Al di là del ruolo/dei ruoli, del tipo di impegno e di attività, agiti e svolti da ognun* di noi, a tutti i livelli del sociale e in tutti i campi della prassi, appare sempre più difficile che il pensiero critico e (realmente) innovativo (e, di conseguenza, l’azione e le pratiche) – per non parlare dell’autenticità delle Persone (fattori educativi, relazionali, sociali, culturali etc.) – possa concretamente diffondersi fino in fondo in società (NOI), in contesti socioculturali e in ambienti, in cui prevale nettamente la ricerca continua e ossessiva – talvolta, per certi versi, perfino patologica – del consenso (in molti casi, soltanto formale), dell’apparire “altro” e della popolarità a tutti i costi. I social e le reti digitali non hanno fatto altro che amplificare e radicalizzare dinamiche e caratteristiche delle reti sociali e, più in generale, dei gruppi umani (Dominici,1996). Dimensioni che ci fanno sentire anche il bisogno, l’urgenza, di misurare continuamente immagine, reputazione e, appunto, popolarità, con tutti i “dispositivi” e gli “espedienti” possibili.
Non è semplice l’autenticità, non è semplice essere autentiche/autentici. Cercare e incontrare l’ALTRO è fondamentale, è vita! Perché, come ripeto spesso, siamo sempre un NOI. Ma, occorre farlo, uscendo da certe logiche e da certi obiettivi che apprendiamo e, poi, a nostra volta, insegniamo alle nuove generazioni, educandole ad un’idea falsa e fuorviante del dialogo e del confronto con l’ALTRO da Noi. Questioni che, evidentemente, riguardano da vicino anche, e soprattutto, l’urgenza di una “educazione alla comunicazione” (ibidem) e, conseguentemente, la nostra “cultura della comunicazione”. Spesso mostriamo proprio di non aver compreso la profondità e la complessità del comunicare e della comunicazione, che cerchiamo di recludere e ingabbiare, in mille modi, dentro pratiche e modelli ideali e idealizzati. Dell’incontrare e confrontarsi con l’Altro, con la vita, con NOI stessi.
In linea di continuità con quanto appena detto, come non continuare a rilevare un altro aspetto ricorrente del mondo moderno e contemporaneo: la sempre più frequente assenza di coerenza negli atteggiamenti e nei comportamenti e la predominanza dell’immagine, di una certa idea/visione dell’immagine, della reputazione e, più in generale, del nostro rapporto con gli Altri. A livello sia di relazione inter-individuale che di organizzazioni e sistemi sociali. Condivisione, inclusione, beni comuni, Bene Comune, #FareRete #opensociety #sharingeconomy #altruismo: tutti ne parlano e ne scrivono ma, fateci caso, non solo sui social (che sono ormai parte della nostra vita, non sono altro…anche se c’è sempre chi decide di proteggere, almeno un po’, la propria privacy e non mettere la propria vita privata tutta on line),sono pochi davvero quelli che si rivelano coerenti… i più non riconoscono/coinvolgono/includono nessun*che non faccia già parte delle loro cerchie o che non sia “utile” coinvolgere. E non è un problema soltanto di “bolle”…come si dice oggi…
Allo stesso tempo, siamo (completamente) a tal punto “immersi” dentro meccanismi che ci vincolano uno all’altro, simulando la comunicazione e il legame sociale (Dominici, 1996 e sgg.), simulando perfino la fiducia (confusa con la popolarità on line), da farci “vedere” quanto meno con sospetto chi non è pienamente attivo e integrato dentro queste reti e sistemi di interazione; chi non è pienamente riconosciuto e/o legittimato secondo pratiche condivise e accettate da tutto il gruppo e/o da tutta la comunità; non a caso, l’autonomia e l’indipendenza delle Persone continuano a confermarsi i fattori che sempre di più spiazzano, che fanno dubitare, etichettare, addirittura escludere l’Altro, le sue idee e i suoi “comportamenti”, con tutte le conseguenze del caso.
Lunga la strada verso la comunicazione (ricordo sempre la definizione proposta nel 1996: processo sociale di condivisione della conoscenza = potere) e una “nuova cultura della comunicazione” (cit.); lunga è la strada verso la fiducia e la ricostituzione del legame sociale; lunga, e complicata, la strada verso il #NuovoUmanesimo, l’umanizzazione della nostra “interazione complessa” con la tecnica, le tecnologie e i nuovi ambienti ed ecosistemi interconnessi; lungo è la strada verso il ripensamento, per non parlare della realizzazione, di un nuovo modello di sviluppo in grado di sostituire quello attuale, un modello che ha fallito (centrato sui consumi e sulla razionalità dell’homo oeconomicus); lunga è la strada verso sistemi sociali realmente aperti, inclusivi e sostenibili. Soprattutto, lo ribadisco con forza, se non avremo la forza e, perché no, il coraggio (e le risorse) di mettere mano, in maniera profonda e radicale, ai processi educativi e formativi, ripartendo dalla consapevolezza profonda della complessità dell’educazione e delle molteplici dimensioni di questa complessità. Non ultime, quelle profondamente ambivalenti e ambigue riguardanti il linguaggio e la comunicazione (arbitrio e convenzione…).
Come amo ripetere sempre, questa “strada”, piena di insidie e illusioni (soluzioni semplici a problemi complessi) non sarà certamente accorciata e/o semplificata da tecnologie e digitale. E, approfitto, per ripetermi su un punto problematico – e sul quale vengo sempre sollecitato – che ritengo essenziale: l’opposto della complessità non è la semplificazione…è il riduzionismo… #educazione #autenticità #individui #Persone
Per concludere: la questione dell’autenticità, bene esser chiari, ancora una volta, non è legata a quelle del digitale e/o delle reti social. Anzi, devo dire che, al di là delle nostre scelte di pseudonimi, testi e immagini, più o meno verosimili, selezionati per rappresentarci in pubblico e on line, proprio i nostri comportamenti online dicono molto su chi siamo, sulle ragioni della nostra presenza, non soltanto on line, e perfino sui nostri bisogni di apparire ed essere costantemente “riconosciuti” dagli Altri.
Attraversiamo un’epoca di grande smarrimento…uno smarrimento che sembra contribuire a tracciare percorsi verso l’inautenticità, e non soltanto all’interno dei processi educativi e formativi.
Karl Jaspers (1925), a proposito dell’autenticità, affermava: «L’autenticità è ciò che è più profondo in contrapposizione a ciò che è più superficiale; per es. ciò che tocca il fondo di ogni esistenza psichica di contro a ciò che ne sfiora l’epidermide, ciò che dura di contro a ciò che è momentaneo, ciò che è cresciuto e si è sviluppato con la persona stessa contro a ciò che la persona ha accattato o imitato».
Parole su cui riflettere a lungo, a mio avviso, oggi ancor più attuali…
Segnalo alcuni articoli e contributi:
- Tra conoscenza e controllo sociale (spunti per una lettura critica)
- “Per un’innovazione inclusiva**: ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”
- “Innovare significa destabilizzare”. Perché la (iper) complessità non è un’opzione
- “Il grande equivoco. Ripensare l’educazione (#digitale) per la Società Ipercomplessa”
- “La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo”
- “L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale”
- “La condizione del sapere nella società della conoscenza: tra condivisione e riproducibilità “tecnica”(?)”
- La comunicazione ridotta a marketing #PianoInclinato
Tra le interviste, condivido volentieri:
- Intervista concessa a l’Huffington Post: “La cultura della complessità come cultura della responsabilità”
- Intervista concessa a VITA: “Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni”
#CitaregliAutori
N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.
I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.
Buona riflessione!
Immagine: opera di Banksy