Piero Dominici: “l’erreur des erreurs”

Questa volta, “Fuori dal Prisma” ospita il contributo “Piero Dominici: l’erreur des erreurs” – che sarà pubblicato, anche in lingua francese, su Futuribles International , Parigi – di André-Yves Portnoff, illustre studioso e accademico francese di fama internazionale. Colgo l’occasione per ringraziarlo e rinviarlo a future occasioni e progetti.

Al termine del contributo di André-Yves Portnoff, come sempre, collegamenti ipertestuali e percorsi di approfondimento.

Tra questi, ri- condivido la voce/saggio scritta per Treccani: “La complessità della complessità e l’errore degli errori” (2018), con alcuni riferimenti bibliografici (una selezione).

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Piero Dominici: “l’erreur des erreurs”!

Non dimentichiamo il passato se vogliamo capire il presente ed esplorare futuri positivi. La storia non si ripete, ma certi comportamenti umani portano sempre alle stesse illusioni, agli stessi errori. Così, dice il sociologo italiano Fabio D’Andrea, il nostro nuovo mondo di oggi è molto più simile a quello vecchio di quanto si pensi!

Torniamo indietro di 2500 anni, raccomanda, invitato dal professor Piero Dominici[1] dell’Università di Perugia a un seminario[2] coordinato dal dottor Luigi Somma. Fabio D’Andrea[3], collega le visioni, gli immaginari che oggi impregnano il Web, all’opposizione che Platone tracciava tra il corpo e l’anima, lo spirito e la materia. Dopo Platone, la religione cristiana non ha mai smesso di stigmatizzare il corpo materiale, considerato impuro, accusato di imprigionare la nostra anima finché viviamo. Fortunatamente, la vita eterna viene dopo, ci è stato assicurato. Ora i transumanisti della Silicon Valley ci promettono l’immortalità!

Nel corso dei secoli, la stigmatizzazione del corpo si è intensificata, spinta da un ragionamento binario che perpetua l’illusione che esistiamo da soli, indipendentemente da qualsiasi interazione. Questa credenza è una assurdità”, dice il sociologo. Come ha spiegato Antonio Damasio, la coscienza, il sé, non è un'”entità” imprigionata nell’involucro del nostro corpo, ma il risultato di un insieme di processi dinamici. Siamo vivi e coscienti perché le nostre cellule interagiscono tra loro. Perché, in ogni momento, interagiamo con i milioni di microrganismi che ci abitano. Perché interagiamo anche con altri esseri umani, con la Società, con quest’ambiente di cui siamo solo una parte. San Francesco d’Assisi, che lodava la natura, rimane un’eccezione storica, anche se il Papa attuale segue il suo esempio: l’uomo cristiano, dal mito di Adamo a Cartesio, pretende di non fare parte del suo ambiente naturale e di esserne il proprietario.

Un mondo ridotto a due cifre

 Il ragionamento binario ci porta a collocare la nostra personalità solo nel nostro cervello, perché non vediamo né la complessità della realtà né la nostra stessa complessità.

Edgar Morin, spesso evocato da Piero Dominici, spiega che noi siamo l’emergenza delle interazioni tra le componenti materiali del nostro corpo e tra questo e il mondo. Fabio D’Andrea insiste sul fondo di religiosità che impregna il nostro discorso attuale. “L’uomo è un corpo”, afferma, perché “il mondo è flusso, dobbiamo ragionare in modo contestuale”. Contrariamente a quanto credeva Platone, non esiste una conoscenza universale indipendente dal contesto. La respirazione illustra la nostra dipendenza dall’ambiente.

La pandemia avrebbe dovuto ricordarci l’importanza del contagio tra il nostro ambiente e noi stessi. Il contagio attraverso Covid è, ovviamente, negativo, ma ci sono anche contagi positivi. Spesso viviamo le relazioni con gli altri come aggressioni quando senza di loro non esisteremmo!

Per Fabio D’Andrea, l’opposizione tra corpo e anima si rintraccia nell’opposizione che facciamo tra hardware e software, la nuova coppia cartesiana. Pensiamo di essere liberi dalla materia grazie ad algoritmi, simulazioni, riducendo tutto a una successione di due numeri, 0 e 1. In una gigantesca simulazione, finiamo per ridurci ad algoritmi. E chi è l’autore di questi algoritmi, aggiunge Fabio D’Andrea? Stiamo diventando gli schiavi di un grande programmatore? Ci facciamo queste domande”, spiega il sociologo, “perché cerchiamo, soprattutto dalla Controriforma, di liberarci da ogni responsabilità: non è colpa nostra! Facciamo quello che l’algoritmo prescrive! Quello che dettano i dati! Le nostre decisioni sono razionali!

Simulazioni, intelligenza artificiale, tutto questo è comodo, ripetiamo. Tutto questo fa risparmiare molto tempo. Ma cosa ne facciamo di questo tempo risparmiato, si chiede Piero Dominici?

“Tutto appare semplificato e semplice, ma non è così! Tutto è delegato alla tecnologia perché”, come afferma Piero Dominici[4], “il paradigma della civiltà ipertecnologica si fonda sulla progressiva marginalizzazione dell’Umano e della responsabilità, sull’illusione di poter eliminare l’errore e l’imprevedibilità dalla nostre esistenze.”

Confusione tra complicato e complesso

 Piero  Dominici ha intitolato un parte di un suo libro recente “La grande illusione di una civiltà senza errori”[5] Ci raccontiamo che siamo esseri razionali. Tutte le nostre decisioni, che l’economia dei neoliberali pretende di poter spiegare da sola, sarebbero sempre finalizzate a fare più soldi. Ma questa è una semplificazione riduttiva. La società è ridotta a un sottosistema dell’economia. Invece l’economia del guadagno non basta a dare un senso alle nostre azioni. Tutto non può essere ridotto ai numeri. Bisogna evitare, insiste Piero Dominici, l’ossessione di misurare tutto quantitativamente. Questo ci fa trascurare il qualitativo, l’umano e il sociale.

Al modello economico egemonico e all’Homo oeconomicus perfettamente razionale, escludendo l’emozione, si oppone la nostra razionalità necessariamente limitata, come ha dimostrato Herbert Simon.  E’ tempo di ripensare la stessa idea di “scienza”, che non può più basarsi soltanto sull’osservabilità. “L’errore degli errori”, per Piero Dominici, è “la confusione tra complicato e complesso, tra sistemi complicati e complessi”.

I sistemi complicati, meccanici e artificiali, sono gestibili; sono governati da relazioni lineari, osservabili, misurabili e prevedibili. I sistemi complessi, biologici e umani, sono caratterizzati da relazioni sistemiche e piccole variazioni innescano reazioni non lineari e imprevedibili. Quindi, l’errore, l’imprevedibilità e l’incertezza fanno parte della nostra vita.

La confusione complesso-complesso è oggi strumentalizzata. Una delle grandi illusioni denunciate da Piero Dominici ci fa credere che avere masse di dati e poterli misurare ci renda capaci di prendere decisioni razionali e di fare predizioni. Ci si illude che l’intelligenza artificiale possa ridurre o, addirittura, eliminare la complessità.

Un grande pericolo è quello di realizzare un modello organizzativo e sociale, caratterizzato da isolamento e perdita della responsabilità, simile a quello del nazismo. Edgar Morin ha lanciato l’allarme in Penser global[6]: la scuola, che non spiega la complessità, l’incertezza della conoscenza o la natura dell’essere umano, facilita l’emergere di fanatici terroristi.

A sua volta, Piero Dominici critica l’attuale sistema educativo progettato e adeguato per formare persone disciplinate che si limiteranno ad applicare le regole senza interrogarsi sulla loro pertinenza, senza spirito critico. Quindi, per formare uomini liberi, è più che mai urgente ripensare la scuola, come Edgar Morin dice da decenni. Si parla molto di multidisciplinarietà, ma è ora di agire, andando oltre le operazioni di facciata (marketing).

Le scuole e le università devono diventare interdisciplinari e insegnare il dubbio, l’incertezza, la relatività della conoscenza, e costruire “una cultura della complessità che è una cultura della responsabilità e prevenzione”[7]. Per Piero Dominici, bisogna smettere di separare la formazione umanistica da quella tecnologica, le conoscenze dalle competenze. Le specializzazioni sono necessarie, ma gli specialisti devono dialogare tra loro.

Al momento, la mancanza di dialogo tra i saperi ha conseguenze mortali. Covid-19 si è diffuso tanto più facilmente perché, di fronte all’imprevisto, abbiamo mantenuto la compartimentazione delle conoscenze e delle competenze.

La complessità dei problemi posti dalla pandemia avrebbe dovuto spingerci a incrociare e condividere le conoscenze. Invece, stiamo assistendo a un aumento dell’egoismo, dopo una dinamica di solidarietà all’inizio della pandemia. È più urgente che mai sviluppare le condizioni per un dialogo tra saperi, tra specialisti.

Piero Dominici sostiene che, fin dai primi anni di educazione, dobbiamo costruire una cultura dell’errore, un errore che può essere tanto meno stigmatizzato quanto più si accelera l’obsolescenza del sapere; formiamo mentalità coraggiose, menti aperte e immaginative, teste ben formate, come diceva Montaigne. Con una nuova cultura della comunicazione. “Facciamo dell’Università un luogo privilegiato per incontri e scambi!”

Andrea Portnoff

 

* André-Yves Portnoff, illustre accademico francese.

 Figlio di due pittori, padre russo, madre italiana, André-Yves Portnoff è nato a Parigi, dove vive. Laureato in chimica e dottore in scienze dopo una ricerca in metallurgia nucleare, André-Yves Portnoff ha diretto per dieci anni Sciences & Techniques, mensile di previsioni tecnologiche. Coautore del Primo Rapporto in lingua francese sulla società immateriale (La Révolution de l’intelligence, 1983-1985), è uno dei pionieri in Francia dell’economia immateriale.Ricercatore, consulente in prospettiva, innovazione, politica industriale, sviluppo territoriale e valutazione strategica, collabora con Futuribles International (Parigi) e insegna alle Haute Ecole de Gestion di Friburgo e Ginevra, all’IMSGenova, alla Chaire Edgar Morin de la complexité all’ESSEC e all’Institut des Hautes Etudes Scientifiques et Techniques (IHEST, Parigi).

 

[1] Piero Dominici, professeur et chercheur, Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione. Universita degli Studi de Perugia. Directeur scientifique de l’International Research and Education Programme on Human Complex Systems.

[2] Lectio del Professore Fabio D’Andrea. 22 avril 2021.  Università degli Studi di Perugia. https://lnkd.in/emrBUY2

[3] Fabio D’Andrea est professeur associé à l’Universita degli studi de Perugia.

[4] Dominici Piero. Oltre il cigno nero. Prepararsi all’imprevedibilità. Webinar. 29 avril 2021. Wise Town. https://wise.town/imprevedibilita-webinar-pubblica-amministrazione/

[5] Dominici Piero, Dentro la società interconnessa. La cultura della complessità per abitare i confini e le tensioni della civiltà ipertecnologica. FrancoAngeli. 2019.

[6] Morin Edgar, Penser global, L’humain et son univers. Robert Laffont, 2015.

[7] Huffpost, 4 mai 2017. https://www.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/?ncid=other_twitter_cooo9wqtham&utm_campaign=share_twitter

 

Voce/saggio pubblicata per Treccani (2018)

La complessità della complessità e … l’errore degli errori[1] 

di Piero Dominici, Fellow della World Academy of Art & Science, Direttore scientifico del Complexity Education Project, Università degli Studi di Perugia

Una questione complessa, quella della complessità! Siamo ancora poco consapevoli della sua natura (appunto) complessa e ambivalente: una complessità che è cognitiva, soggettiva, sociale ed etica, ma anche linguistica e comunicativa. In tal senso, la nostra analisi non può prescindere da una serie di premesse che, tuttavia, potremo sviluppare sinteticamente ed, evidentemente, in maniera non esaustiva.

In primo luogo, non è inutile precisare che, nel portare avanti le successive tesi e argomentazioni, dovremmo prima di tutto metterci d’accordo sul significato stesso dei termini (livello fondamentale, sempre), oltre che sui campi/settori disciplinari di riferimento, nella profonda consapevolezza di doverli far dialogare e comunicare, possibilmente anche su un piano metodologico. Siamo ancora poco consapevoli che la complessità sia una caratteristica strutturale/connaturata ai gruppi umani, alle relazioni, al sistema sociale, al mondo biologico.

Per ciò che riguarda il mondo degli oggetti e delle cose, invece, dovremmo parlare di sistemi complicati e non complessi, dal momento che siamo in grado di scomporne e analizzarne le parti per comprenderne il comportamento e il funzionamento. Si tratta di sistemi caratterizzati da fenomeni e processi sostanzialmente lineari e, in qualche modo, prevedibili (non sempre), controllabili e replicabili, descrivibili da formule matematiche.

Sempre con riferimento ai sistemi complicati (meccanici, artificiali etc.), dovremmo inoltre introdurre la questione del sistema di riferimento, parlare di risultante delle forze, parlare di “forze”, di forza-peso, parlare di “principio di azione e reazione”, o parlare di massa etc. etc.; parlare, ancora una volta, di fenomeni e processi “sostanzialmente” lineari ben descritti da formule, equazioni, funzioni, in grado, in molti casi, di prevederne con relativa esattezza il comportamento/i comportamenti.

Al contrario, la complessità che riguarda, in modo particolare, la società, le organizzazioni e i gruppi umani (con qualche sfumatura, anche i sistemi biologici) è una complessità del tutto particolare perché, oltre ad essere perennemente instabile e dinamica, non è riconducibile né interpretabile sulla base di modelli lineari (causa-effetto, stimolo-risposta). Si tratta di sistemi, fenomeni e processi che non sono caratterizzati “soltanto” da certe variabili (e, con questo, non sto dicendo che i sistemi complicati siano “semplici” o facili da studiare, anzi) e/o dalla risposta (risposte)/feedback/interazione a/con forze/stimoli o sistemi di forze/stimoli (ci sarebbe da dire moltissimo). Si tratta di sistemi, fenomeni e processi, che si realizzano/si evolvono/si trasformano attraverso la loro capacità di auto-organizzarsi e nella relazione sistemica di molteplici connessioni e livelli di interconnessione/interdipendenza.

Cosa intendiamo per “semplice”, “complicato”, “complesso”, “lineare”? Le scienze e i numerosi settori disciplinari spesso forniscono definizioni non sovrapponibili e, comunque, alternative e complementari. Si potrebbe, in tal senso, dire/scrivere molto sull’importanza del “principio di causalità” (debole e forte), su determinismo e predittività, sul concetto e la teoria del caos deterministico, sulle questioni inerenti la probabilità etc. In ogni caso, esistono formule, equazioni, funzioni, in grado di descrivere e, perfino, prevedere come si comportino certi oggetti/sistemi (complicati). Anche se, per esempio, con riferimento ai fenomeni “naturali”, dobbiamo sempre essere consapevoli delle profonde implicazioni del “caos deterministico”, la cui teoria ha evidenziato come esistano fenomeni deterministici e (relativamente) prevedibili per i quali, pur essendo stata individuata la legge che ne descrive l’evoluzione temporale, i modelli e le spiegazioni “lineari” non funzionano e non sono adeguate. Si tratta di sistemi i cui comportamenti si rivelano estremamente irregolari e imprevedibili.

Si pensi, ad esempio, a fenomeni come il meteo e alle difficoltà, nonostante strumenti estremamente sofisticati, di fare previsioni metereologiche con esattezza e precisione assolute; si pensi a fenomeni come i terremoti, gli uragani e/o la caduta di un meteorite: allo stato attuale delle cose, possono essere osservati, descritti, previsti nei loro comportamenti soltanto in termini probabilistici, pur essendo riconducibili a leggi scientifiche e formule matematiche note. In questi casi, ci troviamo in condizioni di predittività e di un orizzonte di prevedibilità limitati. In tal senso, non soltanto nel campo della fisica, “determinismo” e “predittività” sono stati separati da una vera e propria frattura epistemologica: la teoria del caos.

È probabile che, in futuro, l’enorme disponibilità di dati e informazioni, insieme a strumenti sempre più sofisticati, si rivelerà sempre più strategica e vitale proprio nel tentativo, tutt’altro che scontato, di arrivare a definire/ri-conoscere, come prevedibili e lineari, fenomeni che, pur essendo spiegabili dalle leggi della fisica, si comportano diversamente. Di fatto, teoria del caos e del “caos deterministico” hanno contribuito, in maniera determinante, a definire quel nuovo paradigma, di cui non siamo ancora in grado di valutare, fino in fondo, le implicazioni epistemologiche e gli orizzonti conoscitivi e di ricerca aperti. Sempre più difficile, almeno per ora, fare previsioni esatte sui cd. sistemi dinamici non-lineari.

E, allo stesso modo, la stessa complessità può essere definita in molteplici modi, relativamente ai diversi saperi ed agli ambiti disciplinari (non soltanto); una complessità che si presenta sotto molteplici forme e che ci costringe a ripensare tutto, anche le categorie concettuali con le relative definizioni operative, a maggior ragione nella civiltà ipertecnologica (e iperconnessa) in cui, oltre ad esser saltati i confini tra “naturale” e “artificiale” (1995, 1998 e sgg.), scienza e tecnologia sembrano poter essere in grado di rendere la “materia” vivente e intelligente (?).

Ci confrontiamo, pertanto, con una complessità imprevedibile – la questione della prevedibilità, non soltanto dei comportamenti umani, sociali, culturali è cruciale e strategica (i modelli culturali servono anche a questo) – e non replicabile (la replicabilità, come noto, è requisito importante per la scienza e per poter anche soltanto parlare di “scientificità”) di cui dobbiamo/dovremmo osservare e comprendere soprattutto i molteplici livelli di connessione tra i processi e tra le parti/gli oggetti stessi e, per farlo, abbiamo bisogno di una visione sistemica dei processi, dei fenomeni e delle dinamiche: visione sistemica che comporta un modo completamente differente di osservare gli “oggetti”. Non solo osservare l’insieme e il tutto, consapevoli, in ogni caso, che il tutto non è mai la somma e/o la totalità delle parti.

Ma c’è un ulteriore elemento di complessità: il fatto cioè che siamo di fronte a sistemi complessi adattivi, capaci di modificarsi per soddisfare nuove condizioni e/o requisiti. Sono sistemi le cui parti costituenti non sono “inanimate”, passive, neutrali, reagenti soltanto a certi stimoli in maniera prevedibile; sono individui, entità, relazioni che costantemente contribuiscono a cambiare e a co-creare le condizioni dell’interazione, dell’ambiente di riferimento, dell’ecosistema di cui fanno parte. Se osserviamo una organizzazione sociale, ma anche semplicemente un insieme o un gruppo di persone, non solo la totalità delle persone non costituisce il tutto, non solo non potrò capire le dinamiche di quel gruppo isolando le singole persone o circoscrivendo il campo di osservazione; ma dovrò prendere atto che quelle stesse persone/individui/entità costantemente contribuiscono a modificare – o a co-creare, co-costruire – l’ambiente sociale in cui sono immerse.

E la mia stessa presenza, la mia stessa osservazione modifica le condizioni e i livelli di interazione, scambio, condivisione. Se voglio davvero osservarne e comprenderne le relazioni e le dinamiche in continua evoluzione, devo osservare l’insieme, la globalità, le connessioni, le relazioni sistemiche. Necessario – oltre alla visione sistemica, cui si è accennato – un approccio interdisciplinare, multidisciplinare, transdisciplinare (Piaget). Il passaggio dalla semplicità alla complessità e, da questa, alla ipercomplessità può essere spiegato in termini di variabili coinvolte, di concause e di parametri che noi possiamo utilizzare, dobbiamo considerare per osservare la realtà. Quindi, distinguiamo il “semplice” dal “complesso” proprio sulla base di variabili, concause e parametri coinvolti, per numerosità e qualità.

Aggiungo che, nell’attuale fase di mutamento globale, il passaggio dalla complessità alla ipercomplessità è determinato, in particolare, da due “variabili” complesse: la prima, è l’innovazione tecnologica, in particolare la cosiddetta rivoluzione digitale che, a differenza di altre fasi di rivoluzione industriale, introduce una “nuova velocità” nei processi sociali, economici, culturali, che caratterizzano l’attuale mutamento; una “nuova velocità” che produce nuove criticità e problemi di controllo, come peraltro tutte le fasi di accelerazione; la seconda, riguarda il ruolo sempre più strategico che ha la comunicazione, non soltanto con riferimento all’educazione ed al processo di socializzazione, ma anche nei processi di rappresentazione e percezione.

Una complessità che è caratteristica peculiare dei sistemi e che può essere intesa in molteplici modi: come reciprocità di insiemi e molteplicità; come nuovo paradigma formativo ed educativo; come epistemologia dell’interdipendenza per la società ipercomplessa e interconnessa; come riflessione sulla complessità stessa; come approccio e organizzazione delle esperienze e dei saperi; come pluralismo di principi, visioni e valori; come valorizzazione dell’eterogeneità; infine, come urgenza di un approccio interdisciplinare e multidisciplinare (1995 e sgg.). Una (iper)complessità che non è un’opzione, è un “dato di fatto”: il vero problema è che non siamo educati e formati a riconoscerla. Una complessità che è caratteristica peculiare dei sistemi e che può essere intesa in molteplici modi: come reciprocità di insiemi e molteplicità; come nuovo paradigma formativo ed educativo; come epistemologia dell’interdipendenza per la società ipercomplessa e interconnessa; come riflessione sulla complessità stessa; come approccio e organizzazione delle esperienze e dei saperi; come pluralismo di principi, visioni e valori; come valorizzazione dell’eterogeneità; infine, come urgenza di un approccio interdisciplinare e multidisciplinare (1995 e sgg.). Una (iper)complessità che non è un’opzione, è un “dato di fatto”: il vero problema è che non siamo educati e formati a riconoscerla.

L’ipercomplessità e le “false dicotomie” (1995)

Natura versus cultura; naturale versus artificiale; Umano versus tecnologico, cultura versus tecnologia, teoria versus ricerca/ pratica; formazione scientifica versus formazione umanistica; pensiero e ragione versus emozioni; pensiero vs azione; ragione versus creatività e immaginazione; corpo versus mente; complessità versus specializzazione; interdisciplinarità versus specializzazione; conoscenze versus competenze; forma/e versus contenuto; hard skills versus soft skills. Molti anni fa, le ho definite “false dicotomie”.

Proviamo ad osservare,  a descrivere, a riconoscere, a comprendere la complessità, l’umano, la vita, la vitalità dello spirito, quell’essenziale che è (sempre) “invisibile agli occhi”(cit.) ricorrendo  sempre a divisioni, separazioni, distinzioni, fratture che spesso non portano alla conoscenza e/o al sapere, bensì ad un senso di appaesamento e rassicurazione, caratteristico di tutte le culture (di fatto, portatrici di identità), rispetto all’incertezza ed alla variabilità della vita e del reale. Isolare, separare e recludere i saperi, le conoscenze, le esperienze, i vissuti, è operazione complessa che, da sempre, segna l’evoluzione dei sistemi sociali, delle organizzazioni, dell’azione sociale. Si tratta, peraltro, di funzioni strategiche assolte proprio dai modelli culturali.

Continuiamo a vedere, ad osservare, a tentare di comprendere la realtà secondo logiche, modelli, schemi che ne riducono (apparentemente) la varietà, l’imprevedibilità, la ricchezza. Convinti di poter ingabbiare tutta la vitalità dello spirito, la complessità dell’umano, in formule matematiche e sequenze infinite di dati e numeri. Convinti di poter misurare anche la “qualità” in termini obiettivi, oggettivi, scientifici – a mio avviso, si tratta di una contraddizione in termini – ricorrendo esclusivamente a strumenti e dati quantitativi, e con riferimento a tutti gli ambiti della prassi e della produzione materiale e intellettuale, ricorrendo a semplificazioni (sempre, seducenti) presentate, ancora una volta, come “dati di fatto”.

Continuiamo a cercare una conoscenza che confermi le nostre convinzioni, le nostre ipotesi di partenza, i nostri modelli culturali ed educativi, i nostri pregiudizi e i nostri stereotipi.

Abitare l’ipercomplessità

Ci ritroviamo così gettati nell’ipercomplessità, nel tentativo di abitare la civiltà ipertecnologica, iperconnessa e delle macchine intelligenti (?): una civiltà fondata sulla programmazione, sull’automazione e sulla (iper)simulazione di processi e dinamiche,  e segnata da una progressiva, oltre che esponenziale, crescita della dimensione del tecnologicamente controllato che, di fatto, oltre che ridimensionare/marginalizzare lo spazio dell’Umano e della responsabilità (almeno, in apparenza), continua ad alimentare una vecchia e controproducente illusione: quella di poter espellere/eliminare l’errore (pre-requisito fondamentale di qualsiasi conoscenza, della vita e della stessa libertà) e l’imprevedibilità, non soltanto da educazione e formazione, ma dagli stessi sistemi complessi, oltre che dai processi sociali e organizzativi che li caratterizzano (Dominici 1995 e sgg.).

In questa prospettiva, le sfide del cambiamento sono in fondo riconducibili proprio all’urgenza di ripensare/ridefinire la centralità della Persona e dell’Umano, dentro ambienti ed ecosistemi in cui non esiste più alcun confine/limite tra naturale ed artificiale, oltre che tra natura e cultura (vecchia “falsa dicotomia”).

Oggi, forse come mai in passato, appare evidente come l’ipercomplessità non sia più un’opzione (non lo è mai stata), bensì un “dato di fatto”, che ci vincola a recuperare quelle che ho definito, in passato, le dimensioni complesse della complessità educativa (ibidem): l’empatia, il pensiero critico, una visione sistemica dei fenomeni, una cultura dell’errore (interamente da costruire), l’educazione alla comunicazione, oltre a dimensioni che abbiamo volutamente rimosso, come le emozioni, l’immaginario e la creatività.

È tempo di immaginare, progettare, realizzare i sistemi complessi vedendoli – perché, di fatto, lo sono – come organismi e non come macchine. Sistemi complessi e non complicati, appunto. Recuperare tali dimensioni si rivela di vitale importanza anche, e soprattutto, in considerazione del fatto che le straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, la velocità e l’intrinseca dinamicità del mutamento in atto, non ci stanno “conducendo” verso la semplificazione, anzi!

Occorre recuperare, in tal senso, la consapevolezza che, proprio nell’era della disintermediazione, le figure (sociali e professionali), le istituzioni, i processi e i meccanismi di mediazione debbono tornare a svolgere una funzione, a dir poco, strategica. In particolare, le figure di mediazione, tornano ad essere ancor più strategiche, ma devono essere educate, preparate, formate, aggiornate costantemente, a riconoscere e confrontarsi con tale ipercomplessità, con la ricchezza delle relazioni sistemiche e dei livelli di connessione che caratterizzano, non soltanto la civiltà ipertecnologica, ma la vita stessa.

A tal proposito, ho parlato, in tempi non sospetti, dell’urgenza di educare e formare “figure ibride” (Dominici, 1995 e sgg.), manager della complessità (definizione che ho utilizzato, anche in passato, per semplificare, con la consapevolezza, espressa in tutti i lavori e le pubblicazioni, che gestire la complessità è quasi un ossimoro; e lo è ancor di più se ci riferiamo alla complessità sociale, relazionale, umana): figure ibride educate e formate, non ad una “cultura del controllo” (dentro una cultura del controllo), bensì educate e formate ad interagire con quell’imprevedibilità che è elemento connotativo essenziale dei sistemi sociali, umani, vitali.

E – mi ripeto – senza mettere mano a educazione e formazione, in maniera radicale, non saremo mai in grado di confrontarci e interagire con questa ipercomplessità; e non saranno le tecnologie e il digitale a creare le condizioni perché ciò avvenga e, allo stesso modo, non saranno le tecnologie a ricostituire i legami sociali, a ri-attivare i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione, a determinare le condizioni di un’innovazione realmente inclusiva. Occorre lavorare per ri-costituire, per ri-mediare, il legame sociale.

Gestire l’informazione e la comunicazione, in questo tipo di contesto, significa a maggior ragione (provare a) gestire/governare la complessità (un ossimoro che uso soltanto per esigenze di sintesi), facendo molta attenzione a non cadere nelle retoriche della disintermediazione e della semplificazione intesa come valore assoluto. Non possiamo più permetterci di continuare a perpetuare “l’errore degli errori”: trattare i sistemi complessi come fossero sistemi complicati (Dominici, 1995 e sgg.).

Ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico. Per una “cultura della complessità”…

I nostri limiti e inadeguatezze, costruite socialmente e culturalmente, la nostra incompletezza, rendono evidenti le nostre vulnerabilità di fronte alla vitalità, alla ricchezza ed alla dinamicità della complessità. Le tecnologie sono e saranno sempre più strategiche, a tutti i livelli, proprio se, oltre che supportare gli esseri umani in tutte le azioni, li aiuteranno a trasformare i propri limiti in opportunità (questioni di conoscenza e di gestione della conoscenza), sapendo abitare le tensioni e i conflitti della società ipercomplessa. Ricomponendo la frattura tra l’umano e il tecnologico. Ma ciò potrà avvenire soltanto se – come affermavo già alla metà degli anni Novanta – la smetteremo di tenere separate cultura e tecnologia. Tecnologia e Cultura à Tecnologia vs Cultura à Tecnologia è Cultura.

Sfera cognitiva, sfera emotiva e – aggiungo – sfera sociale. È tempo di ricomporre alcune fratture che caratterizzano non soltanto i saperi, le conoscenze, le competenze, consapevoli della natura intrinsecamente collettiva e collaborativa della conoscenza. Si tratta di fratture che segnano anche le singole esistenze, la realtà e le nostre visioni della realtà. Si tratta di fratture importanti e radicate nelle culture organizzative e, perfino, in quelle scientifiche; fratture che condizionano, non soltanto l’evoluzione dei saperi e della conoscenza, ma anche le nostre abilità e capacità di abitare l’ipercomplessità e rispondere, attraverso anche i modelli culturali, alle istanze dell’incertezza, oltre che alle anomalie del vivente e del reale. Si tratta di fratture che condizionano anche, e soprattutto, le nostre esistenze e i nostri vissuti sociali e culturali, il modo stesso di concepire la vita e l’esistenza, le relazioni, l’incontro con L’Altro da Noi, il pensiero e l’azione rispetto a ciò che è e sarà sempre ingovernabile, imprevedibile, talvolta ignoto.

“Dentro” e “fuori”, un’altra delle “false dicotomie” (ibidem) che vincolano percorsi e traiettorie, conoscitive ed esistenziali, impedendoci di vedere/andare oltre, di immaginare la vita e la conoscenza…oltre la nostra incompletezza, al di là della nostra incompletezza, a partire dalla nostra incompletezza; “false dicotomie” che ci impediscono di cogliere/riconoscere l’insieme, il complesso, l’Umano, la vita: è tempo di abitare i confini e le tensioni che questa ipercomplessità comporta. Perché soltanto dalla ben nota “fine delle certezze” (Prigogine) potranno generarsi conoscenza e creatività; e la conoscenza, da sempre, si annida negli errori della vita (Canguilhelm).

Il cambiamento …

Perché lo stesso cambiamento si annida sempre più nelle zone di tensione e conflitto, nelle nostre debolezze e inadeguatezze, nelle anomalie, nelle fluttuazioni e nei dilemmi che caratterizzano la conoscenza, l’azione sociale, i sistemi complessi (adattivi); il cambiamento si annida perfino nella nostra incompletezza che ci permette di essere creativi e ricorrere all’immaginazione, cercando percorsi alternativi, abbandonando, se necessario, le vie già percorse; il cambiamento si annida sempre più nei momenti di incertezza, in quegli errori e in quelle vulnerabilità che, spesso, ignoriamo e/o cerchiamo di non vedere (1995 e sgg.).

Un cambiamento (e un’innovazione) che rischia, tuttavia, di essere opportunità “per pochi”. Come detto, occorre mettere in discussione i saperi, i confini tra i saperi, le pratiche consolidate, riconsiderando la valenza strategica delle emozioni e degli immaginari individuali e collettivi; in altri termini, è necessario avere (anche) il coraggio di rompere equilibri, spezzare le catene della tradizione, abbandonare il certo per l’incerto; scegliere, almeno provvisoriamente, di correre il rischio di essere vulnerabili.

Abitando i confini, i territori inesplorati, oltrepassando quei vincoli e quelle logiche di separazione (tipiche delle istituzioni educative e formative) che ci impediscono di cogliere il senso più profondo del vitale, del sociale, del relazionale e di comprenderne la complessità e l’ambivalenza. Dimensioni appunto complesse, mai riducibili/riconducibili a formule matematiche e/o sequenze di dati.

Tra cambiamento dei paradigmi e trasformazione antropologica (1996), stiamo assistendo/vivendo il ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale* (ibidem): una questione profonda anche, e soprattutto, in termini di “cultura della comunicazione” (1998), resa ancor più complessa, e problematica, dall’assenza di un sistema di pensiero e di un modello teorico-interpretativo in grado di osservare, riconoscere e (provare a) comprendere l’ipercomplessità e l’irruzione, per certi versi, prepotente del caos.

E già… Ordine e Caos: non è più sufficiente provare a distinguerli per ristabilire l’equilibrio perduto e il controllo. Perché anche ordine e caos coesistono, convivono, sono entrambi presenti, comunque e sempre, retroagiscono nel quadro sistemico di una complessità del vivente e, ancor di più, del sociale, che continua a rivelarsi mai comprensibile e intellegibile fino in fondo. Continuiamo ad ignorare un aspetto importante: il fattore umano è/sarà sempre decisivo dal momento che è dietro ogni processo, dietro ogni meccanismo, dietro ogni algoritmo. L’ipercomplessità, che connota l’attuale “società ipercomplessa e iperconnessa” (Dominici, 2003, 2005), ci chiede una nuova immaginazione per ripensare/riprogettare a fondo i processi educativi e formativi: educare all’empatia ed alla comunicazione (1998), educare alla libertà/responsabilità e non alla paura, educare e formare alla complessità; educare al “metodo scientifico” – con la consapevolezza delle relative criticità – e ad una visione sistemica dei problemi e dei fenomeni: ad un primo livello di azione, saper quanto meno riconoscere questa ipercomplessità può significare essere in grado di creare le condizioni per abitarla e, se possibile, trasformarla in opportunità.

Una ipercomplessità correlata, in ultima istanza, all’incontro/confronto con l’ALTRO da NOI. Laddove – come ripeto da molti anni – «Questo progressivo impossessarsi delle leve della propria evoluzione mette radicalmente in discussione modelli e categorie tradizionali, obbligandoci (?) a rivedere/riformulare addirittura anche la stessa definizione del concetto di Persona. Obbligandoci a ripensare l’umano e la sua interazione, per certi versi, ambigua con la tecnica, il tecnologico e, nello specifico, con le macchine intelligenti (?) e i robot: un’interazione complessa – quella uomo-macchina … uomo-tecnica – da cui non può che scaturire una sintesi complessa di cui non siamo ancora in grado di valutare prospettive, sviluppi e implicazioni: una “sintesi complessa” di cui, come scrissi in tempi non sospetti, non mi preoccupa tanto la questione della possibile, e probabile, somiglianza delle macchine o dei robot agli esseri umani, anzi vedo favorevolmente tale dinamica, dal momento che agevolerà tale sintesi e tale interazione; al contrario, mi preoccupa molto anche soltanto l’idea/l’aspirazione/la visione/la narrazione che gli esseri umani possano/debbano sempre di più assomigliare alle macchine, potenziando senza limiti le proprie capacità/abilità ma, soprattutto, eliminando l’errore, la possibilità di operare scelte differenti (anche sbagliate) e, ancor di più, l’imprevedibilità dalle proprie azioni e decisioni; in altre parole, eliminando proprio ciò che ci rende “esseri umani”. Tra “nuove” utopie e distopie».

Per abitare l’ipercomplessità, e non subirla!

 

 

Riferimenti bibliografici (una selezione)

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Prof. Piero Dominici

 

NOTA BIO: Fellow della World Academy of Art & Science, Scientific Director dell’International Research and Education Programme on Human Complex Systems e Director (Scientific Listening) presso il Global Listening Centre, insegna Comunicazione pubblica, Attività di Intelligence e Sociologia dei fenomeni Politici presso l’Università degli Studi di Perugia. Visiting Professor presso l’Universidad Complutense di Madrid, ha partecipato, e tuttora partecipa, a progetti di rilevanza nazionale e internazionale, con funzioni di coordinamento; inoltre, ha tenuto lezioni e conferenze in numerosi atenei nazionali e internazionali. È Membro dell’Albo dei Revisori MIUR e del WCSA (World Complexity Science Academy), fa parte di Comitati scientifici nazionali e internazionali. Si occupa da oltre vent’anni (didattica, ricerca, formazione) di complessità e di teoria dei sistemi con particolare riferimento alle organizzazioni complesse ed alle tematiche riguardanti l’educazione, la comunicazione, l’innovazione, la cittadinanza, la democrazia, l’etica pubblica. Da molti anni, collabora con riviste scientifiche e di cultura, oltre che con diverse testate. Autore di numerose ricerche e pubblicazioni scientifiche.

[1] Questo testo è la prima versione, estesa e originale, della “voce” curata per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “Treccani”, pubblicata on line, su Treccani.it, in data 24/12/2018. Di seguito il link: http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/digitale/5_Dominici.html

 

Altri testi e percorsi di approfondimento:

Educare alla complessità per affrontare i dilemmi della società ipercomplessa

intervista, Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni, VITA, 09/06/2017

 

Piero Dominici, L’Umano, il tecnologico e gli ecosistemi interconnessi: la reclusione dei saperi e l’urgenza di educare e formare alla complessità, Il Sole 24 Ore – 11/10/2016

 

Piero Dominici, Il grande equivoco. Ripensare l’educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa, Il Sole 24 Ore – 08/12/2016

Intervista, La cultura della complessità come cultura della responsabilità, Huffington Post, 05/05/2017

Piero Dominici, Educare alla complessità per un’etica della responsabilità: libertà e “valori” nella Società Interconnessa, Il Sole 24 Ore – 02/06/2015

Piero Dominici, Il diritto alla filosofia per ripensare l’educazione, la cittadinanza e l’inclusione, Il Sole 24 Ore – 23/04/2017

Piero Dominici, Innovazione e domanda di consapevolezza: la filosofia come “dispositivo” di risposta alla ipercomplessità, Il Sole 24 Ore – 14/03/2016

 

Un approccio e percorsi di ricerca dal’95

#CitaregliAutori

 

Abitare la complessità: tra riduzione e semplificazione https://mapsgroup.it/complessita-professor-dominici-parte2/ via #6Memes #MapsGroup

A.A.A. cercansi manager della complessità http://www.businesspeople.it/Storie/Attualita/Manager-della-complessita-PIero-Dominicini-109480 intervista via #BusinessPeople

Intervista concessa a VITA: “Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni” http://www.vita.it/it/interview/2017/06/09/nella-societa-ipercomplessa-la-strategia-e-saltare-le-separazioni/119/

Intervista concessa all’Huffington Post: “La cultura della complessità come cultura della responsabilità” http://www.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/

 

Tra le pubblicazioni scientifiche #PeerReviewed:

– Educating for the Future in the Age of Obsolescence** https://www.cadmusjournal.org/article/volume-4/issue-3/educating-for-the-future 

**This article, was peer-reviewed and selected as one of the outstanding papers presented at the 2019 IEEE 18th International Conference on Cognitive Informatics & Cognitive Computing (ICCI*CC)

– For an inclusive innovation. Healing the fracture between the human and the technological in the hypercomplex societyhttps://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4

– Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era: https://benjamins.com/catalog/cvs.15.11dom

 

Su tali temi e questioni sto lavorando e facendo ricerca anche con la World Academy of Art and Science e nell’ambito di altri progetti internazionali. Tra quelli più recenti, ricordo “COSY THINKING” (Progetto UE).

Di seguito, il link:https://cosy.pixel-online.org/publications.php

Buon lavoro e buona ricerca a tutte/i!

Ps: Impegni e scadenze non mancano, ma ribadisco la mia disponibilità a lavorare su progetti di ricerca (nazionali e internazionali) relativi a tali tematiche.

Di seguito, alcuni contributi divulgativi:

#Research #Education #Complexity #Educazione #Complessità #Cittadinanza #Democrazia #SistemiComplessi #metodo #teorie #ricerca #epistemologia #ScienzeSociali #Filosofia

 

Importante cambi il clima culturale su certe questioni (vitali). Speriamo si scelgano anche altre direzioni e si pensi, finalmente, al “lungo periodo”. Lo dicono tutti, ora…lo dicono…come tutti si sono accorti della centralità strategica di istruzione, educazione, formazione, ricerca…speriamo bene…

Ripeto ogni volta: siamo sulle ben note “spalle dei giganti”, con problemi di vertigini e, tuttora, poco consapevoli della (iper)complessità del mutamento in atto e del “tipo” di scelte che questo richiede…

 

Ripensare l’educazione (1995 e sgg.). Cosa significa? Quali le implicazioni?

 

Come ripensare l’educazione nella civiltà globale e iperconnessa

In estrema sintesi: superando la dimensione superficiale e propagandistica degli slogans ad effetto, oltre che di certo storytelling, ripensare l’educazione significa  rimettere al centro la Persona (le nuove soggettività e il loro sistema di relazioni), l’umano, i vissuti, le emozioni –  andando oltre la “falsa dicotomia” che le contrappone al pensiero (Dominici, 1995, 1998 e sgg.); sì, proprio quelle emozioni che sono alla base della stessa razionalità; significa, allo stesso tempo, rimettere al centro l’immaginario/gli immaginari, l’immaginazione, la creatività, l’autenticità, la vita e il vitale, dimensioni complesse che non possono essere, in alcun modo, né ingabbiate/recluse  né tanto meno oggettivate in numeri e/o formule matematiche (pur sempre utili); ripensare l’educazione significa riportare/rilanciare l’educazione (senza aggettivi prima o dopo la parola) sempre nella prospettiva sistemica di un’educazione socio-emotiva che, in ogni caso, non ne esaurisce la complessità e l’ambivalenza; significa rilanciare  la filosofia, come pratica filosofica e di pensiero critico, e l’educazione al metodo scientifico (che è un “qualcosa” che caratterizza non soltanto le cd. scienze “esatte”), fin dai primissimi anni di scuola (1996); significa (ri)mettere al centro dei processi educativi e dei percorsi didattico-formativi l’arte, la poesia, le discipline creative (p.e. il teatro à empatia, la musica, il design etc.) e le cosiddette Digital Humanities.

Ripensare l’educazione significa aprire le istituzioni educative e formative, ridefinendone logiche e culture organizzative, ridefinendone logiche e funzioni degli spazi, dentro ecosistemi sempre più interconnessi e interdipendenti.

Ripensare l’educazione significa, in altri termini, “recuperare le dimensioni complesse della complessità educativa” (Dominici, 1995 e sgg.), sia a livello di scuola che di università (àsi pensi sempre alla formazione dei formatori e al lungo periodo).

Di fondamentale importanza riaffermare, una volta per tutte, la consapevolezza che il processo educativo non consiste soltanto nel portare a “sapere” ed a “saper fare”; l’educazione è un processo complesso, sistemico, incerto, imprevedibile fino in fondo, ambiguo, inarrestabile e dinamico. Stiamo correndo seriamente il rischio di svuotare di senso tutta la prassi educativa, alimentando e riproducendo un pensiero omologante e omologato.

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/ripensare-leducazione-nella-civilta-iperconnessa-cosa-significa/

 

La vita (e la comunicazione) ridotta a strategia…tra complessità e riduzionismi

La comunicazione, e la sua complessità, ridotta a regole e tecniche…La vita (sociale, relazionale) ridotta a strategia…La vita, e non soltanto la comunicazione, ridotte alla capacità e all’abilità di gestire la nostra visibilità, di gestire una vita fatta di tanti piccoli attimi che, all’improvviso, possono diventare eventi ma anche “spaccati” di vissuti e di noi stessi e delle persone a noi care/vicine. Spesso proprio quelli che (soltanto ora) parlano/scrivono/si sono accorti dell’importanza di #educazione, #PensieroCritico, #complessità, #comunicazione e della centralità della #Personahanno ridotto proprio la relazione con l’Altro e la stessa comunicazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi ambito, esclusivamente a #strategia (i “comportamenti” nei social sono davvero emblematici di ciò che avviene da sempre e ben evidenziano ciò che sostengo da anni), a #marketing, ad un insieme di #regole e linee guida che, di fatto, pur semplificando/agevolando/facilitando (almeno in apparenza), ne svuotano il senso complessivo e la complessità stessa. Un approccio (?) perfettamente calato, nel tempo, dentro i processi educativi e formativi. Da questo punto di vista, fate caso a come tutti, attualmente, parlino e scrivano di complessità salvo poi scegliere le tradizionali vie della semplificazione confusa con banalizzazione e la facilitazione che esclude invece di includere, per non parlare delle altrettanto tradizionali spiegazioni riduzionistiche e e deterministiche. Come detto, un’impostazione ed una visione calate anche nei processi educativi e di costruzione della Persona: rendere tutto semplice/facile/banale e, possibilmente, trarre sempre il massimo dalla relazione con l’Altro, cercare sempre l’utile, il ritorno, cercare sempre il vantaggio, partendo sempre dalla convinzione di essere dalla parte giusta.

 

Ripeto ogni volta: il confine tra educazione/formazione e indottrinamento/persuasione/manipolazione è sempre più sottile. E, come ripeto da tempi non sospetti, c’è una questione profonda di “cultura della comunicazione”.

Dinamiche e processi sociali hanno nella loro varietà, nella pluralità ed eterogeneità, nell’imprevedibilità e nell’ambivalenza, la loro ricchezza e il senso più profondo. Ma quale dialogo (tutti ne parlano ma il dialogo è “roba” impegnativa e non pura convivialità), ma quale incontro/confronto/conflitto con l’Altro, ma quale relazione, ma quale “centralità della Persona” se, appunto, tutto è ridotto/ricondotto a strategia, obiettivi precisi e specifici, regole e schemi presentati come assoluti e universalmente validi, se tutto è ridotto esclusivamente al problema dell’efficacia, della visibilità, del convincere e/o, magari, strumentalizzare l’Altro (magari in maniera gentile e non arrogante…).

 

La vita e la comunicazione (complessità, relazione, mediazione del conflitto, esaltazione della contraddizione e del pluralismo à democrazia) con l’Altro, ancora una volta, ridotte a strategia, a tecnica/insieme di tecniche” della comunicazione e della persuasione…

L’Altro, ancora una volta, identificato con l’utilità e l’interesseQuestione culturale ed educativa e, forse, dovremmo smetterla di scaricare, come sempre, la responsabilità su media e social...Le questioni sono molto più profonde e complesse, nonostante ci rassicuri molto ricorrere a certe spiegazioni.

E contributo per Il Sole 24 Ore: Educare alla complessità…perché “Democrazia è complessità” (1995): https://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2018/06/03/educare-alla-complessitaperche-democrazia-e-complessita-1995/

 

Un approccio e percorsi di ricerca dal’95.

#CitaregliAutori

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N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale e la nostra attività di ricerca) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.

 

I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.

 

Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.

Buona riflessione e buona ricerca!

 

Immagine: opera di René Magritte