Si può essere sudditi in democrazia? La cittadinanza come questione sociale e culturale
Le uniche “cose” prevedibili, con riferimento alla vita, all’Umano, ai sistemi sociali (e alla loro iper-complessità), sono proprio…l’imprevedibilità e l’errore. (Dominici, 1998, 2003 e sgg.)
#CitaregliAutori
In questo tempo sospeso e surreale, illusi da quella che chiamo “simulazione della prossimità”, abbiamo (forse) più tempo per riflettere, pensare, evadere con la lettura e la creatività /immaginazione (anche se ciò, evidentemente, non vale per le tantissime persone in difficoltà…); abbiamo (forse) più tempo per apprezzare la lentezza. E, così, ho pensato di condividere, di continuare a condividere, anche pubblicazioni ed estratti da pubblicazioni (sia divulgative che scientifiche).
Il saggio (prefazione), qui di seguito condiviso, è estratto da: P.Dominici, Si può essere sudditi in democrazia?, in, A.Coratti (a cura di), Cittadinanza e Costituzione. Ripensare la comunità, Ed.Kappabit, Roma 2019*
Come sempre, senza “tempi di lettura”.
I diritti non sono che parole vane per chi non ha i mezzi per farli valere
Giuseppe Mazzini
La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita
Ernesto Rossi e Altiero Spinelli
Il diritto di accesso si presenta ormai come sintesi tra una situazione strumentale e l’indicazione di una serie tendenzialmente aperta di poteri che la persona può esercitare in rete
Stefano Rodotà
La socialità non è un accidente né una contingenza; è la definizione stessa della condizione umana
Tzvetan Todorov
Si può essere sudditi in democrazia? Questa è la domanda con la quale inizio, da sempre, i miei corsi universitari, le conferenze e gli incontri nelle scuole dove vengo invitato a dibattere di educazione, cittadinanza, democrazia, etica pubblica. Questa è la domanda da cui prende le mosse la riflessione che intendo condividere in questa sede.
Il titolo della presente premessa richiama un’esigenza forte personalmente manifestata già alla fine degli anni Novanta: ridefinire e ripensare la cittadinanza e, di conseguenza, ridefinire e ripensare gli stessi concetti di libertà e responsabilità che, da sempre, costituiscono la relazione dialettica complessa su cui la democrazia si fonda: si tratta, infatti, di concetti e categorie multidimensionali da ri-leggersi, a mio avviso, sempre in chiave relazionale, dal momento che presuppongono il Noi e non l’Io. Un’urgenza di ridefinizione e ripensamento delle stesse categorie concettuali fondamentali, che si manifesta in maniera ancor più evidente nella società asimmetrica[1] e dell’auto-normatività del mercato: una fase di transizione accelerata, complessa e caotica che, nel ridisegnare variabili e loro relazione sistemica, territori e scenari della prassi sociale e della vita pubblica, ha prodotto “dialettiche aperte” e, soprattutto, nuove regole d’ingaggio della cittadinanza[2]. Siamo nel mezzo di una fase di mutamento in cui globalizzazione e connettività complessa sono di fatto divenute “condizioni empiriche” del sistema-mondo.
Una fase di transizione, di sconvolgimento dei paradigmi, in cui: «Ci ritroviamo così gettati nell’ipercomplessità, nel tentativo di abitare la civiltà ipertecnologica, iperconnessa e delle macchine intelligenti (?): una civiltà fondata sulla programmazione, sull’automazione e sulla (iper)simulazione di processi e dinamiche, e segnata da una progressiva, oltre che esponenziale, crescita della dimensione del tecnologicamente controllato che, di fatto, oltre che ridimensionare/marginalizzare lo spazio dell’Umano e della responsabilità (almeno, in apparenza), continua ad alimentare una vecchia e controproducente illusione: quella di poter espellere/eliminare l’errore (pre-requisito fondamentale di qualsiasi conoscenza, della vita e della stessa libertà) e l’imprevedibilità, non soltanto da educazione e formazione, ma dagli stessi sistemi complessi, oltre che dai processi sociali e organizzativi che li caratterizzano. In questa prospettiva, le sfide della cittadinanza e di una rivitalizzazione della democrazia sono in fondo riconducibili proprio all’urgenza di ripensare/ridefinire la centralità della Persona e dell’Umano, dentro ambienti ed ecosistemi in cui, oltre ad essere aumentate le variabili e le concause da considerarsi, non esiste più alcun confine/limite tra naturale ed artificiale, oltre che tra natura e cultura (vecchia “falsa dicotomia”)»[3].
Oggi, forse come mai in passato, appare evidente come l’ipercomplessità non sia più un’opzione (non lo è mai stata), bensì un “dato di fatto”, che ci vincola a recuperare quelle che ho definito, in passato, le dimensioni complesse della complessità educativa (ibidem): l’empatia, il pensiero critico, una visione sistemica dei fenomeni, una cultura dell’errore (interamente da costruire), l’educazione alla comunicazione, oltre a dimensioni che abbiamo volutamente rimosso, come le emozioni, l’immaginario e la creatività. È tempo di immaginare, progettare, realizzare i sistemi complessi vedendoli – perché, di fatto, lo sono – come organismi viventi e non come macchine. Sistemi complessi e non complicati, appunto. Recuperare tali dimensioni si rivela di vitale importanza anche, e soprattutto, in considerazione del fatto che le straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, la velocità e l’intrinseca dinamicità del mutamento in atto, non ci hanno condotto verso la semplificazione, anzi!
Occorre recuperare, in tal senso, la consapevolezza che, proprio nell’era della disintermediazione, le figure (sociali e professionali), le istituzioni, i processi e i meccanismi di mediazione debbono tornare a svolgere una funzione, a dir poco, strategica. In particolare, le figure di mediazione, tornano ad essere ancor più strategiche, ma devono essere educate, preparate, formate, aggiornate costantemente, a riconoscere e confrontarsi con tale ipercomplessità, con la ricchezza delle relazioni sistemiche e dei livelli di connessione che caratterizzano, non soltanto la civiltà ipertecnologica, ma la vita stessa. E – mi ripeto – senza mettere mano a educazione e formazione, in maniera radicale, non saremo mai in grado di confrontarci e interagire con questa ipercomplessità; e non saranno le tecnologie e il digitale a creare le condizioni perché ciò avvenga e, allo stesso modo, non saranno le tecnologie a ricostituire i legami sociali, a ri-attivare i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione, a determinare le condizioni di un’innovazione realmente inclusiva.
Occorre lavorare per ri-costituire, per ri-mediare, il legame sociale e, ancor di più, per ripensare il contratto sociale[4].
In maniera estremamente semplice e immediata: se per “contratto sociale” intendiamo quel sistema di regole, accordi e convenzioni che rende possibile la cd. “società” (NOI, il sistema di relazioni, le reti e i meccanismi sociali etc.), sostituendo il vecchio “stato di natura”, e da cui la società stessa può/deve scaturire e se per “società” (le definizioni sono molteplici e riconducibili ad una letteratura scientifica vastissima e articolata) intendiamo, con le nostre parole, un insieme di attori sociali, in qualche modo, vincolati l’uno all’altro da un sistema di relazioni, rapporti e interazioni di vario genere, tra cui si instaurano forme di scambio, cooperazione, collaborazione e divisione di ruoli e compiti, che assicurano la sopravvivenza, la coesione e la riproduzione dell’insieme/sistema stesso e dei membri che lo costituiscono[5]; ebbene non possiamo non prendere atto di come, proprio nella cd. società della conoscenza, sempre più (iper)complessa e iperconnessa, e, quasi ai limiti del paradosso, sempre più basata su una “razionalità limitata”[6], se pensiamo all’infinita disponibilità di dati e informazioni, il rapporto esistente tra la proposta di un “nuovo contratto sociale” e la questione educativa si riveli a dir poco intima, strettissima.
Proprio perché quel sistema di accordi e convenzioni, che rendono possibile la “società” (sistema di relazioni e interazioni, caratterizzato anche da segni, simboli, credenze, rappresentazioni, modelli di comportamento, modelli culturali, sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo etc.), contribuendo a definirne le “forme” dell’interazione e la stratificazione sociale, a livello locale e globale, è sempre più segnato, plasmato, strutturato dalla qualità (concetto complesso, da sciogliere) dell’istruzione, dell’educazione e dei processi educativi e formativi; dalle opportunità, talvolta negate anche in partenza, di accedere ad un’istruzione e ad un’educazione adeguate, alle informazioni, alla conoscenza, alla cultura: da sempre, veri e propri agenti di cittadinanza e di democratizzazione. Non è più possibile ragionare per dicotomie (false) e polarizzazioni, non è più possibile ricorrere a spiegazioni riduzionistiche e deterministiche, considerata la relazione sistemica tra i processi. Ma, soprattutto, non possiamo più permetterci di continuare a perpetuare “l’errore degli errori”: trattare i sistemi complessi come fossero sistemi complicati»[7].
Dobbiamo fare i conti con il vero nervo scoperto della cittadinanza attuale (globale): una cittadinanza, non effettiva e concreta, definita e riconosciuta soltanto in linea teorica, non calata nell’immediatezza e nella complessità del reale. Ad essere in gioco sono le identità, le soggettività, i rapporti di potere e le nuove asimmetrie, lo spazio dei saperi e quello relazionale, cioè le opportunità di una reale inclusione (cultural divide vs.digital divide). In altre parole, stiamo discutendo di condizioni basilari per una relazione meno asimmetrica tra società civile – che ho definito anni fa l’anello debole[8] – e sistema di potere, ma anche di variabili essenziali per la definizione e realizzazione di una cittadinanza attiva e partecipata, funzionale alla costruzione di una democrazia[9] non soltanto procedurale.
Perché, appunto, si può essere “sudditi” anche in democrazia – educazione e istruzione saranno sempre le variabili fondamentali – ma, ancor di più, dobbiamo essere consapevoli che “essere cittadini” non costituisce, in alcun modo, un sorta di “dato di fatto” (giuridico e legale) che possiamo dare per scontato, anche nei moderni regimi democratici. Mi verrebbe da dire, ancor di più nei moderni regimi democratici, dove il rischio che libertà e diritti si rivelino quasi esclusivamente degli ideali da tutelare, che poi non trovano alcuna applicazione concreta (se non nella figura della consumatore), è significativo. Tali rischi sembrano palesarsi, in maniera ancora più chiara, con la rivoluzione digitale e le nuove narrazioni sulla democrazia diretta/disintermediata della Rete[10] (o e-democracy) e sulla partecipazione; narrazioni peraltro favorite dalla preoccupante perdita di credibilità dei partiti e, più in generale, dalla diffidenza generalizzata nei confronti della politica e del mondo delle istituzioni. Ma l’analisi – che non può che essere condotta in prospettiva sistemica e con un approccio alla complessità[11], perché complessi sono i problemi con cui ci dobbiamo confrontare – non sarebbe completa se, oltre al ruolo fondamentale di regole, procedure e istituzioni (più o meno trasparenti e/o efficienti), non considerassimo quello, altrettanto decisivo, della società civile e dei cittadini, che costituiscono di fatto il vero tessuto connettivo della democrazia.
Tra istanze di emancipazione e nuove asimmetrie, le società avanzate appaiono sempre più caratterizzate da profonde asimmetrie sociali, oltre che da processi di individualizzazione e frammentazione, che innescano dinamiche conflittuali in grado di testare la resilienza dei sistemi sociali e organizzativi, basati appunto su una razionalità limitata resa ancor più evidente dall’indebolimento dei meccanismi della fiducia e della cooperazione[12].
La modernità, da questo punto di vista, sembra aver radicalizzato i processi di disancoramento dell’individuo dal gruppo, mettendo in contrapposizione libertà e responsabilità.
L’ipertrofizzazione degli apparati burocratici, la progressiva dissoluzione dello spazio pubblico e l’evoluzione delle democrazie, fondate sulla trasparenza, sull’accesso, sul concetto di sovranità popolare e, da un punto di vista culturale, sull’individualismo economico (egemone rispetto a quello democratico) hanno causato una radicale politicizzazione della sfera pubblica, il cui spazio operativo si è significativamente ridotto alla sola questione della rappresentanza e al ruolo di ancella del sistema di potere (2003).
Il processo di evoluzione dei neonati regimi democratici, spesso culturalmente fondati sul concetto di sovranità popolare – intesa come egemonia o predominio delle maggioranze – e sulla mancata definizione del rapporto tra i valori fondanti della libertà e dell’uguaglianza, ha spinto la sfera pubblica, articolatasi poi in istituzioni politiche e in nuove istanze sociali in cerca di un riconoscimento pubblico e di una traduzione operativa in norme di diritto, a configurarsi sempre più come sistema autopoietico. Si intensificano i legami di interdipendenza e di interconnessione, anche se alcuni osservatori continuano ad ipotizzare la possibile fine del legame sociale[13]. Viviamo, d’altra parte, in un’epoca sempre più segnata dalla frantumazione dei sistemi di appartenenza e credenza – veri e propri produttori di identità individuali e collettive – e dalla conseguente affermazione di valori individualistici e utilitaristici. Non a caso si è dibattuto da più parti di tirannia dell’individuo, vera e propria forza centrifuga in grado di corrodere i legami dei sistemi sociali. Un processo di progressivo indebolimento e sfaldatura che trova ulteriori conferme nel diffuso deficit di partecipazione sociale e politica, a sua volta alimentato da un clima di sfiducia generale nei confronti di tutte le istituzioni (formali e informali), in passato uniche responsabili della trasmissione dei sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo. Uno scenario estremamente complesso e di difficile lettura che, sulla scia della perdita di credibilità e di autorevolezza della Politica, ha lasciato campo aperto al rilancio dell’ipotesi di una democrazia oltre i partiti, essendo quest’ultimi non più in grado di mantenere il consenso e mediare le nuove forme di conflittualità come in passato. Sullo sfondo, un’evidente crisi della forma partito[14], che si aggiunge a quella, ben più profonda, riguardante la rappresentanza.
L’individualismo dominante nei nostri sistemi sociali è l’esito, per certi versi inevitabile, del processo/progetto di emancipazione portato avanti nel corso della modernità. Un processo di emancipazione delle masse, prima, del Soggetto, poi, che se, da un lato, ha accresciuto gli spazi di libertà e ha portato al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali (almeno in linea teorica), dall’altro ha contribuito ad indebolire i vincoli e i legami di appartenenza alla comunità. Il trionfo del Soggetto non soltanto libero di ma anche libero da ha determinato, paradossalmente, in un’epoca che sembra segnata da maggiori opportunità di emancipazione e da straordinarie potenzialità comunicative – anche se, a mio giudizio, si fa spesso confusione tra comunicazione e connessione – uno scollamento del tessuto sociale, costituito da persone sempre più sole nell’affrontare tale complessità. Quella contemporanea è un’epoca in cui i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione[15] – struttura portante, insieme ai rapporti economici e di potere – sono stati messi a dura prova anche da processi di precarizzazione che hanno reso l’instabilità condizione esistenziale e messo in discussione la tenuta della sfera dei diritti definiti e conquistati nel corso della storia.
Oltre alla più volte richiamata marginalità della Politica, la liberalizzazione dei mercati ha messo ancora più in evidenza l’assenza di istituzioni globali realmente funzionanti e operative. L’economia globale, dunque, sta affrontando un processo di radicale ristrutturazione e re-ingegnerizzazione che implica il ridimensionamento del capitale fisico e il trionfo dell’offerta di servizi sulla vendita di beni e sugli scambi di proprietà: l’accesso è diventato la nuova misura dei rapporti sociali e il capitalismo globale, caratterizzato dalla progressiva acquisizione dei vissuti sociali di ogni singolo cittadino/consumatore, sembra sul punto di legittimare anche nuovi modelli di scambio sociale.
La complessità insita nel processo di globalizzazione ci obbliga – come detto – a riformulare tutte le categorie dell’agire politico e ad allargare i nostri orizzonti di pensiero e di azione, elaborando una politica che non si limiti soltanto ad osservare le regole, bensì provi a cambiarle anche perché la maggioranza di queste stesse regole sono state definite in un contesto di Stato-nazione forte. Il mercato mondiale non può, come finora accaduto, essere lasciato andare alla deriva senza un progetto autorevole e credibile di sviluppo globale: «Dove il mercato è abbandonato alla sua autonormatività, esso conosce soltanto una dignità della cosa e non della persona, non doveri di fratellanza e di pietà, non relazioni umane originarie di cui le comunità personali siano portatrici»[16].
La linea di confine…
Dentro la società asimmetrica e interconnessa, la linea di confine tra cittadinanza e sudditanza è ancor più sottile che in passato, anche perché sono aumentate le variabili e i piani di discorso da considerarsi. Con riferimento al concetto di “cittadinanza”, si tratta di un concetto complesso che vanta una letteratura scientifica estremamente articolata di area non soltanto giuridica[17]. Dal campo semantico vasto, si tratta di un concetto riconducibile in qualche modo ad un NOI che si contrappone ad un VOI, che chiama in causa quelli altrettanto fondamentali di identità, riconoscimento, soggettività, comunità (politica), territorio, diritti sociali, cultura, inclusione vs. esclusione etc. e che conferma, ripetutamente, la sua natura storicamente determinata e problematica. Di conseguenza, gli stessi diritti di cittadinanza vanno ripensati se non altro perché siamo ormai tutti membri di una società che, nonostante i drammatici conflitti e le evidenti asimmetrie/disuguaglianze, è globale e cosmopolita. Al centro di ogni discorso ci sono/ci devono essere le Persone e le Soggettività, ma in quanto appartenenti ad una comunità politica e ciò riafferma la complessità di un’analisi, che è evidentemente legata ad una molteplicità di indicatori e variabili. Il rischio – lo ripeto ancora una volta – è quello di una cittadinanza senza cittadini. Il rischio è quello di promuovere una partecipazione a soggetti/attori sociali che, di fatto, non hanno gli “strumenti” (evidentemente, non mi riferisco a quelli tecnici e tecnologici) per partecipare concretamente. La ridefinizione della cittadinanza (e la qualità della democrazia) richiede con urgenza cittadini consapevoli e responsabili, in grado di valutare e monitorare, di non accettare passivamente le narrazioni e/o le rappresentazioni mediatiche o, peggio ancora, le cose “per sentito dire”. Come ripeto da anni: non bastano “cittadini connessi”, servono cittadini criticamente formati e informati, educati alla cittadinanza e non alla sudditanza; cittadini in possesso di conoscenze e competenze non soltanto tecniche e/o digitali, educati e formati al “pensiero critico” ed alla complessità. Siamo dentro una società ipercomplessa e iperconnessa in cui, ormai da tempo, le regole d’ingaggio delle cittadinanza non sono più definite/prodotte, come in passato, dal cd. Legislatore: le regole d’ingaggio della cittadinanza sono definite/prodotte e riprodotte proprio all’interno delle istituzioni educative e formative, in passato pienamente responsabili, oltre che protagoniste, della creazione di nuove condizioni di emancipazione e inclusione.
Purtroppo, esiste ancora poca consapevolezza rispetto a quanto la linea di confine tra cittadinanza e sudditanza sia estremamente sottile; una linea di confine che si è ancor di più assottigliata nella civiltà ipertecnologica e iperconnessa, all’interno della quale, non soltanto a livello di narrazioni/storytelling, risulta sempre più diffusa l’illusione che, senza neanche tenere in considerazione altre variabili e concause, proprio il digitale e le tecnologie della connessione (1996) possano creare le condizioni di una “vera” democrazia e di una partecipazione (finalmente) attiva e non eterodiretta. Pericolose distopie, legate ad analisi riduzionistiche e deterministiche del reale. Perché – come affermato più volte in passato – si possono semplificare gli strumenti, le procedure, il linguaggio, i dati e la loro visualizzazione… ma la “democrazia è complessità”[18] e non può essere semplificata, proprio come la vita e le forme in cui si manifesta!
Almeno per ora, non a caso, siamo fermi all’illusione di una relazione meno asimmetrica con il potere e ad una partecipazione che è soltanto “simulata” [19], una partecipazione che si alimenta di certe retoriche della semplificazione e della disintermediazione. Tra nuove utopie e distopie che appaiono, finalmente, a portata di mano.
Nella “forma” delle soluzioni semplici a problemi complessi. Ribadisco, la Democrazia è complessità, è complessità relazionale, sociale, umana (1998-2005). Ordine e caos, equilibrio e conflitto, controllo e imprevedibilità, normalità e devianza, pluralismo e conformismo, convivono e coesistono all’interno di questa (iper)complessità, lungo traiettorie soltanto in apparenza prevedibili e controllabili.
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* Il volume contiene i contributi di importanti filosofi e studiosi: Domenico Bilotti, Antonio Cecere, Alessandro Corbino, Angelo Costanzo, Milena Durante, Gianfranco Macrì, Giovanni Magrì, Bruno Montanari, Stefano Petrucciani, Paolo Quintili, Mario Reale
Comprendere il legame tra il concetto di cittadinanza e il testo della Costituzione italiana non è esercizio puramente storico e filologico. Nei suoi principi fondamentali, infatti, la nostra Costituzione metteva già in luce nel 1948 questioni oggi al centro del dibattito pubblico: “diritto al lavoro”, “libertà di espressione”, “tolleranza religiosa”, “diritti inviolabili dell’uomo”. Conoscere il passato di lotte e rivoluzioni e connetterlo all’attualità della nostra Costituzione significa mettere la storia al servizio del presente, delle nostre stesse vite che reclamano (oggi come allora) riconoscimento e dignità.
Immagine: Jacques-Louis David, “Giuramento della Pallacorda”
Allego due delle pubblicazioni scientifiche:
- For an inclusive innovation. Healing the fracture between the human and the technological in the hypercomplex society
https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4 #PeerReviewed
- Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era
https://benjamins.com/catalog/cvs.15.11dom #PeerReviewed
Segnalo alcuni articoli e contributi:
Un’inclusione per pochi. La civiltà ipertecnologica verso la società dell’ignoranza? (1996)
Educare alla complessità…perché “Democrazia è complessità” (1995)
Tra conoscenza e controllo sociale (spunti per una lettura critica)
“Per un’innovazione inclusiva**: ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”
“Innovare significa destabilizzare”. Perché la (iper) complessità non è un’opzione
“Il grande equivoco. Ripensare l’educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa”
“La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo”
“L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale”
“La condizione del sapere nella società della conoscenza: tra condivisione e riproducibilità “tecnica”(?)”
La comunicazione ridotta a marketing #PianoInclinato
Tra le interviste, condivido volentieri:
Intervista concessa a l’Huffington Post: “La cultura della complessità come cultura della responsabilità”
Intervista concessa a VITA: “Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni”
#CitaregliAutori
Vi ringrazio per il tempo dedicato e Vi auguro buona riflessione.
N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.
I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.
BREVE BIO:
Fellow della World Academy of Art & Science, è Scientific Director del Complexity Education Project e Director (Scientific Listening) presso il Global Listening Centre. Insegna Comunicazione pubblica, Attività di Intelligence, Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e Sociologia dei Fenomeni Politici presso l’Università degli Studi di Perugia. Visiting Professor presso l’Universidad Complutense di Madrid, ha partecipato, e tuttora partecipa, a progetti di rilevanza nazionale e internazionale, con funzioni di coordinamento; inoltre, ha tenuto lezioni e conferenze in numerosi atenei nazionali e internazionali. È Membro dell’Albo dei Revisori MIUR e del WCSA (World Complexity Science Academy), fa parte di Comitati scientifici nazionali e internazionali. Si occupa da oltre vent’anni (didattica, ricerca, formazione) di complessità e di teoria dei sistemi con particolare riferimento alle organizzazioni complesse ed alle tematiche riguardanti l’educazione, la comunicazione, l’innovazione, la cittadinanza, la democrazia, l’etica pubblica. Da molti anni, collabora con riviste scientifiche e di cultura, oltre che con diverse testate. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali:
Pubblicazioni scientifiche (una selezione):
Per un’etica dei new-media (1996-98); La comunicazione nella società ipercomplessa. Istanze per l’agire comunicativo (2005); La società dell’irresponsabilità (2010); La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento (2011); Dentro la Società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione (2014); Communication and Social Production of Knowledge. A new contract for the Society of Individuals, in «Comunicazioni Sociali», n°1/2015, Vita & Pensiero, Milano 2015; La filosofia come “dispositivo” di risposta alla società asimmetrica e ipercomplessa in AA.VV., Il diritto alla filosofia. Quale filosofia nel terzo millennio?, Bologna 2016; Post-Humanist Utopia and the Search for a New Humanism in the Hypercomplex Society in «Comunicazioni Sociali», n°3/2016, Vita & Pensiero, Milano 2016; Dominici P., Oltre la libertà …di “essere sudditi”, Casa della Cultura, Milano 2017; Sicurezza è Complessità sociale in AA.VV. (a cura di), Sociologia della sicurezza. Teorie e problemi, Mondadori, Milano 2017; The Hypercomplex Society and the Development of a New Global Public Sphere: Elements for a Critical Analysis, in, RAZÓN Y PALABRA, Vol. 21, No.2_97, Abril-junio 2017; (2017), Of Security and Liberty, of Control and Cooperation. Terrorism and the New Ecosystem communication. Italian Sociological Review, 7 (2); “Fake News and Post-Truths? The “real” issue is how democracy is faring lately”, in «Sicurezza e scienze sociali», V, 3/2017, FrancoAngeli, 2018; Objects as systems. The educational and communicative challenges of the hypertechnological civilization, 2018; Oltre la linearità. Esplorare le connessioni…tra ordine e caos, in Programmare il mondo. Sfida e opportunità, OTM, Media Duemila, 2018; For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the human and the technological, in, European Journal of Future Research, Springer, 2017; “The hypertechnological civilization and the urgency of a systemic approach to complexity. A New Humanism for the Hypercomplex Society” in, AA.VV., Governing Turbolence, Risk and Opportunities in the Complexity Age, Cambridge 2017; Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era, in, A.Fabris & G.Scarafile, Controversies in the Contemporary World, © John Benjamins Publishing Company, 2019.
Short Bio
Prof. Piero Dominici (PhD), Fellow of the World Academy of Art & Science (WAAS), is Director (Scientific Listening) at the Global Listening Center and Scientific Director of the Complexity Education Project; he teaches Public Communication, Sociology and Intelligence Activities at the University of Perugia. As scientific researcher, educator, author and international speaker, his main areas of expertise and interest encompass (hyper)complexity, interdisciplinarity and knowledge sharing in the fields of education, systems theory, technology, innovation, intelligence, security, citizenship and communication. Member of the MIUR Register of Revisers (Italian Ministry of Higher Education and Research) and of the WCSA (World Complexity Science Academy), he is also standing member of several of the most prestigious national and international scientific committees. Author of numerous essays, scientific articles and books.
Email: piero.dominici@unipg.it
#CitaregliAutori #QuotetheAuthors
Note
[1] Abbiamo affrontato tali questioni in diversi contributi, di carattere sia scientifico che divulgativo: cfr. Dominici P., 1995-2018.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Cfr. in particolare: Dominici P., 1996, 2003, 2008.
[5] Per eventuali approfondimenti, cfr. lo storico Dizionario di Sociologia (1978 e 1993) di Luciano Gallino, grande sociologo e scienziato sociale, intellettuale vero.
[6] Cfr. Simon H.A.(1997), Models of Bounded Rationality, Volume 3, Empirically Grounded Economic Reason, trad.it., Scienza economica e comportamento umano, Edizioni di Comunità,Torino, 2000.
[7]Cfr. P.Dominici, La complessità della complessità e l’errore degli errori, in TRECCANI – sezione “Lingua Italiana” – Istituto Enciclopedia Italiana “Treccani” – dicembre 2018. Si vedano anche: P.Dominici, For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the human and the technological”, in, European Journal of Future Research, Springer, 2017, PEER REVIEWED, DOI: 10.1007/s40309-017-0126-4
P.Dominici (2014), Dentro la Società Interconnessa. La cultura della complessità per abitare i confini e le tensioni della civiltà ipertecnologica, FrancoAngeli, Milano 2019 (nuova ed.).
[8] Cfr. in particolare: Dominici P., op.cit., 1996 e sgg.
[9]Sempre sul tema della democrazia, ricordo un classico: Dahl R. A.(1998), On Democracy, trad.it., Sulla democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2000.
[10]Per una lettura critica, che registra diverse affinità anche con le ricerche da me condotte: Ippolita, La Rete è libera e democratica. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2014.
[11] A proposito di approccio sistemico alla complessità, all’interno di una letteratura scientifica sterminata e riconducibile ai diversi campi disciplinari, si vedano in particolare: Wiener, 1948, 1950; Arendt, 1958; Ashby, 1956; Simon, 1962; von Bertalanffy, 1968; Bateson, 1972; Morin, 1973, 1977-2004, 1990, 1999a, 1999b, 2015; Watzlawick P., Helmick Beavin J., Jackson D.D., 1967; Holland,1975; Capra, 1975, 1996; Musgrave – Lakatos, 1976; von Foerster, 1981; AA.VV., 1985; Maturana–Varela, 1985; Gleick, 1987; Gallino, 1992; Kauffman, 1993; Gell-Mann, 1994; Prigogine, 1997; Diamond, 1997, 2005; Emery, 2001; Morin, 2001-2008; Barabasi, 2002; Israel, 2005; Dominici, 1996-2018; Taleb, 2013.
[12]Dominici P., La modernità complessa tra istanze di emancipazione e derive dell’individualismo, in «Studi di Sociologia», n°3/2014, Vita & Pensiero, Milano 2014.
[13]Touraine A. (2004), Un nouveau paradigme. Pour comprendre le monde aujourd’hui, trad.it., La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, Il Saggiatore, Milano 2008; si veda anche Touraine A. (1997), Eguaglianza e diversità. I nuovi compiti della democrazia, Laterza, Roma-Bari 1997; su questi argomenti cfr. S.Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari 2014.
[14]Revelli M., Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Einaudi, Torino 2001; e dello stesso Autore, Sinistra Destra. L’identità smarrita, Laterza, Roma-Bari 2007; cfr. anche Ignazi P., Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti, Laterza, Roma-Bari 2012;
[15]Coleman J.S. (1990), Foundations of Social Theory, trad.it., Fondamenti di teoria sociale, Il Mulino, Bologna 2005.
[16]M.Weber (1922), Wirthschaft und Gesellschaft. Grundriß der verstehenden Soziologie, trad.it., Economia e società, Vol.II, Comunità, Milano 1961, p.314.
[17] Su tutti, ricordo il classico di T.H.Marshall, Citizenship and Social Class del 1950. Si vedano anche alcuni testi riportati in bibliografia: Veca, 1990; Zolo, 1994 e 2000; Dahrendorf, 2001; Bellamy, 2008; Dominici, 2008, 2014-2018; Norris, 2011; Balibar, 2012.
[18] La definizione Democrazia è complessità è stata proposta in tempi non sospetti (1995 e sgg.). La democrazia è, a tutti gli effetti, processo complesso. È sistema di processi complessi, con numerose connessioni e livelli di connessione coinvolti, la cui riduzione/semplificazione può sempre comportare dei rischi. Una (iper)complessità che, anche in questo caso, può essere intesa come: dialettiche del conflitto; passaggio dalla linearità alla complessità; passaggio dalla semplicità alla complessità; reciprocità di insiemi e molteplicità; epistemologia dell’interdipendenza; organizzazione delle esperienze e dei saperi; dialettica continua tra libertà ed eguaglianza; riconoscimento dell’errore come produttore di conoscenza; approccio sistemico e interdisciplinare/transdisciplinare ai problemi; riconoscimento e mediazione del conflitto; contemporanea presenza di ordine e caos; molteplicità delle identità e delle soggettività; valorizzazione delle molteplicità e della diversità; pluralismo di principi, valori e visioni; valorizzazione dell’eterogeneità e riconoscimento del valore della devianza; imprevedibilità e vulnerabilità delle persone e dei sistemi. Si vedano: Dominici P., op.cit., 1996-2018.
[19] Sul concetto di “simulazione della partecipazione”, si vedano: Dominici P., op.cit., 1996-2018.