Ri-condivido volentieri questo saggio, pubblicato oltre dieci anni fa che, partendo da una vecchia definizione, da me proposta e spesso riutilizzata senza citazioni, relativa alla questione dell’innovazione, ragiona e riflette su tematiche ancor oggi molto dibattute.
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“La consapevolezza non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi”
Karl Popper
“Tutto ci incita a mettere fine alla visione di una natura non umana e di un uomo non naturale”
Serge Moscovici
“Rispetto alle leggi scientifiche, la realtà si è dimostrata più ricca e stravagante di quanto potessero prevedere coloro che avevano fatto di queste leggi il mezzo determinante della esplorazione del mondo”
Ilya Prigogine
“Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai”
Bertrand Russell
La riforma del pensiero è un problema antropologico e storico chiave. Ciò implica una rivoluzione mentale ancora più importante della rivoluzione copernicana.
Edgar Morin
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Una premessa: perché è così importante educare alla complessità e al pensiero critico
Una questione complessa, quella della complessità! E, nell’affrontarla, non possiamo fare a meno di considerare, ancora una volta, un elemento essenziale: attualmente, l’evoluzione culturale è in grado – come mai avvenuto in passato – di condizionare quella biologica, determinando, in maniera non-lineare, una trasformazione antropologica che rende ancor più evidente l’urgenza di quel famoso cambio di paradigma di cui tanto avremmo bisogno. Perché la (iper)complessità non è un’opzione, è un “dato di fatto”: il vero problema è che non siamo educati e formati a pensarla, riconoscerla e, in ogni caso, non con la nostra testa. Anzi, in questa prospettiva, ormai noi umani ci stiamo convincendo, anche sulla base di studi definiti e presentati come “scientifici” – spesso per il solo fatto di presentare dati quantitativi e trends che andrebbero verificati, non soltanto nei loro presupposti metodologici -, di poter delegare anche il pensiero alle cosiddette “macchine intelligenti” (?).
Come ho avuto modo di scrivere anche recentemente «la tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio[1], rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.). In altre parole, nel quadro complessivo di un necessario ripensamento/ridefinizione/superamento della dicotomia natura/cultura – per non parlare di quella tra naturale e artificiale –, non possiamo non prendere atto di come i ben noti meccanismi darwiniani di selezione e mutazione si contaminino sempre di più con quelli sociali e culturali che caratterizzano la statica e la dinamica dei sistemi sociali. Sempre più difficile, oltre che fuorviante, provare a tenere separati i due percorsi evolutivi non-lineari e, allo stesso tempo, sempre più urgente si fa la domanda di un approccio multi/inter/transdisciplinare alla complessità per l’analisi e lo studio di dinamiche (appunto) sempre più complesse e irreversibili, all’interno delle quali i piani di discorso/analisi e i fattori/le variabili intervenienti si condizionano reciprocamente, mettendo a dura prova i tradizionali modelli teorico-interpretativi lineari».
Pur se ci ostiniamo, per tante ragioni, a mantenerli in vita e renderli sempre più evidenti – frantumando e parcellizzando ulteriormente, al loro interno, campi e settori scientifico-disciplinari, i “vecchi” confini tra formazione scientifica e formazione umanistica sono, di fatto, completamente saltati, in conseguenza delle straordinarie scoperte scientifiche e delle continue accelerazioni indotte dall’innovazione tecnologica che rendono ancor più ineludibile l’urgenza di un’educazione/formazione alla complessità, all’imprevedibilità e al pensiero critico (logica).
Non da oggi, stiamo progressivamente scoprendo e disvelando la dimensione sistemica e relazionale del Sociale, dell’Umano e del Vivente, pur rimanendo ancorati a vecchi e, ormai, inadeguati, presupposti epistemologici, teorie, paradigmi.
Le resistenze ad un cambiamento così radicale di prospettiva (epistemologie, modelli, pratiche e strumenti) sono fortissime e, quasi paradossalmente, arrivano soprattutto dai “luoghi” ove si produce e si elabora conoscenza e, soprattutto, arrivano da quei luoghi/istituzioni che dovrebbero, al contrario, co-creare/co-generare le condizioni sociali e culturali del cambiamento sistemico. Resistenze che, oltretutto, sono legate a motivazioni di diversa natura: logiche dominanti, modello sociale feudale, questione culturale, primato della politica in tutte le dimensioni, familismo amorale, culture organizzative, climi d’opinione etc.
Fondamentalmente, soprattutto perché, come affermato in tempi non sospetti, in qualsiasi campo della prassi sociale, individuale e collettiva, innovare significa mettere in discussione saperi e pratiche consolidate, immaginari individuali e collettivi, rompere equilibri, spezzare le catene della tradizione (cit.), abbandonare il certo per l’incerto con rischi (opportunità), anche percepiti, notevolmente superiori.
In altre parole, “innovare” significa rendere, almeno temporaneamente, più vulnerabili i sistemi e lo spazio comunicativo e relazionale che li caratterizza. Una questione strategica e decisiva per il complesso processo di costruzione, sociale e culturale, della Persona e del cittadino e, quindi, dello spazio pubblico, che riveste un ruolo di fondamentale importanza anche in considerazione del costante e rapido mutamento del contesto, locale e globale, di riferimento (Società Ipercomplessa).
Il processo evolutivo degli ecosistemi sociali (1996) sta progredendo verso una ridefinizione degli spazi relazionali e delle asimmetrie, che porta con sé l’esigenza di un “nuovo contratto sociale” (2003). Di conseguenza, diventa ancor più urgente una riformulazione del pensiero e dei saperi che coinvolga direttamente sia la Scuola che l’Università, purtroppo ancora pensate e organizzate – erroneamente -come “entità” separate, le cui politiche (?) andrebbero ri-progettate in chiave sistemica; una riformulazione (radicale) che affonda le sue radici nel sistema di pensiero – è tempo di andare oltre le sabbie mobili di quel pensiero che ho definito, molti anni fa, “pensiero disgiuntivo”– e nelle architetture consolidate dei saperi e delle competenze che andrebbero, finalmente, ri-progettate in prospettiva aperta e multi/inter/transdisciplinare; una prospettiva che sappia (evidentemente) tener conto e valorizzare la specializzazione di conoscenze e competenze, superando quella visione distorta e fuorviante che la vede incompatibile con la complessità e l’approccio sistemico che essa sviluppa.
Quanto detto dovrebbe concretizzarsi in proposte e strategie educative funzionali alla costruzione sociale del cambiamento che, ricordiamolo, se imposto esclusivamente come processo dall’alto è (e sarà) sempre un cambiamento esclusivo, per pochi e di breve periodo. Occorre prendere definitivamente coscienza che questo è il vero “fattore” strategico del cambiamento e dei processi di innovazione: il “fattore” culturale, una variabile complessa in grado, nel lungo periodo, di innescare e accompagnare i processi economici, politici, sociali.
E il livello strategico è quello concernente i processi educativi di cui sono protagoniste (dovrebbero esserlo) la Scuola, sopra ogni cosa, e le altre agenzie di socializzazione che, peraltro, da alcuni decenni, si son viste divorare da media, reti e gruppo dei pari lo spazio educativo e della socializzazione; è il livello cruciale dove è possibile co-costruire, oltre che “teste bene fatte” (pensiero critico, pensiero sistemico, educazione all’imprevedibilità), la cultura della legalità, della prevenzione, della responsabilità, del rispetto, della non-discriminazione e determinare le condizioni socioculturali per un ridimensionamento dell’egemonia dei valori individualistici ed egoistici, che hanno significativamente contribuito all’indebolimento del legame sociale e della Comunità.
Percorsi che, inevitabilmente, si incrociano, fino a sovrapporsi, e che riguardano allo stesso tempo teoria e ricerca scientifica, scuola e università, cittadinanza e democrazia, eguaglianza delle condizioni di partenza e inclusione.
Percorsi nella complessità sociale e organizzativa
Per ciò che concerne la complessità sociale e organizzativa, siamo di fronte ad una complessità che sfugge ai tradizionali meccanismi e dispositivi di controllo sociale e sorveglianza e che richiederebbe, come in passato ho avuto modo di argomentare più volte, una riformulazione del pensiero ed una ridefinizione dei saperi che dovrebbero contribuire proprio a ridurre/metabolizzare tale complessità, definendo, quanto meno, condizioni di prevedibilità dei comportamenti e delle dinamiche all’interno ed all’esterno delle organizzazioni e dei sistemi.
In tal senso, Edgar Morin parla di “riforma del pensiero”: «La riforma del pensiero esigerebbe una riforma dell’insegnamento (primario, secondario, universitario), che a sua volta richiederebbe la riforma di pensiero. Beninteso, la democratizzazione del diritto a pensare esigerebbe una rivoluzione paradigmatica che permettesse a un pensiero complesso di riorganizzare il sapere e collegare le conoscenze oggi confinate nelle discipline. […] La riforma del pensiero è un problema antropologico e storico chiave. Ciò implica una rivoluzione mentale ancora più importante della rivoluzione copernicana. Mai nella storia dell’umanità le responsabilità del pensiero sono state così enormi. Il cuore della tragedia è anche nel pensiero».
Alla luce di quanto appena detto, alcune considerazioni di carattere generale si impongono per lo sviluppo della nostra analisi che, evidentemente, non può che prendere le mosse all’interno di un processo di ripensamento complessivo del rapporto tra teoria e ricerca, tra teoria e prassi (si alimentano vicendevolmente); credo non si possa non prendere atto di come la complessità, l’ambivalenza, l’irreversibilità, l’emergenza, la varietà delle forme e la rapidità del mutamento in atto abbiano evidenziato, senza margini di discussione, l’urgenza di (quanto meno) ripensare il paradigma (1996) e le stesse categorie concettuali con le quali abbiamo definito e interpretato la realtà fino ad oggi.
La complessità sociale e organizzativa, pur nella sua particolarità, costituisce sempre un problema di conoscenza, di metodi per acquisirla e gestirla/condividerla (Dominici 2003, 2011), di possibilità conoscitive che possono essere effettivamente selezionate e realizzate, tradotte in scelte e decisioni – mi viene in mente anche la weberiana sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo.
Una complessità, così come l’abbiamo intesa, ulteriormente accresciuta e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare (nella cd. Società Interconnessa -> + informazioni + dati = + razionalità nelle scelte e nelle decisioni), ancor più imprevedibile – nonostante la dimensione del tecnologicamente controllato sia aumentata in maniera esponenziale – proprio in virtù dell’enorme (infinita) mole di dati e informazioni che, non soltanto non parlano mai da soli, ma determinano una condizione permanente e costante di razionalità limitata (sulla “razionalità limitata” – si vedano gli studi di H.A.Simon – tema a me molto caro, e sulle “variabili” che la caratterizzano, torneremo) a tutti i livelli, da quello organizzativo a quello sociale.
Il “dato di fatto” è che non siamo pronti ad affrontare le sfide e i dilemmi (Popper) della complessità e del nuovo ecosistema globale, non tanto in termini di metodologia/e della ricerca (e di strumenti di rilevazione, sempre più affinati), quanto di sistema di pensiero, epistemologie e modelli teorico interpretativi che devono (dovrebbero) guidare/orientare l’osservazione empirica, non soltanto scientifica, di fenomeni e processi. Ma servono educazione e formazione alla complessità e una rinnovata consapevolezza rispetto all’esigenza di un approccio multi/inter/transdisciplinare a questa stessa complessità che implica una ridefinizione dello spazio dei saperi e il ribaltamento di quelle logiche di potere e controllo che, a tutti i livelli, ne hanno sancito la parcellizzazione e reclusione dentro gli angusti e impermeabili confini delle discipline; discipline sempre più isolate e incapaci di comunicare tra di loro – con profonde implicazione anche per l’esterno delle torri d’avorio.
Questa è “il” problema, è “la” questione, non la specializzazione dei saperi, processo d’altra parte inevitabile con l’affinamento delle metodologie di ricerca e degli strumenti di rilevazione; specializzazione spesso maldestramente contrapposta alla complessità e al relativo approccio, ma anche ai concetti di multidisciplinarietà e interdisciplinarietà. Il “vero” ostacolo, oltre alle culture organizzative ed alle logiche dominanti, sono proprio le separazioni/steccati disciplinari – si pensi all’annosa e, per certi versi, incredibile distinzione tra discipline umanistiche e materie scientifiche, tra formazione umanistica e formazione scientifica (uno dei motivi del nostro ritardo culturale che tanti danni produce ancora) – che, non soltanto ostacolano l’osservazione e la comprensione della realtà (a livello sociale e delle organizzazioni complesse), la produzione sociale e la condivisione della conoscenza (architrave del nuovo ecosistema), ma si rivelano anche non in grado di restituire quello sguardo d’insieme e quell’ottica globale che gli attuali processi sociali, politici, culturali richiedono costantemente.
In tal senso, continuo ad esser convinto, e su questo approccio ho sviluppato le mie ricerche, che l’innovazione tecnologica costituisca da sempre un fattore strategico di cambiamento dei sistemi sociali e delle organizzazioni ma che questa, se non supportata da una cultura della comunicazione, da una visione sistemica della complessità e, a livello di decisore politico, da politiche sociali (lungo periodo) in grado di innescare e supportare il cambiamento culturale (centralità strategica di scuola, istruzione, università), si riveli sempre un’innovazione mancata.
La società della conoscenza e il nuovo ecosistema globale (1996) – che, non solo per queste ragioni, ho preferito parlare di “Società Interconnessa” – sono destinati a diventare sempre più esclusivi e chiusi, anche in quei “luoghi” in cui non è ancora possibile erigere muri e barriere per gestire (?) la diversità, le disuguaglianze e i conflitti. Sono i germi di quella che abbiamo definito la “società asimmetrica”: una società apparentemente aperta e inclusiva che, in realtà, garantisce opportunità di inclusione e mobilità solo in linea teorica e a livello di quadro giuridico di riferimento. Quest’ultimo, necessario ma non sufficiente a costruire e, appunto, garantire i pre-requisiti di una cittadinanza piena e partecipata.
La complessità dei sistemi sociali e organizzativi, che caratterizza evidentemente anche le interazioni umane e quelle uomo-macchina, oltre al sistema della relazioni nel suo complesso, è un tipo di complessità del tutto particolare e difficilmente riducibile (cfr. Skinner, Ashby, Anderson, Luhmann, Prigogine, Gell-Mann etc.) in quanto chi la osserva (studia e analizza) e tenta di comprenderla è allo stesso tempo osservato (vecchio, ma fondamentale, concetto di “osservazione partecipante” – e partecipata ; uno dei tanti concetti della ricerca sociale definiti, e operazionalizzati, molto tempo fa e oggi recuperati in tutti i settori della ricerca e delle organizzazioni); si attivano, di conseguenza, tutta una serie di fattori di condizionamento che modificano, non soltanto la percezione, ma anche le condizioni empiriche dell’evento osservato e, perfino, l’atto stesso dell’osservare. Oltretutto, occorre considerare che tali dinamiche, oltre a manifestarsi sempre in chiave sistemica (ecco l’importanza di un approccio multidisciplinare e alla complessità) e ad essere caratterizzate dal venir meno del principio di causalità (A -> B — valore probabilistico e statistico delle conoscenze), si evolvono dentro un sistema di conoscenze sociali preesistenti.
Sembra scontato dirlo – non è così, anzi spesso si ha l’impressione che non ci sia sufficiente consapevolezza – ma la stessa conoscenza scientifica, come qualsiasi attività di ricerca e innovazione, si sviluppa dentro contesti storico-culturali determinati che sono essi stessi “fattori” di condizionamento…si pensi, tra le questioni, alla weberiana impossibilità di una conoscenza realmente avalutativa della realtà. Eppure, è ancora molto diffusa la convinzione che formazione umanistica e scientifica possano/debbano essere tenute separate.
Aggiungo: e dobbiamo sempre considerare che, quando parliamo di “sistemi complessi”, ci stiamo riferendo a organismi che sono sistemi costituiti da molteplici elementi e variabili, a loro volta caratterizzati da legami (non facilmente riconoscibili) e complessi processi di retroazione, da “proprietà emergenti” che non è possibile osservare in partenza; insomma, sistemi che non possono essere isolati dal contesto di riferimento. Le parti, che costituiscono i sistemi complessi, sono sempre strettamente interdipendenti ma non è mai così semplice individuarne i legami e le correlazioni. Questo perché siamo quasi sempre di fronte a dinamiche instabili, che rendono inefficace qualsiasi spiegazione deterministica e riduzionistica. Allo stesso tempo, esistono differenti livelli di descrizione che richiedono lessico e codici adeguati e pertinenti.
Epilogo: la complessità e qualche errore di prospettiva
Siamo tornati a ragionare sulla questione complessa della complessità e, nel concludere questa riflessione, non possiamo fare a meno di rilevare come, attualmente, tutti ne parlino e, per certi versi, ciò costituisce senz’altro un aspetto positivo (anche così cambiano i climi culturali); si potrebbe dire, con uno slogan, “tutto è complessità”, analogo all’altro famoso slogan “tutto è comunicazione”, che peraltro a tutto è servito meno che a chiarirne la rilevanza strategica; ecco, il rischio è proprio quello della banalizzazione, del discorso pubblico che, seguendo le consuete logiche della polarizzazione, struttura le agende delle opinioni pubbliche, lasciando pochissimo spazio all’approfondimento ed alla valutazione critica delle posizioni in campo.
Mi ripeto, ma ritengo questo punto del ragionamento fondamentale: complessità e specializzazione, multi/inter/trans-disciplinarità e specializzazione non sono in alcun modo antitetiche, né tanto meno rappresentano delle dicotomie. Necessario ripartire dall’esigenza di coniugare teoria e ricerca/pratica, conoscenze e competenze (non soltanto “tecniche”), umano e tecnologico non cadendo nella trappola, non soltanto argomentativa, dell’inutilità dei saperi (su utilità/inutilità della conoscenza ci sarebbe da dire tantissimo, ma ci torneremo).
Su queste “false dicotomie”(1995), d’altra parte, sono state costruite carriere, aree di potere, sfere di influenza e sono stati venduti tanti libri, anche a danno dei nostri giovani (purtroppo) e, più in generale, dell’evoluzione rimasta incompiuta del nostro ecosistema culturale.
A più riprese e in tempi non sospetti, ho sottolineato il rischio di un’innovazione tecnologica senza cultura e di un declino che, come quello di tutti i Paesi più “avanzati”, parte proprio dalla Scuola e dall’Università, private o, quanto meno, indebolite rispetto alle loro funzioni vitali per una democrazia compiuta.
E NOI, come Comunità, paghiamo ancora un dazio pesantissimo per la persistenza e il radicamento di queste “false dicotomie” (Dominici) che innervano e strutturano la nostra Scuola e la nostra Università, la nostra ricerca e i relativi percorsi didattico-formativi.
Il “mondo” e la “realtà”, non da oggi, sono complessi, anzi ipercomplessi ma, al di là del discorso pubblico che fa suoi, di volta in volta, temi e questioni considerati alla moda (trends), continuiamo a tenere ben separate le cd. “due culture” (Snow, 1959) e ad educare adottando modelli interpretativi lineari – quando poi non si presentano problemi di logica e analfabetismo funzionale, purtroppo molto diffusi – ricadendo puntualmente in interpretazioni deterministiche e riduzionistiche.
Concludo con le parole usate in altro contributo: “Occorre, pertanto, essere consapevoli – non soltanto a parole e nel discorso pubblico – che il futuro (come ripetiamo sempre, la “vera” innovazione, quella sistemica, sociale e culturale) è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’Umano e il Tecnologico, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare, di più, fondere le due culture (umanistica e scientifica) sia a livello di educazione e formazione, che di definizione di profili e competenze professionali (sulle competenze: non mi stancherò mai di ripeterlo…sono necessarie sia le hard che le soft skills). Facendo attenzione alle continue tentazioni delle vie brevi, delle soluzioni semplici, delle strade giù percorse e, per questo, rassicuranti che spesso nascondono soltanto interessi economici e di potere, visioni ideologiche rese ben visibili, oltre che accettabili e condivisibili, attraverso un’incessante attività di promozione e marketing degli eventi. […] “Innovare significa destabilizzare”, ma occorre, prima di tutto, educare e formare criticamente le persone a pensare con la loro testa e a vedere gli “oggetti” come “sistemi” (e non viceversa)*”.
Da tempo, infatti, non sappiamo più guardare/osservare/riconoscere l’insieme, il sistema, l’intero, la globalità, il sistema di relazioni e/o interazioni che li caratterizzano; in altre parole, ne riconosciamo, con una certa difficoltà, legami, correlazioni, nessi di causalità: proprio perché siamo stati educati e formati (nella migliore delle ipotesi) a descrivere, registrare regolarità, ai “come” e non ai “perché”; siamo stati educati e formati a cercare (?) e ad accontentarci di risposte semplici e/o pre-codificate, in ogni caso, ottenute in poco tempo. “Soluzioni semplici a problemi complessi”, come affermavo già alla metà degli anni Novanta. Questo cerchiamo!
Eppure, in futuro, per abitare l’ipercomplessità, dovremo essere in grado di farlo, di invertire queste preoccupanti tendenze, sempre nella piena consapevolezza della rilevanza strategica del processo inarrestabile di specializzazione di saperi e conoscenze.
Allargare lo sguardo … ripensando a come pensiamo, in cerca di un sistema di pensiero “altro” e, allo stesso tempo, di una nuova epistemologia/di nuove epistemologie. Proprio quei fattori determinanti che abbiamo sottovalutato per decenni. Tutti presi e assorbiti da quella “tirannia della concretezza” (Dominici, 1996 e sgg.) e da quell’ossessione per il “saper fare”, per una certa visione/concezione delle competenze, dell’efficienza e della produttività, che tanti danni (incalcolabili) hanno provocato negli ecosistemi sociali viventi.
#CitaregliAutori
Alcuni riferimenti bibliografici (una breve selezione):
- VV.(1985), La sfida della complessità, Bocchi G. e Ceruti M. (a cura di), Bruno Mondadori, Milano 2007 .
- Ashby W.R., An Introduction to Cybernetics, Chapman & Hall, London 1956.
- Bailey K.D. (1982), Methods of Social Research, The Free Press, New York, trad.it., Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1985.
- Bateson G. (1972), Steps to an ecology of mind, trad.it., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976.
- Coleman J.S. (1990), Foundations of Social Theory, trad.it., Fondamenti di teoria sociale, Il Mulino, Bologna 2005.
- De Toni A., De Zan G., Il dilemma della complessità, Marsilio, Roma 2015.
- Dominici P. (1996), Per un’etica dei new-media. Elementi per una discussione critica, Firenze Libri Ed., Firenze 1998.
- Dominici P., La società dell’irresponsabilità, FrancoAngeli, Milano 2010.
- Dominici P.(2005), La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento, FrancoAngeli, Milano 2011 (nuova ed.).
- Dominici P., Dentro la società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014.
- Douglas M. (1985), Risk Acceptability According to the Social Sciences, Routledge, New York, trad.it., Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano 1991.
- Eletti V., Complessità, cambiamento, comunicazioni. Dai social network al web 3.0, Guaraldi, Rimini 2012.
- Emery F.E. (a cura di), Systems Thinking, trad.it., La teoria dei sistemi. Presupposti, caratteristiche e sviluppi del pensiero sistemico, FrancoAngeli, Milano 2001.
- Ferrarotti F., La sociologia alla riscoperta della qualità, Laterza, Bari 1989.
- Gallino L., L’incerta alleanza. Modelli di relazioni tra scienze umane e scienze naturali, Einaudi, Torino 1992.
- Luhmann N. (1984), Soziale Systeme, Suhrkamp, Frankfurt 1984, trad.it. Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna 1990
- Morin E. (1990), Introduction à la pensèe complexe, trad.it., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993.
- Parsons T. (1951), The Social System, trad.it., Il sistema sociale, (intr. di L.Gallino), Comunità, Milano 1965.
- Watzlawick P., Helmick Beavin J., Jackson D.D. (1967), Pragmatic of Human Communication. A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes, trad.it., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971.
- Wiener N. (1950), The Human Use of Human Beings, trad.it., Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani, Bollati Boringhieri, Torino 1966
#CitaregliAutori
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Life, study and scientific research cannot be kept separate (an old illusion). And so, as always…
I share with pleasure a (very) short selection of scientific publications:
- Dominici, “Democracy is Complexity. Social Transformation from Below” https://oajournals.fupress.net/index.php/smp/article/view/15009, in SMP
#OpenAccess #PeerReviewed
- Dominici, P.(2023), “Beyond the Emergency Civilization: The Urgency of Educating Toward Unpredictability”, Sengupta, E. (Ed.) Higher Education in Emergencies: Best Practices and Benchmarking (Innovations in Higher Education Teaching and Learning, Vol. 53), Emerald Publishing Limited, Leeds, pp. 25-45. https://doi.org/10.1108/S2055-364120230000053003
- From Emergency to Emergence. Learning to inhabit complexity and to expect the unexpected”.
🌎 Pdf https://academia.edu/resource/work/99942554
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- “Beyond the Darkness of our Age. For a Non-Mechanistic View of Complex Organization as Living Organisms” in #RTSA
http://rtsa.eu/RTSA_2_2022_Dominici.pdf?fs=e&s=cl #PeerReviewed
“The distinction between ‘society-mechanism’ and ‘society-organism’ – on which I have been working and doing research for many years – is linked to the confusion we continue to make, in educational, social, economic, social and cultural terms, between ‘complicated systems’ (manageable, predictable) and ‘complex systems’ (unpredictable, irreversible and marked by ‘emergent properties’).
La distinction entre “société-mécanisme” et “société-organisme” – sur laquelle je travaille et fais des recherches depuis de nombreuses années – est liée à la confusion que nous continuons à faire, en termes éducatifs, sociaux, économiques, sociaux et culturels, entre “systèmes compliqués” (gérables, prévisibles) et “systèmes complexes” (imprévisibles, irréversibles et marqués par des “propriétés émergentes”)”
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- Dominici, P. The weak link of democracy and the challenges of educating toward global citizenship. Prospects (2022). UNESCO
Here’s the link: https://link.springer.com/article/10.1007/s11125-022-09607-8#citeas
Springer Nature – #PeerReviewed
https://doi.org/10.1007/s11125-022-09607-8
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Research Article
- ”The Digital Mockingbird: Anthropological Transformation and the “New Nature”, in World Futures.The Journal of New Paradigm, Routhledge, Taylor & Francis, Feb. 2022
https://doi.org/10.1080/02604027.2022.2028539
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- ”La Gran Equivocación: Replantear la educación y la formación virtual para la “sociedad hipercompleja”, in “Comunicación y Hombre”.Número 18. Año 2022
https://doi.org/10.32466/eufv-cyh.2022.18.701.23-38
https://academia.edu/resource/work/71194859
#PeerReviewed
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- ”Beyond the Darkness of our Age. For a Non-Mechanistic View of Complex Organization as Living Organisms” in RTSA
http://rtsa.eu/RTSA_2_2022_Dominici.pdf?fs=e&s=cl #PeerReviewed
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- ”From Below: Roots and Grassroots of Societal Transformation, The Social Construction of Change”, in CADMUS, 2021 #PeerReviewed
“That systemic change must begin from grassroots communities and single individuals and groups, and by definition can never be a top-down imposition, implicates a necessary rethinking of our educational institutions, which are still based on logics of separation and on “false dichotomies” (quote)
http://cadmusjournal.org/article/volume-4/issue-5/essay5-social-construction-change
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- ”Educating for the Future in the Age of Obsolescence”,
This article was peer-reviewed and selected as one of the “outstanding papers” presented at the 2019 IEEE 18th International Congress.
https://academia.edu/resource/work/44784439
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- ”For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the Human and the technological*” #PeerReviewed
“Objects as Systems. The strategic role of Education”
https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4/ in European Journal of Future Research, SPRINGER Edu …__________
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- ”A New Paradigm in Global Higher Education for Sustainable Development and Human Security”, November, 2021 | BY G.JACOBS, J. RAMANATHAN, R. WOLFF, R.PRICOPIE, P.DOMINICI, A.ZUCCONI, in CADMUS, Vol.IV, 2021.
https://www.cadmusjournal.org/article/volume-4/issue-5/new-paradigm-global-higher-education
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- ”Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era”
Link to PDF https://www.academia.edu/44785185/Controversies_about_Hypercomplexity_and_Education_cvs_15_11dom
#PeerReviewed
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- ”Communication and the SOCIAL PRODUCTION of Knowledge. A ‘new social contract’ for the ‘society of individuals’
https://academia.edu/resource/work/44804068
#Research #PeerReviewed
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- ”Education, FakeNews and the Complexity of Democracy”.
“The real problems we are facing today are not the fake news, post-truths, deep fakes, or disinformation of various kinds and origins, but a socially constructed pre-disposition to conformism; in short, the decline of democracy. These are not problems merely of technology and cannot be solved by technology alone” (quote).
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An approach and research since 1995
Immagine: opera di Wassily Kandinsky