complessità della nostra realtà, ciò che mostra ma anche ciò che nasconde. Dobbiamo rinfocolare la voglia di uno sguardo diverso, in questo senso gli artisti sono una risorsa importante per scoprire la complessità”. Di seguito il link all’articolo: http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2018/07/16/biennale-arte-2019-contro-conformismo_8c73f535-b4c0-49cd-a873-60f21332583c.html ANSA del 16/07/2018
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Colgo l’occasione per ricordare che il Festival della Complessità https://www.festivalcomplessita.it/ e il Complexity Education Project https://www.complexityeducation.com/, gruppo di ricerca internazionale afferente all’Università degli Studi di Perugia, si occupano da molti anni di tali questioni ed è particolarmente significativo, ancor di più per chi studia e fa ricerca, da sempre, in questi campi, inevitabilmente multidisciplinari e interdisciplinari, che anche una manifestazione importante come la Biennale di Venezia sia stata dedicata al tema “complesso” della complessità https://www.labiennale.org/en/art/2019
Ricordando che è sempre possibile proporre e promuovere altri eventi, allego volentieri il programma della X Edizione del Festival (link al calendario degli eventi), intitolata “Pensare a come pensiamo”, https://www.festivalcomplessita.it/calendario-eventi-2019/ .
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Abitare i confini, oltre l’incompletezza. Tra complessità e cultura della comunicazione
[…]“Oggetti come sistemi” (Dominici, 1995 e sgg.), proprio così… Nella civiltà ipertecnologica e iperconnessa, dobbiamo necessariamente imparare (educare) a vedere, osservare, guardare, riconoscere gli “oggetti come sistemi”. Perché ci confrontiamo, sempre e comunque, con sistemi complessi adattivi e questioni complesse che coinvolgono numerosi ambiti disciplinari differenti, richiamando la nostra attenzione sull’importanza di una prospettiva sistemica, interdisciplinare e multidisciplinare, che sfugge alla tradizionali categorie e definizioni; un’ipercomplessità, caratterizzata da limiti sempre più impercettibili tra natura e cultura, naturale e artificiale, tra umano e non umano, che non può trovare risposte e soluzioni semplici a problemi che sono, evidentemente, complessi. Occorre ripartire, in tal senso, proprio dal ripensamento complessivo (1) del sapere come sapere condiviso e transdisciplinare (Dominici 1996, 2005), (2) dello spazio tra i saperi e, ad un secondo livello, di quello tra le competenze; ma è necessario, allo stesso tempo, un ripensamento complessivo anche dello spazio relazionale (libertà è responsabilità*- centralità dei processi educativi) che ponga la Persona*al centro del complesso processo di mutamento in atto (Dominici, 1996-2017), nel quadro di una rinnovata interazione con la Tecnica e le tecnologie.
Ricomponendo quella che, proprio nella civiltà ipertecnologica e ipermoderna, si configura – e ho definito – come la “grande frattura” (non l’unica prodotta dalla Modernità): la frattura tra cultura e tecnologia/tecnologie, direttamente scaturita da quella tra formazione umanistica e formazione scientifica che, peraltro, ne ha determinate anche altre di cui paghiamo un “costo” pesantissimo riguardante il mondo della ricerca scientifica nel suo complesso, ma anche i molteplici universi della produzione intellettuale e creativa. Anche perché siamo di fronte ad una ipercomplessità che – come ripetuto più e più volte in passato – vede l’evoluzione culturale ormai in grado di condizionare quella biologica: ciò richiede un cambiamento di paradigma che trova il suo punto d’appoggio, la sua “leva” fondamentale, nell’urgente necessità di ridefinire (o, finalmente, abbattere!) i confini tra naturale e artificiale, tra umano e non-umano, tra mente (individuale, collettiva) ed ambiente, tra sistemi e nuovo ecosistema etc. Mi ripeto, ma ritengo questo punto del ragionamento fondamentale: complessità e specializzazione, multidisciplinarità e specializzazione non sono in alcun modo antitetiche, né tanto meno rappresentano delle dicotomie. Necessario ripartire dall’esigenza di coniugare teoria e ricerca/pratica, conoscenze e competenze (non soltanto “tecniche”), umano e tecnologico non cadendo nella trappola, non soltanto argomentativa, dell’inutilità dei saperi (su utilità/inutilità della conoscenza ci sarebbe da dire tantissimo, ma ci torneremo).
Come affermato più volte in passato, ci ritroviamo gettati nell’ipercomplessità*, siamo costretti ad abitarla e interagirci, senza avere la “forma mentis” e gli strumenti necessari per farlo. Dobbiamo confrontarci con un complesso processo di trasformazione antropologica (Dominici, 1996), che sta determinando un cambiamento di paradigmi, modelli, codici, linguaggi, forme estetiche, strumenti, tecnologie; processi complessi e non prevedibili che portano con sé anche l’inevitabile sintesi di nuovi valori e criteri di giudizio e che mettono profondamente in discussione le categorie, i metodi, gli approcci, la nostra stessa umanità.
Le straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, non soltanto spalancano orizzonti e scenari tuttora inimmaginabili, ma rendono ancor più evidente l’urgenza di ripensare, in maniera radicale, istruzione, educazione e formazione, sottolineando la sostanziale inadeguatezza di Scuola e Università di fronte a tale ipercomplessità, di fronte all’indeterminatezza e all’ambivalenza della metamorfosi in atto; di fronte all’estensione su scala globale di tutti i processi politici, sociali e culturali.
La “nuova” velocità del digitale, nell’interazione complessa con il “fattore umano” e il sistema delle relazioni sociali, conserva l’ambivalenza originaria di qualsiasi fattore di mutamento e di qualsiasi processo sociale e culturale; un’ambivalenza che, oltre ad essere straordinaria opportunità, mette ancor più in evidenza i nostri limiti e le nostre inefficienze – a livello personale, organizzativo e sociale – ma, soprattutto, ci lascia poco tempo per la riflessione, l’analisi critica, il tentativo di “sguardo d’insieme”. Nel prendere atto di tali inadeguatezze, e della irreversibilità di tali processi e dinamiche, rileviamo come esista il rischio concreto di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla dimensione “tecnica”, su quella “tecnologica” (e, conseguentemente, sull’esigenza di una formazione esclusivamente tecnica e iperspecialistica) e, più in generale, applicativa, sottovalutando ancora una volta quella riguardante le Persone (e la loro creatività), il sistema di relazioni, il contesto educativo e culturale, i mondi vitali (!) (Habermas, 1981; Dominici, 2005-2017), le nuove asimmetrie.
E, in termini più generali ma essenziali (!), ponendo l’attenzione soltanto sui “come” e non sui “perché”, soltanto sulle “soluzioni” (?) e non sui “problemi”; soltanto sulle “conferme” e non sugli “errori”; soltanto sulle “risposte” e non sulle “domande”. Non lasciando spazio alle dimensioni fondamentali dell’immaginazione e della creatività che si alimentano proprio di contaminazioni tra discipline e saperi, tra esperienze e vissuti, tra paesaggi sociali e culturali. Puntando tutto sul “pensiero meccanico” e non sul “pensiero analitico”, men che meno sul “pensiero sistemico”; in ogni caso, un pensiero che, mai come ora, non può che essere un pensiero multidimensionale. Errori e domande sono il vero sale dei processi conoscitivi e innovativi, oltre che della ricerca scientifica; da molti anni, forse troppi, continuiamo a farci cullare (anche per ciò che concerne apprendimento, educazione e formazione) dalle illusioni della civiltà ipertecnologica, supportate da narrazioni e interessi economici. Confondendo, peraltro, metodologia e tecnologia, metodologia e digitale. In tal senso, educazione e formazione critica alla complessità ed alla responsabilità si configurano come gli “strumenti” complessi di costruzione sociale della Persona (prima) e del Cittadino (poi); strumenti in grado di definire le regole d’ingaggio della “nuove” forme di cittadinanza (globale) e di inclusione, correlate all’avvento della cd. società della conoscenza (Castells, 1996-2009; Rifkin, 2000; Himanen, 2001; Benkler, 2006; Hess-Ostrom, 2007; Rainie-Wellman, 2012). Perché non sono, e non saranno, la tecnologia e/o il digitale a determinare cittadinanza e inclusione.
Come ho avuto modo di affermare più volte: «Una (iper)complessità che non è un’opzione, è un “dato di fatto”: il vero problema è che non siamo educati e formati a riconoscerla e, in ogni caso, non con la nostra testa. Di fatto, non da oggi «la tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio» (Dominici, 1996), rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è soprattutto culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.)».
«Nel quadro complessivo di un necessario ripensamento/ridefinizione/superamento della dicotomia natura/cultura, non possiamo non prendere atto di come i ben noti meccanismi darwiniani di selezione e mutazione si contaminino sempre di più con quelli sociali e culturali che caratterizzano la statica e la dinamica dei sistemi sociali. Questo progressivo impossessarsi delle leve della propria evoluzione mette radicalmente in discussione modelli e categorie tradizionali, obbligandoci (?) a rivedere/riformulare addirittura anche la stessa definizione del concetto di Persona; a ripensare l’umano e la sua interazione, per certi versi, ambigua con la tecnica (Mumford 1934, 1998) e il tecnologico: un’interazione da cui non può che scaturire una sintesi complessa di cui non siamo ancora in grado di valutare prospettive, sviluppi e implicazioni. Tra “nuove” utopie e distopie» (cit.). Tra forze dell’interdipendenza e forze della frammentazione. Tra inclusività ed esclusività, dentro asimmetrie che corrono lungo traiettorie discontinue. Occorre, pertanto, essere consapevoli – non soltanto a parole e nel discorso pubblico – che il futuro è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico (Dominici, 1998), di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze (ibidem); di chi saprà coniugare, di più, fondere le due culture (umanistica e scientifica, cfr. Snow) sia a livello di educazione e formazione, che di definizione di profili e competenze professionali. Andando oltre quelle che, in tempi non sospetti, avevamo definito le «false dicotomie» (Dominici, 1996-2017): natura vs. cultura; naturale vs. artificiale; mente vs. ambiente; cultura vs. tecnologia/e; formazione scientifica vs. formazione umanistica; arte vs. scienza; complessità vs. specializzazione; immaginazione vs. razionalità; emozioni vs. razionalità; creatività vs. razionalità; teoria vs. ricerca/pratica; conoscenze vs. competenze; hard skills vs. soft skills; forma e contenuto. Occorre correggere radicalmente la strutturale inadeguatezza e le clamorose miopie che caratterizzano, da sempre, le istituzioni e i “luoghi” responsabili della definizione e costruzione delle condizioni di emancipazione sociale, non soltanto promuovendo un’educazione critica alla complessità e alla responsabilità (fin dai primi anni di scuola), ma premiando e incoraggiando, nei fatti e non soltanto nei documenti istituzionali, l’interdisciplinarità e la transdisciplinarità anche, e soprattutto, a livello della ricerca scientifica. Ciò avrebbe ricadute significative sui percorsi didattico-formativi e la ben nota “formazione dei formatori”. Occorre prendere definitivamente coscienza che il vero “fattore” strategico del cambiamento e dei processi di innovazione è il “fattore” culturale: una variabile complessa in grado, nel lungo periodo, di innescare e accompagnare i processi economici, politici, sociali.
Nature | Culture |
natural | artificial |
human | technological |
mind | environment |
culture | technology |
humanistic studies | scientific studies |
art | science |
complexity | specialization |
interdisciplinarity | specialization |
imagination | rationality |
emotion | rationality |
creativity | rationality |
theory | practice/research |
Thinking/Thought | Action |
knowledge | competences |
soft skills | hard skills |
form | content/substance |
Fig.1: Healing the Fracture: “False Dichotomies” and the urgency of Rethinking Education (Dominici, 1995-2018)
Purtroppo, l’errore strategico, che stiamo ripetendo nel tempo, è proprio quello di continuare a pensare che, per questa civiltà ipertecnologica, servano solo figure (e saperi/competenze) molto preparate a “saper fare”, a “saper utilizzare”, nell’ambito di una dimensione squisitamente tecnica e tecnologica; si tratta di una impostazione miope che ci manterrà in una condizione di perenne ritardo culturale. E – come dico sempre – continueremo a raccontarci che la tecnologia va più veloce della cultura, come se la prima fosse un qualcosa di “esterno” alla seconda. Al contrario, mi ripeto: noi abbiamo bisogno di figure ibride (Dominici, 1995 e sgg.), di manager della complessità (uso questa formula per comodità e per sintesi), che sappiano vedere opportunità in quelli che oggi definiamo e riconosciamo come rischi, vulnerabilità, variabili di un pericoloso disordine, capace di rendere ancor più instabili e insicuri i sistemi e la vita sociale. È tempo di agevolare, concretamente, la realizzazione di ponti tra i saperi, tra le competenze, tra il naturale e l’artificiale (confini saltati), tra i saperi e la vita, tra l’umano e il tecnologico.
Abitare l’ipercomplessità*(1996) non è soltanto saper gestire/controllare le tecnologie, sfruttandone al massimo le potenzialità. Quelli che oggi sono considerati confini e limiti – fra i saperi, fra le conoscenze e le competenze, fra la razionalità e la creatività – possono e debbono diventare varchi, aperture, percorsi, opportunità. Come detto, abbiamo/avremo sempre più bisogno di “figure ibride”, di profili curriculari che, come ripeto da tanti anni, sappiano tenere insieme immaginazione e razionalità, creatività e rigore metodologico…l’umano e il tecnologico. Abbiamo un disperato bisogno di riportare la creatività, l’immaginazione, le emozioni dentro i processi educativi e formativi, dentro le istituzioni educative e formative. Perché è la complessità del mutamento in atto, la sua ambivalenza, velocità e imprevedibilità – una complessità, come detto, sempre più segnata dalla coesistenza di ordine e caos – ad averci mostrato, senza mezzi termini, l’inadeguatezza degli attuali processi educativi e formativi, ma anche l’inconsistenza delle spiegazioni riduzionistiche e dei tradizionali modelli interpretativi lineari. Anomalie e criticità profonde, che insieme alla nostra incompletezza (ontologica ed esistenziale), hanno reso ancor più rapida l’obsolescenza di conoscenze e competenze.
Epilogo
Tra gli obiettivi della nostra riflessione, c’è stato evidentemente anche quello di rileggere i percorsi evolutivi di arte e scienza come processi complessi di passaggio dalla linearità alla complessità, dall’ordine al caos, dalla misura all’indefinito; percorsi, traiettorie, discontinuità che sottolineano ancor una volta la debolezza, l’incompletezza e l’inadeguatezza dei modelli interpretativi lineari e, più in generale, dei modelli culturali che caratterizzano l’attuale prassi sociale e organizzativa. Un’inadeguatezza che contraddistingue tutte le forme di riduzionismo e determinismo.
Mai come in questa fase storica di mutamento, segnata dalla rapida obsolescenza delle conoscenze e delle competenze, abbiamo un disperato bisogno di educare e formare “teste ben fatte” (Montaigne), caratterizzate da una “curiosità creativa” e da un pensiero che non può che essere sistemico e multidimensionale. Quella “curiosità creativa” che contraddistingue sia l’arte che la scienza. D’altra parte, l’Arte non soltanto è complessità: è anche il linguaggio, il codice più complesso e articolato in grado di rappresentare le connessioni della complessità, rendendole evidenti, percepibili e tangibili. L’Arte, con i suoi linguaggi complessi e immediati allo stesso tempo, è in grado di rendere l’invisibile e l’impossibile visibile e possibile. Si tratta dell’unica forma di mediazione simbolica (Cassirer, 1923-1929) capace di non ingabbiare la vitalità dello spirito, rafforzando le connessioni tra le parti e trascendendo – andando “oltre”- i modelli lineari tradizionali, i consueti ragionamenti dialogici e le polarizzazioni dei discorsi e dei tentativi interpretativi. A tal proposito, deve far riflettere molto come la dimensione artistica (quella più creativa) sia stata ridimensionata o persino esclusa dai percorsi didattico-formativi delle nostre scuole e università. Attualmente, anche i tentativi di ri-trovare le intersezioni tra i diversi campi del sapere e della prassi, come per esempio nelle cd. digital humanities, finiscono in ultima analisi per favorire, e alimentare, proprio quella stessa separazione tra tecnologia e cultura, che tentato di contrastare. Esiste ancora poca consapevolezza di come l’Arte sia capace di gettare lo sguardo sui dettagli e sulla totalità, rappresentando un fondamentale “dispositivo”, anche e soprattutto, per insegnare il pensiero sistemico ed educare alla complessità. In tal senso, il contributo dell’Arte è fondamentale per ripensare i processi educativi e provare a ricomporre la frattura tra forma e contenuto, tra cultura e tecnologia, tra formazione umanistica e formazione scientifica, tra immaginazione e razionalità. Da tempo, infatti, non sappiamo più guardare/osservare l’insieme, il sistema, l’intero, la globalità, il sistema di relazioni e/o interazioni che li caratterizzano; in altre parole, ne riconosciamo con difficoltà legami, correlazioni, nessi di causalità: proprio perché siamo stati educati e formati (nella migliore delle ipotesi) a descrivere, registrare regolarità, ai “come” e non ai “perché”; siamo stati educati e formati a cercare (?) e ad accontentarci di risposte semplici e/o pre-codificate, in ogni caso, ottenute in poco tempo: eppure, in futuro, per affrontare l’ipercomplessità, dovremo essere in grado di farlo, di invertire queste preoccupanti tendenze, sempre nella piena consapevolezza della rilevanza strategica del processo inarrestabile di specializzazione di saperi e conoscenze. Occorrono scelte strategiche ed una nuova sensibilità etica per le problematiche riguardanti gli attori sociali, il sistema delle relazioni e lo spazio del sapere: occorre, cioè, una “nuova cultura della comunicazione” (Dominici, 1996), orientata alla condivisione e all’intesa, in grado di incidere sui meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione (Coleman, 1990; Elias, 1987; Granovetter, 1973; Putnam, 2000). Rimettendo al centro la Persona, le emozioni, la creatività, l’immaginazione, l’immaginario, lo spazio relazionale, i processi educativi.
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https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4 #PeerReviewed
Segnalo alcuni articoli e contributi:
Tra conoscenza e controllo sociale (spunti per una lettura critica)
“Per un’innovazione inclusiva**: ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”
“Innovare significa destabilizzare”. Perché la (iper) complessità non è un’opzione
“Il grande equivoco. Ripensare l’educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa”
“La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo”
“L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale”
“La condizione del sapere nella società della conoscenza: tra condivisione e riproducibilità “tecnica”(?)”
La comunicazione ridotta a marketing #PianoInclinato
Tra le interviste, condivido volentieri:
Intervista concessa a l’Huffington Post: “La cultura della complessità come cultura della responsabilità”
Intervista concessa a VITA: “Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni”
#CitaregliAutori
Vi ringrazio per il tempo dedicato e Vi auguro buona riflessione.
N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.
I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni e collegamenti ad altri testi. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.
Un approccio e percorsi di ricerca dal’95
#CitaregliAutori
Immagine: opera di R.Magritte