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Nella società ipercomplessa (Dominici 2005 e 2011), le organizzazioni complesse e, più in generale, i sistemi sociali appaiono sempre più caratterizzati da dinamiche conflittuali incerte e da una razionalità limitata che lasciano aperta e insoluta ogni dialettica, relegando sempre più spesso nell’area della percezione (individuale e collettiva) e dell’emotività, scelte e decisioni che, almeno in linea teorica, dovrebbero osservare criteri di razionalità e scientificità. La crisi economica e l’instabilità dell’economia globale sono, in tal senso, eventi paradigmatici. In tale contesto, la comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza, sembra aver ormai assunto una centralità strategica in tutte le dimensioni della prassi, contribuendo a ridefinire assetti e gerarchie, ma anche modelli e processi organizzativi. L’ipertrofizzazione degli apparati burocratici, la progressiva dissoluzione dello spazio pubblico e l’evoluzione delle democrazie, fondate sulla trasparenza, sull’accesso, sul concetto di sovranità popolare e, da un punto di vista culturale, sull’individualismo economico – impostosi a danno di quello democratico (Urbinati, 2011) – hanno causato una radicale politicizzazione della sfera pubblica, ormai ancella* del sistema di potere, il cui spazio operativo si è significativamente ridotto alla sola questione della rappresentanza. In alcuni casi, il processo di evoluzione dei neonati regimi democratici, spesso culturalmente fondati sul concetto di sovranità popolare – intesa come egemonia o predominio delle maggioranze – e sulla mancata definizione del rapporto tra i valori fondanti della libertà e dell’uguaglianza, ha determinato l’articolarsi di quella stessa sfera pubblica in istituzioni politiche e in nuove istanze sociali in cerca di un riconoscimento pubblico e, soprattutto, di una traduzione operativa in azione politica e norme di diritto, che è andata configurandosi sempre più come sistema autopoietico.
Le organizzazioni complesse devono, così, confrontarsi e interagire con sistemi sociali, caotici e disordinati ma reciprocamente dipendenti, che attraversano un’ulteriore fase (critica) di mutamento segnata dall’avvento dell’economia interconnessa: un tipo di economia e di contesto storico-sociale che, al di là delle resistenze, stanno spingendo sempre più i sistemi organizzativi, e le relative strategie, ad uniformarsi ai principi teorici della trasparenza e dell’accesso con l’obiettivo cruciale di progettare e realizzare strumenti per una loro traducibilità empirica ed operativa. In tal senso, la comunicazione (non soltanto quella organizzativa), da “semplice” strumento di manipolazione, promozione e visibilità è destinata progressivamente a diventare e ad essere riconosciuta come vero e proprio vettore di trasparenza, accesso, servizio, condivisione. Si pongono, pertanto, nuove questioni anche in materia di cittadinanza e di partecipazione ai processi decisionali. In discussione ci sono, da una parte – sempre a patto che si voglia realmente investire in capitale cognitivo – nuove opportunità di emancipazione e di inclusione (anche per ciò che concerne, nello specifico, le stesse organizzazioni complesse) offerte da quella conoscenza diffusa (e dalle intelligenze collettive) potenzialmente in grado di produrre benessere sociale, efficienza istituzionale e sviluppo economico, alimentando le reti di protezione e promozione sociale; dall’altra, nuove criticità legate alla questione, tuttora irrisolta, del digital divide e al possibile consolidamento di tecno-élite sempre più potenti. In ogni caso, si intensificano i legami di interdipendenza e di interconnessione, anche se alcuni osservatori continuano ad ipotizzare la possibile fine del legame sociale. Da sottolineare l’interessante processo di crescita di movimenti sociali e di gruppi di pressione che, non sentendosi rappresentati da una politica sempre più distante, si assumono la responsabilità di rendere visibili al Sovrano – oltre che alle opinioni pubbliche – istanze sociali generatesi dal basso. Si tratta di movimenti che sempre più spesso utilizzano la Rete e il web 2.0 come infrastruttura organizzativa (Castells 2012), anche se non mancano criticità, ambiguità ed aspetti da valutare con attenzione (Morozov 2011; Lovink 2011). Il vecchio modello industriale costituito da assetti consolidati, gerarchie, logiche di controllo e di chiusura al cambiamento sembra sul punto di essere scardinato dal nuovo ecosistema della conoscenza, oltre che dal processo di convergenza. La conoscenza comincia (finalmente) ad essere (anche) riconosciuta come bene comune e come risorsa in grado di rendere più efficienti i sistemi organizzativi, (ri)stabilendo rapporti sociali meno asimmetrici. Ma, è bene ribadirlo, le nuove forme di produzione sociale di conoscenza potranno risultare decisive soltanto a condizione che gli attori dell’arena pubblica sappiano cosa fare con la conoscenza, come utilizzare le reti e i media sociali e, più in generale, la tecnologia. Ciò riporta in primo piano l’urgenza di una riforma complessiva del pensiero (complesso) e del sapere, che non possiamo affrontare in questa sede per evidenti motivi. Viviamo, d’altra parte, in un’epoca sempre più segnata dalla frantumazione dei sistemi di appartenenza e credenza – produttori di identità individuali e collettive – e dalla conseguente affermazione di valori individualistici e utilitaristici in grado di condizionare e modificare modelli di comportamento e stili di vita. Non a caso si continua a dibattere da più parti di “tirannia dell’individuo” (Todorov, Cassano etc.), vera e propria forza centrifuga in grado di corrodere i legami dei sistemi sociali e, nel nostro caso, la qualità del benessere sociale e organizzativo. Un processo di progressivo indebolimento e sfaldatura che trova ulteriori conferme nel diffuso deficit di partecipazione sociale e politica a sua volta alimentato da un clima di sfiducia generale nei confronti di tutte le istituzioni (formali e informali), in passato uniche responsabili della trasmissione dei sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo. In questo scenario così complesso, incerto e articolato, la comunicazione, i mezzi di comunicazione (mass e new media), il sistema dell’informazione, la Rete e, in particolare, il Web 2.0 (partecipativo e sociale) sembrano aver definitivamente occupato – per non dire egemonizzato – non soltanto lo spazio pubblico della discussione e della formazione delle opinioni pubbliche, ma anche quell’area decisiva della prassi sociale un tempo “controllata” dalle tradizionali agenzie di socializzazione. A tal proposito, ritengo di fondamentale importanza tenere ben distinti i due piani di discorso e analisi: da una parte, le tecnologie e/o i mezzi di comunicazione, dall’altra, la comunicazione stessa che è processo sociale caratterizzato dalla presenza di attori sociali (soggettività etiche) e/o di individui che si confrontano sul terreno delle competenze (asimmetrie comunicative) e dei rapporti di potere (!) che queste determinano. Presupposto forte della presente analisi è il fermo convincimento che soltanto l’affermazione di una cultura della comunicazione (condivisione della conoscenza) (Dominici, 1996-98), in generale, nei sistemi sociali ed, in particolare, all’interno ed all’esterno delle organizzazioni complesse (concetto di organizzazione come “sistema aperto”) possa effettivamente creare le condizioni, non soltanto per una maggiore efficienza ed efficacia dell’agire organizzativo, ma anche per la realizzazione e la concreta applicazione di quei fondamentali diritti/doveri di cittadinanza senza i quali l’attore sociale (nelle sue molteplici vesti di cittadino-utente-consumatore) non può evidentemente trovare nessun tipo di legittimazione/riconoscimento alle sue istanze; ritrovandosi, di fatto, in una condizione di sudditanza, all’interno di una sfera pubblica (Privitera 2001) già ridimensionata e del tutto inconsistente. Conoscenza e competenze, in tal senso, sono in grado di determinare, sempre più in misura significativa, i rapporti di forza in ogni sfera della vita sociale, organizzativa, sistemica. In questa prospettiva – e nella sua traduzione operativa – la comunicazione si fa produttrice di cooperazione e integrazione, di trasparenza ed accesso; diviene, in altri termini, prerequisito e presupposto strategico per una governance efficace dei sistemi e per l’evoluzione dei regimi democratici verso una maggiore inclusione e partecipazione.
Riferimento bibliografico: Piero Dominici, Comunicazione, sfera pubblica e produzione sociale di conoscenza: nuovi scenari per le organizzazioni complesse in “RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE” 3/2013, pp. 97-116, DOI:10.3280/SA2013-003007 #PeerReview
Per approfondire, di seguito il link all’articolo:
https://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_rivista.aspx?IDArticolo=49507
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N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla” (un “copia e incolla” molto sofisticato), alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.
I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.
Buona riflessione!
Immagine: Jacek Yerka, Enclave