Di Pensiero critico (?) e di Educazione civica digitale. Di Reti e di innovatori

Come sempre “senza tempi di lettura”.

 

Attualmente, tutti scrivono e parlano di pensiero critico, di formazione critica, di pensiero innovativo (e innovazione), di visione sistemica e di “lungo periodo”, di dialogo e contaminazioni tra i saperi e le competenze…salvo poi non praticarli – anzi, ostacolandoli in ogni maniera – e, fatto ancor più significativo, per le tante implicazioni, non dando mai spazio a “voci” realmente critiche, a voci “altre”, a contributi non allineati (studi e ricerche compresi) e – operativamente e concretamente – fuori dal coro, a pensieri/analisi/contributi non riconducibili a élites, reti e gruppi ben definiti. Legami e connessioni che sono forti e consolidati, da sempre.

(E vedrete tra qualche tempo, scoppierà l’ennesima moda/ennesimo trend, anche nella ricerca scientifica, con le tematiche e le questioni legate all’intelligenza artificiale: ancora una volta, saranno tutti “esperti” e tutti sapranno come “si fa” e come “si gestisce”)

Pensiero critico, educazione alla complessità, educazione alla cittadinanza, educazione alla responsabilità, educazione civica, educazione civica digitale, interdisciplinarità, multidisciplinarità, resilienza, pensiero sistemico…le formule, tradizionali e quelle (apparentemente) originali, sono davvero numerose…

Attualmente tutti, ma proprio tutti, anche coloro che li hanno sempre osteggiati (e, lontano dai riflettori, continuano a farlo), anche coloro che non se ne sono mai occupati, né come attività di ricerca né come didattica, né tanto meno a livello professionale e lavorativo; anche coloro che erano convinti che le tecnologie della connessione (1996) e il digitale, “da soli”, avrebbero creato una generazione di fenomeni, avrebbero rivoluzionato le organizzazioni senza dover cambiare le culture organizzative; avrebbero annullato ogni distanza e ogni asimmetria/disuguaglianza senza cambiare radicalmente proprio educazione e formazione (avrei da dire/scrivere moltissimo ma semplifico al massimo); quelli che…il problema era/è soltanto il “digital divide”…potrei proseguire per pagine e pagine.

Ebbene, gli stessi di sempre, aiutati dai tanti “discepoli” (bene per loro e per le reti/i sistemi che alimentano e che, a loro volta, li sostengono dandogli potere e visibilità) oggi si occupano/scrivono di pensiero critico, di interdisciplinarità, perfino di complessità, richiamano il valore assoluto e la rilevanza strategica di istruzione ed educazione, parlano e scrivono di “cambiamento sistemico” e di “lungo periodo”.

Le stesse e gli stessi – “esperti di tutto” e in tutto, con “soluzioni a portata di mano per qualsiasi problema” – che bastava l’educazione digitale (e una certa visione, un certo approccio riduzionistico e deterministico, di “educazione digitale”); quelli che…contavano/contano, solo ed esclusivamente, le “competenze digitali”, quelli che… la formazione umanistica e, fatto ancor più grave, la ricerca nell’area umanistica e politico-sociale, non servono a nulla, non sono “utili” (“roba” tutta italica).

Perché i saperi, le competenze, la conoscenza e la cultura, la didattica e la stessa ricerca scientifica, devono ormai, da tempo, osservare e uniformarsi al principio (ingannevole) di “utilità” e a quella che ho definito, in tempi non sospetti, “dittatura della concretezza”, per non parlare delle ben note “retoriche dell’eccellenza” su cui, in passato, ho detto e scritto molto.

Scuole e Università, controriformate negli ultimi decenni da tutti i soggetti politici senza alcuna distinzione(!), e, soprattutto, i nostri giovani, le nuove generazioni, stanno già pagando e pagheranno, in futuro, un conto salatissimo a scelte. strategie, politiche a dir poco dissennate e ingannevoli!

Oggi, gli stessi (possono essere studiose/i, esperti e innovatori, “rivoluzionari” e “visionari” etc.), sempre pronti a seguire mode e tendenze – capita anche nella ricerca scientificacavalcando approcci e idee che non hanno mai condiviso né tanto meno praticato, parlano di “educazione e formazione critica”, di “pensiero sistemico”, ma anche di “nuovo umanesimo”, di umanizzare le tecnologie (?), parlano/scrivono quasi ossessivamente di Persone e Cittadini, ma anche di istruzione ed educazione “al centro”; peraltro, quasi sempre, riaffermando (più o meno) inconsapevolmente vecchie (false) dicotomie (1995).

Quasi paradossalmente, anche su testi e documenti istituzionali e ufficiali, ormai non si parla d’altro; si potrebbe pensare (e lo penso) “meno male”, “meglio tardi che mai”, “finalmente ci siamo!” …eppure l’impressione, non da oggi, è che certi temi e questioni siano/rischino, come sempre, di essere soltanto “temi alla moda” e/o slogans di successo; parole-chiave e formule che non possono non essere utilizzate per mostrarsi” e accreditarsi come esperti super aggiornati.

Purtroppo infatti, molto spesso, si continua, al di là dei proclami e delle parole-chiave che segnano un vero e proprio “sentiero egemone”, ad andare nelle direzioni opposte.

Sono gli innovatori, i super-esperti e i visionari del tutto, i “replicanti/amanuensidi idee/studi/ricerche messi insieme soltanto per convincere le opinioni pubbliche e i cd. stakeholders; sono i sacerdoti dell’eccellenza, sempre alle prese con premi e classifiche, di ogni genere; sono le stesse/gli stessi che, ora (neanche ieri) riscoprono l’idea/la visione che la Scuola e, poi, l’Università debbano educare e formare, prima di tutto, Persone e Cittadini!

Ma, tale riscoperta avviene (spesso) soltanto per ragioni di opportunità e consenso.

E, forse,  dovremmo tutti interrogarci (seriamente!) – soprattutto, ma non soltanto, con riferimento a tutti questi super-esperti e alle élites che continuano a guidare (?) e monopolizzare il cambiamento – se, dopo qualche decennio, nessun cambiamento culturale e sistemico – nessun   cambiamento profondo – è stato mai prodotto/realizzato, qualche ragione ci sarà…

La stretta, strettissima, correlazione tra educazione e cittadinanza/democrazia/inclusione – come noto – si sostanzia in un concetto, una visione, un’idea di società, apparentemente “vecchi” e datati, anche se con una storia importante alle spalle; eppure, quanto mai attuali e necessari, ancor piu se consideriamo la ben nota questione culturale ed educativa. In ogni caso – lo confesso – fa comunque un certo effetto che, a farsi sostenitori/paladini di certi temi e questioni, perfino valori, siano proprio gli stessi (sono tanti, peraltro) che hanno sempre visto le nostre Scuole e le nostre Università (da “dentro” e da “fuori”) soltanto come “fabbriche” di lavoratori e di tecnici/tecnologi, sempre alla frenetica rincorsa di imprese e mercato; sono gli stessi che oggi riscoprono (appunto), sia le “dimensioni complesse della complessità educativa”(Dominici, 1998 e sgg.), sia quelli che dovrebbero essere i reali, oltre che fondanti, obiettivi delle nostre istituzioni educative e formative. In qualche caso, sono stati protagonisti e/o co-costruttori, anche a livello di “clima culturale”, del declino delle nostre istituzioni educative e formative e, nonostante tutto, continuano ad essere coinvolti nei progetti/processi di ripensamento/riforma (?) delle stesse. Alla base di ogni discorso, sempre e comunque, anche la ricerca dell’eccellenza o, per meglio dire, di una visione ideale e idealizzata dell’eccellenza (che si sostanzia in una retorica dell’eccellenza). E, sia chiaro, su tali questioni, siamo sulle ben note “spalle dei giganti”, anche se si cerca di far credere sempre che si tratti di idee rivoluzionarie. D’altra parte – va detto anche questo – non tutti possono o hanno il tempo di studiare/prepararsi/approfondire, con continuità e rigore, e/o fare ricerca, e, soprattutto, non tutti lo fanno per lavoro; meno giustificabili coloro che dovrebbero basare il proprio lavoro/la propria professione, perfino la propria professionalità, proprio sulla preparazione e un aggiornamento continuo (oltre che sull’esperienza). Attualmente, come detto, è piuttosto semplice far apparire “rivoluzionarie”, “geniali”, “originali”, idee, concetti, visioni, pratiche, modelli, che non lo sono o che, comunque, hanno una lunga storia, fatta di percorsi di studio e ricerca che arrivano da lontano e che magari, in passato, non sono stati neanche considerati. E così, è normale che anche certe proposte possano apparire addirittura rivoluzionarie e innovative, ancor di più se scritte e diffuse in inglese, il codice della globalizzazione.

Ciò nonostante – importante ribadirlo – ben venga il cambiamento di “clima culturale” su tali questioni – che sono di vitale importanza – a patto che poi non si (ri)commetta l’errore di sempre di “comunicare (?)” un cambiamento radicale che, nel concreto, non c’è, non viene e non è stato mai perseguito. Usando una mia vecchia formula “comunicazione del dire vs. comunicazione del fare”.

Ci sarebbe, infine, da dire molto – negli anni, l’ho fatto, e non aggiungo altro – sulle difficoltà (per carità, l’ostacolo può essere aggirato andando all’estero, facendo parte di progetti e reti internazionali) che pensatori, studiosi, ricercatori, innovatori, esperti, creativi, artisti, incontrano per veder riconosciuto e valorizzato il proprio lavoro, i propri studi, i progetti e le ricerche prodotte. Anche questa è una delle ragioni forti di un’innovazione esclusiva, un’innovazione dei pochi, e della difficoltà di costruire una cultura, un sistema dei saperi e delle competenze, in grado di sostenere le sfide della (iper)complessità. E di determinare un “vero” cambiamento. L’urgenza di affermare un sistema di pensiero realmente originale e innovativo sul mutamento in corso è sotto gli occhi di tutti, anche se continuiamo a far finta di niente. Un sistema di pensiero che si traduca, successivamente, in scelte e strategie differenti e/o alternative rispetto al passato.

La produzione e la condivisione di saperi e culture sono processi complessi, tuttora, rallentati, ingabbiati, da reti chiuse esclusive (sociali e digitali), da un modello sociale che continua ad essere corporativo e feudale (1996 e sgg.) – ho parlato in un passato, anche recente, di “società asimmetrica” – oltre che da una Politica che, da tempo, è ancella** del potere economico e finanziario ma, allo stesso tempo, esercita un’egemonia tutt’altro che virtuosa su processi e industrie culturali.

Un modello sociale in cui le élites, oltre a tenere ben salde le leve decisionali, riescono a gestire/controllare e fagocitare, almeno per ora, anche molte delle spinte “alternative” a quelle provenienti dall’alto. Spinte al cambiamento e ad un’innovazione, sociale e culturale, che vengono puntualmente ricondotte nei canali, nei sentieri e negli interessi, appunto, di élites dominanti e gruppi ristretti. Nel mondo della produzione culturale, la ricerca, per certi versi, ossessiva del consenso generale e della coesione dei sistemi sta producendo un conformismo e un’omologazione da cui, per molto tempo, sarà complicato uscire (ne parlo da molto tempo). In tal senso, la stessa Rete e le reti digitali (estensioni di quelle sociali, preesistenti) avrebbero potuto, e potrebbero ancora, creare spazi di discussione e azione ma, almeno per ora, i “segnali” che arrivano, non da oggi, sono tutt’altro che incoraggianti: controllo, sorveglianza, omologazione, rischi concreti anche per la libertà di pensiero e l’autonomia nelle scelte, con profonde implicazioni per la democrazia e le democrazie. Di fondamentale importanza il risveglio, anche e soprattutto, culturale della società (Persone, reti, sistemi di relazione, strutture, ecosistemi etc.) che, come noto, può/potrebbe verificarsi solo nel “lungo periodo”, sempre a patto che si intervenga, in maniera radicale, su educazione e formazione. Marketing e comunicazione, da sempre, non bastano! Così come non bastano “fattore giuridico” e “fattore tecnologico”, condizioni necessarie, ma non sufficienti. Mi ripeto, “questione educativa e culturale”. Al di là di tutte queste considerazioni, ci sarà sempre spazio perché si creino le condizioni sociali e culturali del cambiamento, e bisogna insistere. Perché le culture e i modelli culturali, pur funzionali alla coesione e costruzione del consenso/conformismo, contengono sempre gli elementi e le variabili in grado di negarli, i germi della propria contraddizione (metafora ben nota). Ma…Educazione e formazione: servono cambiamenti radicali, e non mi stancherò mai di dirlo, nonostante siano passati molti anni.

 

P.S. Non sono interessato alle polemiche ed a certi discorsi sui partiti che, comunque, giocano un ruolo importante in queste dinamiche. Da sempre, la mia analisi critica riguarda, evidentemente, il sistema educativo, formativo e culturale, con le pratiche, le logiche e le culture che lo caratterizzano, lo segnano in profondità. Definendo le pre-condizioni della cittadinanza e della democrazia. È una questione di sistema, anzi di sistemi, sistemi complessi adattivi. È una “questione culturale”.

Allego volentieri il saggio “Oltre la libertà di essere sudditi”:

http://www.casadellacultura.it/viaborgogna3/viaborgogna3-n5-allegato.pdf

Karl Jaspers (1925) «L’autenticità è ciò che è più profondo in contrapposizione a ciò che è più superficiale; per es. ciò che tocca il fondo di ogni esistenza psichica di contro a ciò che ne sfiora l’epidermide, ciò che dura di contro a ciò che è momentaneo, ciò che è cresciuto e si è sviluppato con la persona stessa contro a ciò che la persona ha accattato o imitato».

Parole su cui riflettere a lungo, a mio avviso, oggi ancor più attuali…

 

Segnalo alcuni articoli e contributi:

  • Tra conoscenza e controllo sociale (spunti per una lettura critica)

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2014/11/05/tra-conoscenza-e-controllo-sociale-spunti-di-riflessione-per-una-lettura-critica/

  • “Per un’innovazione inclusiva**: ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”

http://www.techeconomy.it/2016/02/25/uninnovazione-inclusiva-ricomporre-la-frattura-lumano-tecnologico/

  • “Innovare significa destabilizzare”. Perché la (iper) complessità non è un’opzione

http://www.techeconomy.it/2016/04/05/innovare-significa-destabilizzare-perche-la-iper-complessita-non-unopzione/

  • “Il grande equivoco. Ripensare l’educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa”

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2016/12/08/il-grande-equivoco-ripensare-leducazione-digitale-per-la-societa-ipercomplessa/

  • “La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo”

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2015/09/23/la-societa-asimmetrica-e-la-centralita-della-questione-culturale-le-resistenze-al-cambiamento-e-le-leve-per-innescarlo/

  • “L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale”

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2015/07/03/lipercomplessita-e-una-crisi-non-soltanto-economica-ripensare-il-sapere-e-lo-spazio-relazionale/

  • “La condizione del sapere nella società della conoscenza: tra condivisione e riproducibilità “tecnica”(?)”

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2015/02/20/la-condizione-del-sapere-nella-societa-della-conoscenzatra-condivisione-e-riproducibilita-tecnica/

  • La comunicazione ridotta a marketing #PianoInclinato

http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2017/02/18/la-comunicazione-ridotta-a-marketing-pianoinclinato/

Tra le interviste, condivido volentieri:

  • Intervista concessa a l’Huffington Post: “La cultura della complessità come cultura della responsabilità”

http://www.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/

  • Intervista concessa a VITA: “Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni”   

http://www.vita.it/it/interview/2017/06/09/nella-societa-ipercomplessa-la-strategia-e-saltare-le-separazioni/119/

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N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.

I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi. 

Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.

Buona riflessione!

Immagine: opera di Banksy