Giorgio Parisi: “Negare la complessità è l’essenza della tirannia”. Perché “Democrazia è complessità”(def.1995)

Riprendo e condivido, con piacere e, perché no, una certa emozione, alcuni brani della lezione tenuta da Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei.

Ne abbraccio e sottoscrivo – non da oggi, da sempre! – ogni singola parola, ogni singolo verbo, ogni concetto e argomentazione sviluppata; ogni citazione e riferimento bibliografico. Mi riservo di recuperarne il testo completo per dibatterne con i tanti studenti interessati.

E, nel far questo, oltre a complimentarmi ancora una volta, non soltanto per lo straordinario riconoscimento e, ancor di più, per la generosità e l’impegno, sempre dimostrati, a favore di tutta la Comunità dei ricercatori e delle ricercatrici, non posso non richiamare – nel quadro di un sentimento di reciprocità e prossimità, non soltanto in termini di interessi scientifici – un mio vecchio concetto/locuzione che è anche una mia vecchia definizione, proposti esattamente alla metà degli anni Novanta, poi utilizzati e, ulteriormente, sviluppati in diverse pubblicazioni e conferenze internazionali: “Democrazia è complessità” / “Democracy is Complexity”. Studi e ricerche che convergono anche con riferimento al tema/questione (centrale) della semplificazione (rinvio al diagramma da me proposto in merito).

E quel verbo “essere”, che spesso ho utilizzato/utilizzo anche nei titoli delle mie pubblicazioni (sia divulgative che scientifiche), ha, evidentemente una valenza enorme, non soltanto rispetto alle caratteristiche dell’ “oggetto di studio” indagato (ecosistema complesso di processi complessi e relazioni sistemiche attivati…), ma anche, e soprattutto, in termini di approccio, di metodo, di epistemologia/e, di ipotesi di ricerca e di saperi e campi disciplinari evocati/chiamati in causa. Tanti anni di studio e ricerca che ritrovano nuova linfa nelle riflessioni e nell’analisi di un grande scienziato e collega, pur in campi disciplinari differenti.

Colgo l’occasione per suggerire anche la lettura del saggio: Giorgio Parisi, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi, Rizzoli, Milano 2021, pp.125.

Mi auguro, sinceramente, ci possano essere occasioni di incontro e ulteriore dibattito su temi e questioni così decisive e di vitale importanza.

Come sempre, il testo/ipertesto è ricco di collegamenti, percorsi di approfondimento e riferimenti bibliografici.

Parisi, l’essenza della tirannia è negare la complessità

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2022/03/11/nobel-parisi-la-complessita-vista-da-un-fisico-diretta-dalle-1100-_ca47f834-0374-432e-b0b3-68ca90c32459.html

via ANSA – Conferenza organizzata dall’Accademia dei Lincei

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👉 “Negare la complessità è l’essenza della tirannia”.

https://www.adnkronos.com/conferenza-ai-lincei-del-nobel-giorgio-parisi-negare-la-complessita-e-lessenza-della-tirannia_6k2NLIsLeRvD73DRp7T7I

via ADN Kronos

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E così, ri-condivido volentieri, una vecchia conversazione e, più ‘sotto’, alcune pubblicazioni (sia divulgative che scientifiche):

 

👉 Educare alla complessità, perché “Democrazia è complessità” (definizione operativa del 1995,proposta in tempi non sospetti)

pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2018/06/03/edu…

 

Alcuni brani…

[…]

“In che senso?

Deve crescere la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una società ipercomplessa e iperconnessa (Dominici,1998-2018) in cui, ormai da tempo, le regole d’ingaggio delle cittadinanza non sono più definite/prodotte, come in passato, dal cd. Legislatore: le regole d’ingaggio della cittadinanza sono definite/prodotte e riprodotte proprio all’interno delle istituzioni educative e formative, in passato pienamente responsabili, oltre che protagoniste, della creazione di nuove condizioni di emancipazione e inclusione. Vado ripetendo da anni – e, anche di recente, abbiamo avuto conferme dall’ultimo Rapporto Istat sulla Conoscenza – che Scuola e Università sono tornate ad essere “agenzie di selezione”, dopo aver provato ad essere, per qualche tempo, “agenzie di emancipazione”. Siamo in presenza di nuove asimmetrie e disuguaglianze, con condizioni preoccupanti anche in termini di povertà educativa e analfabetismo funzionale…e, in queste condizioni, si può essere sudditi in democrazia, non conoscendo i propri diritti/doveri; non conoscendo gli strumenti e i canali (e non avendo accesso a questi); non essendo sufficientemente alfabetizzati, preparati e (appunto) competenti per incalzare, dialogare e confrontarsi con qualunque tipo di autorità; non essendo educati e preparati a partecipare attivamente alla vita pubblica e democratica, alla costruzione di una sfera pubblica autonoma, non più ancella della politica (ibidem). Nella profonda consapevolezza che – come sostenevo già in tempi non sospetti – “democrazia è complessità, non semplificazione” (Dominici, 1995 e sgg.).

Come può la scuola andare in questa direzione?

Molteplici i piani di discorso, analisi, intervento, tra breve, medio e lungo periodo. In un contesto di riferimento complessivo segnato, non da ora, da un eccesso di riformismo che, talvolta, rasenta il “nuovismo acritico di maniera” (non soltanto con riferimento all’educazione digitale e/o ai media) e la preoccupante assenza di politiche (lungo periodo) dell’istruzione e della ricerca. Sul piano delle logiche e delle culture organizzative, si tratta di rivedere, mettere in discussione, quella cultura della valutazione (tema complesso, come complessa è la valutazione) e della standardizzazione che segna in profondità le scelte e le strategie in materia di istruzione, educazione e formazione. Oggi, forse come mai in passato, occorre recuperare le dimensioni complesse della complessità educativa: l’empatia, il pensiero critico, una visione sistemica dei fenomeni, l’educazione alla comunicazione, oltre a dimensioni che abbiamo volutamente rimosso, come le emozioni, l’immaginario e la creatività. Significa ripensare lo spazio relazionale e comunicativo dentro le istituzioni formative ed educative, rilanciare l’educazione nella prospettiva sistemica di una educazione che non può che essere socio-emotiva. Dal momento che, proprio in questa civiltà ipertecnologica, innervata da sistemi complessi (interdipendenti e interconnessi), dominata dalla tecnica e dalle tecnologie (sempre più invasive) e animata da nuove utopie e distopie, continuiamo a ripetere e perpetuare l’errore più grave, un errore a dir poco strategico, definito in passato il “grande equivoco”: credere che servano un’educazione ed un formazione esclusivamente di natura “tecnica” e tecnologica, con uno schiacciamento sul “saper fare”, e credere che educazione e formazione vadano semplicemente adeguate al cambiamento tecnologico, ridimensionando progressivamente lo spazio per le discipline umanistiche e più creative (arti e forme estetiche comprese)”. (CONTINUA)

 

Allego passaggi estratti da alcune pubblicazioni del passato:

«Democrazia è complessità (Dominici, 1995, 2003, 2005 e sgg.). La democrazia è, a tutti gli effetti, processo complesso. È sistema di processi complessi, con numerose connessioni e livelli di connessione coinvolti, la cui riduzione/semplificazione può sempre comportare dei rischi.

Una (iper)complessità che, anche in questo caso, può essere intesa come:

Passaggio dalla linearità alla complessità.

-Passaggio dalla semplicità alla complessità.

-Reciprocità di insiemi e molteplicità.

-Epistemologia dell’interdipendenza (per la “società ipercomplessa”).

-Organizzazione delle esperienze e dei saperi.

-Dialettica continua tra libertà ed eguaglianza

-Sistemi di regole e procedure

-Riconoscimento dell’errore come produttore di conoscenza.

-Approccio sistemico e interdisciplinare/transdisciplinare ai problemi.

-Riconoscimento e mediazione del conflitto.

-Contemporanea presenza di ordine e caos.

-Molteplicità delle identità e delle soggettività.

-Valorizzazione delle molteplicità e della diversità.

-Pluralismo di principi, valori e visioni.

-Valorizzazione dell’eterogeneità e riconoscimento della devianza.

-Imprevedibilità e vulnerabilità delle persone e dei sistemi  …»    #CitaregliAutori

 

«In questa prospettiva, la costruzione di una governance democratica, con i relativi processi di partecipazione e coinvolgimento (engagement) dei cittadini, è processo estremamente complesso e caratterizzato da ambivalenze e dialettiche aperte; dialettiche che non trovano (quasi) mai un momento di sintesi (complessa). Un processo che chiama in causa numerose variabili, approcci, metodi di analisi e rilevazione ma che richiede anche, e soprattutto, immaginazione, capacità di “fare rete” (e “fare sistema”) e, allo stesso tempo, di una visione sistemica di lungo periodo.

Un processo che può trovare una sua effettiva traduzione soltanto se supportato da una cultura della complessità e della condivisione (1995 e sgg.) che fatica ancora molto ad affermarsi dentro e fuori le organizzazioni (pubbliche e private). I fattori sociali e culturali, spesso sottovalutati, giocano da sempre un ruolo di fondamentale importanza: come affermato più volte, sembra esserci ancora poca consapevolezza che non saranno certamente il digitale e le tecnologie della connessione (Dominici, 1998), e/o ancor meno nuove leggi e normative, a risolvere le principali criticità e vulnerabilità (si tratta di condizioni necessarie, ma non sufficienti); al contrario, le continue e repentine accelerazioni, nel determinare nuove opportunità, innescano e radicalizzano problemi di gestione e controllo dei sistemi, spesso correlati anche ad una cultura della comunicazione non adeguata. Sullo sfondo, neanche troppo, il rischio di una delega in bianco alla tecnologia/alle tecnologie in un’era, peraltro, sempre più segnata dalla ipertrofizzazione del tecnologicamente controllato, con profonde implicazioni per l’autonomia, la responsabilità, la privacy, i diritti».

Una “delega in bianco” concessa in perfetta linea di continuità con le “grandi illusioni” della civiltà ipertecnologica e iperconnessa – così le ho definite – che riguardano – come ripeto da molti anni – anche il mondo (e gli ecosistemi) dell’intelligenza artificiale e della cd. “materia vivente” e, più in generale, i processi (in atto) di “sintesi complessa”, all’interno dei quali, “continuiamo a confondere l’intelligenza con la simulazione dell’intelligenza, il pensiero con la simulazione del pensiero, l’empatia e i sentimenti con la simulazione dell’empatia e dei sentimenti” (Dominici, 1995-1996, 1998, 2003, 2005 e sgg.).

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Ri-condivido saggio per #MediaStudies:

“Tutto sotto controllo. La (iper)complessità tra realtà e rappresentazione”

“…come ci ha mostrato anche la recente emergenza globale e sistemica, tutto è #relazione,è interdipendente, tutto è inter-indipendente (Panikkar) – non ci sono livelli di pensiero, analisi e azione che possono esser tenuti separati – …”

https://www.mstudies.it/2021/09/03/la-ipercomplessita-tra-realta-e-rappresentazione/

#complessità #SistemiComplessi #Errore #imprevedibilità #epistemologia #metodologia #transdisciplinarità

“138. L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica è condivisa con molti esseri viventi.

Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà”,

Francesco, Laudato si’, 138.

 

Sempre sulle questioni legate alla complessità, condivido voce/saggio pubblicato per Treccani:

“La complessità della complessità e l’errore degli errori” (cit.)

http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/digitale/5_Dominici.html

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#CitaregliAutori #educazione #formazione #potere #politica

 

In English…

I share with pleasure some scientific publications …

We/I have been talking about it for many years (for at least three decades, more intensively), but nothing has really changed, especially not in our beloved educational and research institutions. Resistance is still very strong and the objectives are far from being achieved, regardless of what is said in the public and media discourse. We will continue to debate and act, especially in the appropriate forums; our future depends on it, as this umpteenth global and systemic emergency is showing.

#PeerReviewed

“The Social Construction of Change”, in CADMUS, 2021

“That systemic change must begin from grassroots communities and single individuals and groups, and by definition can never be a top-down imposition, implicates a necessary rethinking of our educational institutions, which are still based on logics of separation and on “false dichotomies” (quote)

http://cadmusjournal.org/article/volume-4/issue-5/essay5-social-construction-change

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Educating for the Future in the Age of Obsolescence”, in CADMUS

This article was peer-reviewed and selected as one of the outstanding papers presented at the 2019 IEEE 18th International Congress.

https://academia.edu/resource/work/44784439

 

Some excerpts:

4. Simplification: Opportunity or Risk?

 Along with this, the not-so-new “ideology of simplification”, supported by the ongoing technological transformations, which sees simplification as an absolute value. But here we need to ask ourselves: should simplification be considered opportunity or risk? To answer this, it is necessary to understand that simplification is not an end, but merely a means. As an end, simplification (like technology itself) is something that is imposed by trampling on any person or social or cultural factor that stands in its way. Simplification applied as a means, on the other hand, can have both positive and negative implications.

“It is time we realized that we cannot just continue to run after and to adapt to the ongoing technological and digital transformations, ignoring their ethical and epistemological implications and underestimating how deeply digital technology has changed our perception and understanding of reality.”

One of the most positive effects regards the simplification of procedures, which can help to reduce bureaucracy and offer greater accessibility, rendering organizational processes more rapid and efficient. The positive aspect of the simplification of language is its tendency to enhance inclusion, by creating the conditions for a less asymmetrical relationship between those who have acquired certain kinds of knowledge and competences and those who have not, and by establishing the conditions for effective, non-simulated dialogue. However, it can serve to deceive as well, by making hierarchies less evident, or seemingly less penalizing. Another negative aspect of the simplification of language is that of determining only a partial reading/analysis/definition of reality and its complexity. This is also one of the side-effects of bridging international communication barriers through the use of one common language (English), which is, admittedly, an integrating factor, yet necessarily limits (and risks eliminating) richness of expression and diversity. Furthermore, and by far the most negative implication of simplifying language, as Orwell has shown, is the impoverishment of ideas and even of the capacity to produce them.

Speaking of communication (Wiener, 1948; Watzlavick et al., 1967; Habermas, 1981; Todorov, 1995) which we have defined as the social process of sharing knowledge (Dominici, 1996), the simplification of communication is largely negative. Its most common impact is to reduce communication to mere persuasion techniques, or marketing. Communication, when simplified in this manner, is nothing more than rhetoric, strategy. Furthermore, there is great confusion between communication and connection (and their analysis, management and evaluation); in fact, the former is most often considered the equivalent of the latter (we are connected, thus we are communicating). In organizational fields, a mechanized and mechanistic vision prevails where communication is simply seen as an automatic appendage of connection.

Both language and communication are, of course, intimately linked to education. In educational fields, simplification is above all negative. There is, in our educational institutions today, a negative tendency to reduce learning to mastering processes and know-how (skills), and to believe that teaching technology, in particular digital technology, is a quick fix to our current educational crisis. By doing so, we are perpetrating the “great mistake” of our technological civilization (Dominici 1996, 2005, 2016). It is time we realized that we cannot just continue to run after and to adapt to the ongoing technological and digital transformations, ignoring their ethical and epistemological implications and underestimating how deeply digital technology has changed our perception and understanding of reality.

Even more significantly for educational processes, the attempt to reduce or neutralize conflict and debate, which are the foundations of pluralism and critical thinking, is a fatally negative form of the ideology of simplification. Without allowing civilized and respectful conflict and debate, we will deprive ourselves of the possibility of doubt, uncertainty and diversity of opinion, therefore of the most basic guarantees of liberty and democracy.

 

Figure 1: Simplification: Opportunity or Risk?

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(Dominici, 2005-2019)

 

It follows, therefore, that the simplification of democracy, like education, is completely negative. The very idea that one can simplify such a complex form of organization and governance is tantamount to reducing democracy to a mere sequence of procedures and norms, with the effect of rendering the delicate balance of complex factors constituting our democracies into soulless, unfree technocracies. The simplification of democracy is negative, to begin with, because it creates the illusion of having an equal and direct relationship to power. It is negative because it eliminates the processes of negotiation, because it suppresses alternative thinking and protest, and above all, because it can only produce a simulation of participation and a simulation of citizenshiphetero-directed (Dominici 1996, 2008, 2014) from the top down, a citizenship (Marshall, 1950; Veca, 1990; Bobbio, 1995; Dahl, 1998; Dahrendorf, 2001; Bellamy, 2008; Norris, 2011; Balibar 2012) without citizens, as I have said before. (See Figure 1).

A further negative result of the ideology of simplification is the concept of disintermediation, which has been so highly celebrated in the so-called digital revolution—the idea that there is no longer any need for processes or figures of intermediation which can be eliminated without further ado. This may be a better way to purchase flights and hotels online, but when we are dealing with cultural factors, is it really desirable that we allow digital platforms belonging to private high-tech giants to supply us directly with their choices, decisions and versions regarding information, government, economics, ethics, politics, health, education, entertainment, history, religion, art? We have attempted to simplify, disintermediate, reduce and simulate reality with data, figures, measurements and quantities into a strange kind of “virtual concreteness” (Dominici 2019).

Going back to our initial argument that the obsession with concreteness has become a veritable dictatorship, what is paradoxical is that the very same proponents of concreteness and facts are now loudly proclaiming the importance of thought, of critical and systemic thinking, of creativity, of imagination, of “creative thinking” (which, in every country, must unfailingly be expressed in English), even of the importance of philosophy, until recently battered and mistreated along with other important disciplines, and not only within educational institutions. It seems that no one, at this moment, would dream of denying the importance of interdisciplinarity, transdisciplinarity, empathy and unpredictability, of innovation, change, and above all, of complexity (which has suddenly become the talk of the town). After years of pursuing concreteness at all costs, decision-makers, opinion leaders and intellectual front men are shouting from the rooftops what I and others like myself have been repeating for years: that know-how and competences will not suffice; that education plays a vital and strategic role in this hypercomplex and hyper-connected civilization, that technology itself cannot guarantee a symmetrical and inclusive society, that it is the person who should be placed at the core of society (Maritain, 1947; Castells, 1996-1998, 2009; Rodotà, 1997; Ferrarotti, 1997; Rifkin, 2000; Himanen, 2001; Dominici, 1996-2017; Benkler, 2006; Byung-Chul, 2012, 2013; Bostrom, 2014; Tegmark, 2017). While, in one respect, this is undoubtedly positive (it’s one of the ways that cultural climates can change), the slogans that are being used run the risk of trivializing, of creating a public discourse to shape the agendas of public opinion according to the usual driving logics of polarization, leaving little or no space for in-depth analyses or critical evaluation of the positions being taken. The worst consequence is that in this manner, it all becomes formula, norms, mainstream, thus losing any drop of disruptive potential and any possibility of creating an authentic discontinuity with the hegemonic models and with “how it has always been”. (quote)

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Objects as Systems. The strategic role of Education

https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4  in European Journal of Future Research, Springer Edu

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A New Paradigm in Global Higher Education for Sustainable Development”, in CADMUS, Vol.IV, 2021.

https://www.cadmusjournal.org/article/volume-4/issue-5/new-paradigm-global-higher-education

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Controversies on hypercomplexity and on education…”

Link to PDF https://www.academia.edu/44785185/Controversies_about_Hypercomplexity_and_Education_cvs_15_11dom

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COMMUNICATION and the SOCIAL PRODUCTION of KNOWLEDGE.

A ‘new contract’ for the ‘society of individuals’

https://academia.edu/resource/work/44804068

 

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Education, Fake News and the Complexity of Democracy”.

“The real problems we are facing today are not the fake news, post-truths, deep fakes, or disinformation of various kinds and origins, but a socially constructed pre-disposition to conformism; in short, the decline of democracy.” (quote).

https://www.francoangeli.it/Riviste/schedaRivista.aspx?IDArticolo=61331&Tipo=Articolo%20PDF&lingua=it&idRivista=177

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Research Article

 “The Digital Mockingbird: Anthropological Transformation and the “New” Nature”, in World Futures .The Journal of New Paradigm, Routhledge

Taylor & Francis, Feb. 2022. #PeerReviewed

 Routhledge

#research #transdisciplinarity #education #AI #FutureofEducation #ComplexSystems #EducationForAll

https://doi.org/10.1080/02604027.2022.2028539

Link to Pdf https://www.academia.edu/71030619/Research_Article_The_Digital_Mockingbird_Anthropological_Transformation_and_the_New_Nature

“The ongoing paradigm shift and profound anthropological transformation

(1996)

An approach and research since 1995

 

#research #RethinkingEducation #CriticalThinking #ParadigmShift #Hypercomplexity

#FutureOfEducation #EducationForAll #WAAS2022 ##UNESCO #WHEC2022

 

 

N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale e la nostra attività di ricerca) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.

I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.

Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.

Buona riflessione e buona ricerca!