La società della conoscenza spinge le organizzazioni complesse a configurarsi come “sistemi sociali aperti” che tentano di governare l’incerto attraverso la condivisione di una cultura organizzativa e progettuale (vedi teoria dei sistemi), definita ed elaborata all’interno di quelle reti relazionali intersoggettive esistenti “dentro” i sistemi organizzativi. Si tratta di un (necessario) cambio di paradigma culturale (lungo periodo) che, oltre a coinvolgere modelli organizzativi e strategie di azione, riguarda da vicino la qualità delle relazioni sociali e, nello specifico, le persone (e la questione della responsabilità) con il loro sapere, le loro competenze ma anche i loro vissuti sociali. La conoscenza sociale e relazionale, (intersoggettività) prodotta sempre da un “NOI”, viene ulteriormente elaborata (e condivisa) nell’incontro/confronto con l’Altro, qualunque sia la situazione/contesto. Gli attori sociali producendo conoscenza non si limitano ad adattarsi all’ambiente (sociale e/o organizzativo), bensì contribuiscono a modificarlo e co-generarlo (si pensi anche al concetto di “autopoiesi” – ricordo, in particolare, gli studi di H.R. Maturana e F.J. Varela, dello stesso N.Luhmann, più volte citati). La comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza (potere), assume, in tal senso, una centralità strategica in tutte le sfere della prassi individuale e collettiva: considerando fondata l’equazione conoscenza = potere, ne consegue che tutti i processi, le dinamiche e gli strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza non potranno che determinare una condivisione del potere o, comunque, una riconfigurazione dei sistemi di potere. È in questa prospettiva d’analisi che si inserisce la riflessione e l’analisi critica sul ruolo essenziale della comunicazione pubblica – sui processi e gli strumenti che la connotano – vera e propria “cinghia di trasmissione” tra sistema di potere e società civile in grado di ridefinire i confini della cittadinanza e le forme del vivere democratico (differenza tra cittadinanza e sudditanza). Nel complesso rapporto tra cittadino e Stato (P.A.), i valori fondanti della trasparenza e dell’accesso alle informazioni si rivelano così ancor più decisivi in un’epoca segnata da una SFERA PUBBLICA sempre più “ANCELLA” del SISTEMA di POTERE (quello che ho chiamato, anche in passato – già in un saggio del 1996 – l’“ANELLO DEBOLE” del sistema…concetto espresso in tempi non sospetti e che oggi molti hanno ripreso e sviluppato), dall’ipertrofizzazione degli apparati burocratici e dalla progressiva dissoluzione dello spazio pubblico. In questo scenario così complesso, incerto e articolato, la comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza, e le nuove forme di produzione sociale sembrano poter essere in grado di determinare nuove opportunità di inclusione e cittadinanza, facendo riguadagnare una certa autonomia alla sfera pubblica rispetto alla politica. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e piena di ostacoli, al di là della ben note questioni del digital divide, dell’alfabetizzazione e delle competenze comunicative e socioculturali necessarie. Perché a fare la differenza, anche nel mondo on line – che non va pensato come un mondo “altro” (concetto di ecosistema) – saranno sempre i contenuti e gli utilizzi degli strumenti comunicativi, oltre alla gestione consapevole dei processi (ed.2003,2005,2011).
Da questi presupposti fondamentali ripartiamo (rinviando ai contributi precedenti di Fuori dal Prisma) per segnalare quella che considero un’iniziativa di fondamentale importanza, promossa da Stati Generali dell’Innovazione, affinché la società della conoscenza, e la struttura economica che la innerva, siano realmente fondate su un modello aperto e inclusivo (su Rete e diritti segnalo la Guida del Consiglio d’Europa). Complimentandomi con SGI, ecco il testo che trovate anche sul sito:
Carta d’Intenti per l’Innovazione – Stati generali dell’Innovazione http://www.statigeneralinnovazione.it/wiki/index.php?title=Pagina_principale
Cambiare modello
L’innovazione, nel nostro Paese, è spesso concepita come un ambito circoscritto, strettamente tecnologico. Nulla di più sbagliato. Si tratta del futuro sociale ed economico del nostro Paese. Si tratta della qualità della vita di tutti noi.
La vera rivoluzione, il vero cambiamento sulle politiche dell’innovazione sta nel modificare radicalmente l’ottica con cui dobbiamo trattarle. Da area di intervento, da settore specifico di sviluppo e di crescita, intrecciato con il mondo delle imprese e della pubblica amministrazione, a base per un nuovo paradigma del Sistema Italia, della società italiana.
Il nodo dirimente, il cambiamento atteso non stanno tanto in una politica più lungimirante sull’innovazione, ma nell’identificazione del futuro da costruire, nella consapevolezza che è necessario un chiaro cambio di modello e non un semplice miglioramento nell’efficacia degli interventi. Migliore qualità della vita, sviluppo economico e sociale, sono obiettivi alla portata dell’Italia, che ha le risorse per essere anche avanguardia su diversi settori, valorizzando i propri talenti, le proprie ricchezze ambientali e storiche.
Perché questa Carta
Come Associazione Stati Generali dell’Innovazione abbiamo intrapreso diverse iniziative sia per supportare l’elaborazione di un piano strategico per l’innovazione sia per portare in evidenza e connettere le tante esperienze di valore che si stanno realizzando sul territorio, partendo dal presupposto che è “dall’ambito operativo di chi fa innovazione” che si deve avviare un processo di partecipazione globale di tutti i portatori di interesse (politica, amministrazioni, imprese, università, centri di ricerca, terzo settore, privati cittadini), finalizzato alla costruzione di una prospettiva condivisa per l’Italia sia per un cambio effettivo nella politica dell’innovazione. I provvedimenti in tema di Agenda Digitale approvati nella legislatura hanno rappresentato importanti passi in avanti, ma continua a mancare un piano strategico organico e diversi capitoli fondamentali (come commercio elettronico, alfabetizzazione digitale) sono ancora da affrontare in modo significativo. Molto è ancora da fare.
La Carta d’Intenti per l’Innovazione dell’Italia si colloca in questa prospettiva, come l’indicazione delle priorità programmatiche per le politiche dell’innovazione sulle quali chiediamo a chi si candida al Governo del Paese l’impegno a sostenerle.
La visione strategica
La visione che cerchiamo di realizzare è quella di una società che riconosce l’interesse collettivo come primario, il sistema pubblico di servizi come necessità della collettività per garantire il valore del merito e dei talenti, lo sviluppo e la crescita economica e sociale. La ricerca del miglioramento della qualità della vita passa pertanto attraverso una scelta di valori, che si identificano con il benessere della collettività e l’uguaglianza delle condizioni di partenza.
Le priorità programmatiche per le politiche dell’innovazione si inquadrano peraltro perfettamente con la Strategia per l’Europa del 2020 ovvero una crescita intelligente, basare lo sviluppo economico sulla conoscenza e sull’innovazione, una crescita sostenibile, ovvero promuovere un’economia più efficiente, più verde e più competitiva e una crescita inclusiva, ovvero promuovere un’economia che consenta un alto tasso di occupazione e favorisca la coesione sia tra le persone sia tra i territori. Per la realizzazione di tali priorità occorre realizzare azioni su cinque temi specifici quali il lavoro -raggiungere l’occupabilità nel 75% delle persone tra i 20 e i 64 anni- ricerca e sviluppo -ottenere un incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del PIL- ambiente -ridurre l’effetto dei gas effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990, incrementare la quota delle fonti di energia rinnovabili al 20% del consumo finale di energia e ottenere un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica- istruzione – ridurre gli abbandoni scolastici al di sotto del 10% e ottenere l’aumento al 40% dei 30-34enni con un’istruzione universitaria- povertà -liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione.
La scelta di porre al centro delle politiche dell’innovazione la qualità della vita ne comporta altre, che privilegiano alcuni concetti basilari, centrali nella nostra visione dell’innovazione:
– la sostenibilità, in termini di ricerca pragmatica di soluzioni per evitare lo sfruttamento intensivo di risorse non rinnovabili. Porre il focus sulla sostenibilità significa occuparsi sia della realizzazione di un modello di sviluppo che produca ed utilizzi risorse rinnovabili, sia di rivedere il modello di utilizzo delle risorse, verso modelli di condivisione. In questo contesto le nuove tecnologie devono essere viste nel loro duplice ruolo di strumento (per sostenere e conseguire la sostenibilità), e di prodotto sostenibile esse stesse, ovvero già espressione di un modello produttivo e di smaltimento innovativo e sostenibile;
– l’apertura (openness), intesa come modello collaborativo di produzione e di conoscenza, che attraversa sia il tema dell’open government declinato anche attraverso gli open data, sia la realizzazione/utilizzo di prodotti software, sia la progettualità diffusa, come possibilità di connettere idee e proposte, progetti ed esperienze;
– la centralità territoriale, in quanto si considera il territorio come fulcro delle politiche dell’innovazione che si fanno concrete risposte alle esigenze dei cittadini e delle comunità. In questo contesto è essenziale l’adozione di tre strategie: a) favorire lo sviluppo delle smart city, come strumento di approccio integrato sia rispetto ai diversi settori (sanità, scuola, energia, ambiente, mobilità, …) sia rispetto ai diversi livelli/sottosistemi (sociale, culturale, economico, ..); b) adottare il modello della Open Innovation (come definita da Henry Chesbrough), che prevede che le aziende acquisiscano e concedano in licenza le innovazioni attraverso scambi con altre aziende, così favorendo la crescita e lo sviluppo delle PMI, e dei living labs (alle attività di ricerca e innovazione), che consente agli utilizzatori – rappresentati da un gruppo di potenziali utenti e/o consumatori o dagli stessi abitanti di un’intera comunità o dai componenti di un “network” – di collaborare attivamente nello sviluppo e nella sperimentazione dei nuovi prodotti ad essi destinati; c) stimolare l’utilizzo del Cloud Computing come soluzione tecnologica che consente di ottimizzare i costi di gestione dei servizi, pur mantenendo il controllo delle loro politiche a livello dei singoli territori. Il concetto ispiratore del Cloud Computing va oltre la semplice dimensione tecnica e dimostra il potenziale di un approccio collegiale in cui la federazione delle competenze e delle specializzazioni (tra territori diversi, enti, istituti, gruppi, operatori, ..) permette una collaborazione efficace ed una cooperazione orientata ad un obiettivo comune, da raggiungere con minore costo e maggiore valorizzazione delle esperienze presenti
In questa visione lo sviluppo delle “comunità intelligenti”, come previsto dalla legge sull’Agenda Digitale approvata a fine dicembre, si rimodula rispetto ad una definizione più ampia e basata sulla costruzione non centralistica. Così per comunità intelligente intendiamo una comunità che opera in presenza e in rete, in grado di dar luogo ad opportunità dirette di partecipazione attiva e di governance per affrontare tutte le tematiche del territorio allo scopo di migliorarne la qualità della vita. Una “comunità” costruita sia come struttura connettiva (aperta, consapevole e finalizzata), sia come struttura adattiva, capace di generare dati e conoscenza e di far evolvere i propri comportamenti. In relazione al territorio, le comunità intelligenti identificano l’ambito in cui si esplicano la capacità di governo e i livelli di aggregazione amministrativa opportuni (area municipale o comunale, sistema metropolitano, area vasta territoriale/provinciale) rispetto alle tematiche gestibili in autonomia.
Una proposta di politica strategica dell’innovazione parte anche dal tratteggiare la nuova Italia che vogliamo:
a.semplice, grazie alla possibilità di usufruire di servizi costruiti secondo le esigenze dei cittadini e della collettività
b.sostenibile, grazie allo sviluppo equilibrato delle diverse componenti (sviluppo economico, rispetto per l’ambiente, equità sociale, differenze culturali, cura delle esigenze della persona);
c.sicura, anche grazie ad un rispettoso utilizzo dei nuovi strumenti a disposizione, con l’intento di una prevenzione individuale, collettiva e ambientale;
d.consapevole, così da costruire un terreno fertile per lo sviluppo del merito e della conoscenza, grazie all’innovazione del sistema educativo e culturale in tutte le sue componenti (formazione, scuola, comunicazione);
e. competitiva, grazie ad una politica industriale organica che sfrutti le nuove tecnologie per valorizzare gli asset principali del nostro Paese (territorio, clima, beni culturali, creatività, stile, esperienza artigiana) e si proponga di mettere al centro del processo non più il consumo di soluzioni altrui ma l’elaborazione e l’ingegnerizzazione autonoma di modelli tecnologici propri.
f. inclusiva, che come risultato massimo della consapevolezza costruisca gli elementi vitali di una nuova democrazia digitale basata sulla multiculturalità, l’integrazione, la valorizzazione delle differenze (non ultime quelle di genere), la progettazione partecipata.
Le dieci + una priorità
Le dieci priorità programmatiche per le politiche dell’innovazione sulle quali chiediamo l’impegno di chi si candida al Governo del Paese, e nelle assemblee legislative nazionali e (rispetto alle specifiche competenze della Regione) territoriali.
1) Definire e mettere in atto un Piano strategico per l’innovazione. Senza un Piano complessivo i provvedimenti, pur positivi, rischiano di non produrre reali ed efficaci cambiamenti. Nella legge “Crescita 2.0” (Decreto 179/2012 convertito nella Legge 17 Dicembre 2012 N. 221), grazie ad un emendamento basato su una nostra proposta, è previsto che il piano sia realizzato nei primi mesi del 2013. Quindi come uno dei primi atti del nuovo Governo. Ma non è importante soltanto la tempistica. Sono fondamentali la qualità e l’accuratezza del piano, che devono consentire di identificare azioni concrete ed obiettivi misurabili
2) Realizzare un programma nazionale per l’alfabetizzazione digitale sul quale focalizzare il sistema educativo nella sua interezza. Lo sviluppo delle competenze digitali è fondamentale per il nostro Paese, che soffre su questo campo di uno svantaggio molto grave nei confronti della gran parte dei Paesi Europei, come anche rilevato dal recente rapporto PISA. Ne paghiamo i danni sul fronte dello sviluppo economico-sociale, ma anche dell’inclusione e dell’esercizio dei diritti democratici. ll programma di alfabetizzazione digitale dovrà partire dalla centralità della Scuola, non solo come ambito di sviluppo delle competenze degli studenti, ma anche come luogo di raccordo e di costruzione dello sviluppo culturale del territorio, evidenziando il ruolo delle università e delle biblioteche come luoghi aperti di incontro e di scambio fisico e virtuale. Inoltre, dovrà prevedere la disseminazione sul territorio di “telecentri” e piazze telematiche dove possano incontrarsi coworking e formazione, attività ICT assistite e iniziative sociali. Il coinvolgimento, in particolare, di attori in grado di agire come moltiplicatori sul territorio (quali centri di quartiere, associazioni di volontariato, ecc.) diventa di cruciale importanze per raggiungere capillarmente contesti e cittadini a maggior rischio di esclusione, e per dar vita a processi di sperimentazione di innovazione sociale. Il contratto di servizio e la missione RAI devono includere l’impegno pubblico per l’alfabetizzazione digitale con una programmazione dedicata;
3) Porre la Scuola al centro come luogo di investimento e di creazione di valore. Rilanciare il ruolo della Scuola, dell’Università, della formazione continua e di tutte le agenzie formative per scandire un’evoluzione dei modelli d’apprendimento in relazione agli scenari del cambiamento, secondo nuovi principi educativi come il social learning (le piattaforme Web che declinano in ambito educativo le potenzialità dei social network).
4) Attuare l’Open Government nei processi decisionali. Per avviare le pratiche di Open Government, dopo il passo necessario (e obbligatorio ai sensi della legge sopra citata) dell’apertura dei Dati, è importante andare oltre le consultazioni estemporanee e definire modalità sistematiche di partecipazione nei processi legislativi, in modo che i portatori di interesse possano contribuire in modo efficace. Le modalità potranno andare dalla pubblicazione delle bozze delle iniziative legislative governative di maggiore importanza, ad un percorso consultivo strutturato, all’apertura di piattaforme online per la proposta di idee legislative (legislazione diffusa), come di recente avviato in Finlandia;
5) Promuovere il commercio elettronico e lo sviluppo della cultura digitale delle piccole e medie imprese, in termini di riorganizzazione dei loro processi produttivi e di marketing, per massimizzare i benefici offerti dalle nuove tecnologie digitali (e non), attraverso anche l’introduzione di meccanismi di incentivazione. Incentivare la nascita di Reti di imprese.
6) Riconoscere l’accesso in banda larga come servizio universale. Il livello di qualità e la larghezza della banda devono essere definiti in modo da raggiungere l’obiettivo primario dello sviluppo sociale ed economico, e quindi anche rispetto alle evoluzioni tecnologiche e alle situazioni presenti nei paesi UE, partendo da un livello minimo di banda e avendo un graduale obiettivo di garantire la banda larga di terza generazione a tutta la popolazione. L’approccio deve essere tecnologicamente neutrale e gli operatori che forniscono questo servizio universale devono rispettare i principi della “net neutrality”, come ribaditi anche nell’Agenda Digitale Europea.
7) Ridurre le barriere all’ingresso del mercato delle telecomunicazioni e Realizzare il modello della “fibra dei cittadini”. Ridurre le barriere all’ingresso del mercato delle telecomunicazioni, per stimolare la partecipazione al mercato della infrastrutturazione in fibra da parte della piu’ ampia pluralita’ di soggetti, nel rispetto del quadro comunitario, anche di cittadini associati con formule che permettano di realizzare di fatto il modello della “fibra dei cittadini”. La proposta è di prevedere che la parte di fibra dell’ultimo miglio (FTTH – fiber to the home) sia considerata come pertinenza degli edifici, consentendo la realizzazione di cablaggio in banda larga con un costo molto basso e con utilizzo ampio della banda (non solo per Internet e voce).
8) Cambiare il modello del lavoro, con un riconoscimento esplicito dell’Economia della Conoscenza e di conseguenza un adeguamento delle politiche del lavoro rivolte alle nuove forme di produzione del valore cognitivo (con modalità di lavoro in mobilità, smart working). Definire di conseguenza le politiche di tutela del lavoro precario, intercettando tutte le espressioni informali d’impresa creativa, per ridisegnare un sistema di welfare e di sostegno alla flessibilità. In ottica più generale, anche con meccanismi come il reddito minimo di cittadinanza.
9) Sviluppare il mercato dell’open innovation, usando con attenzione le risorse che le Regioni possono mettere a disposizione delle imprese e curando la crescita della loro capacità di innovazione secondo un modello che valorizzi le specificità italiane.
10) Mettere in rete l’intera filiera dell’Innovazione – Università, Impresa, Credito, Territorio – per rendere possibile una politica economica centrata sull’ innovazione come motore della crescita e dello sviluppo del nostro paese, anche ridefinendo l’attuale concetto di “start-up” verso un’accezione sempre piu’ imprenditoriale, anche in riferimento ai laboratori di ricerca. Prevedere e incentivare attività di trasferimento tecnologico.
11)Promuovere politiche dell’innovazione sensibili alle differenze, a partire da quelle di genere– Riconoscere ed integrare i bisogni, gli interessi e le competenze delle donne nella ricerca, nei progetti e nei dibattiti sull’innovazione, per un approccio pluralista e inclusivo delle differenze in generale; promuovere iniziative per colmare il digital divide di genere, per il supposto alle start up femminili, per aumentare la presenza di donne nei percorsi di studio e nelle carriere ICT, per una migliore sinergia tra innovazione sociale e innovazione strettamente tecnologica.
P.S. Condividete pure (e riutilizzate i contenuti) se vi interessa ma citate sempre la fonte. Grazie