“Esplorare le #connessioni. Alla ricerca di un Nuovo Umanesimo”

«Ci troviamo in una fase storica estremamente contraddittoria, che richiede un “pensiero complesso” che si basi, in prima istanza, sulla condivisione e la convergenza dei saperi: ciò significa nuovi modelli interpretativi dell’indeterminato, nuove strategie politiche, nuove ipotesi e tentativi di soluzione ma, soprattutto, nuovi “percorsi” del dialogo e del confronto culturale a tutti i livelli».

P.D. (2003)

#CitaregliAutori

È ancora possibile un Nuovo Umanesimo per questa civiltà ipertecnologica? Un Nuovo Umanesimo che ponga la Persona (e gli spazi relazionali), e non la Tecnica, al centro. Perché e quanto è importante ripensare a fondo l’educazione (e la formazione)? Dobbiamo confrontarci con una ipercomplessità (cognitiva, soggettiva, sociale, etica, linguistica e comunicativa) che mostra come l’evoluzione culturale sia ormai in grado di condizionare quella biologica (1998), facendo saltare vecchi confini e separazioni.

Abbiamo bisogno di una “nuova epistemologia”** che trova la sua “leva” fondamentale nell’urgente necessità di ridefinire (o, finalmente, abbattere!) i confini tra naturale e artificiale, tra umano e non-umano, tra mente (individuale, collettiva) ed ambiente, tra sistemi e nuovo ecosistema, tra il “dentro” e il “fuori” di ogni tipo di sistema etc. (#CitaregliAutori). Il futuro, in tal senso, sarà di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico (Dominici, 1998), di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare, di più, fondere le “due culture” (umanistica e scientifica) sia a livello di educazione e formazione, riportando la creatività e l’immaginazione nei luoghi in cui si costruisce la Persona.

Lavorando anche su un’educazione all’empatia (ed alla comunicazione) e sulla costruzione di una “cultura dell’errore” (Dominici,1996 e sgg.), vero nutrimento di qualsiasi processo di innovazione e mutamento, e non soltanto della ricerca scientifica. D’altra parte, ci ritroviamo di fronte ad un complesso processo di trasformazione antropologica (1996) che, oltre ad aprire orizzonti e scenari tuttora inimmaginabili, rende ancor più evidente i nostri limiti, la nostra incompletezza e vulnerabilità, sottolineando la sostanziale inadeguatezza di Scuola e Università.

Lo ribadiamo con forza da oltre vent’anni: l’educazione è “la” sfida, è “la” questione! Nell’affrontarla, siamo sulle cd. spalle dei giganti, ma il rischio di vertigini è alto.

Affronteremo questi argomenti che, da sempre, segnano i miei percorsi di studio e ricerca nel corso di due conferenze organizzate dal Museo Regionale “Antonino Salinas”, dall’ Istituto Siciliano per la Storia Antica “Eugenio Manni” e dal Dipartimento “Culture e Società“ dell’Università degli Studi di Palermo. Colgo l’occasione per ringraziare, anche pubblicamente, tutti gli organizzatori. Gli incontri, aperti al pubblico, si svolgeranno a Palermo (8-9 novembre) presso questi poli culturali estremamente attivi anche rispetto a quella che abbiamo definito “l’urgenza di ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”.

Di seguito il link al video di presentazione: https://www.youtube.com/watch?v=Ps0ZagIN08c

 

Approfitto per condividere un contributo del passato (Il Sole 24 Ore):

Percorsi – non lineari – di riflessione e approfondimento

#Ipertesti

La consapevolezza non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi Karl Popper

Rispetto alle leggi scientifiche, la realtà si è dimostrata più ricca e stravagante di quanto potessero prevedere coloro che avevano fatto di queste leggi il mezzo determinante della esplorazione del mondo Ilya Prigogine

Ipercomplessità e Società Ipercomplessa

La “nuova” (iper)complessità (cognitiva, soggettiva, organizzativa, sociale ed etica), che contraddistingue la Società Ipercomplessa (Dominici 2003, 2005, 2011), richiede con urgenza, non soltanto strategie e politiche in prospettiva sistemica e transnazionale, ma anche, e soprattutto, la definizione e configurazione di un modello teorico interpretativo in grado, se non di comprendere, almeno di riconoscere e spiegare le traiettorie, già di per sé confuse e incerte,  e le numerose discontinuità di un processo globale di mutamento che, a sua volta, sta mettendo seriamente in discussione, paradigmi, metodologie, strumenti di analisi, culture (organizzative e non). La civiltà tecnologico-cognitiva inizia, con grave ritardo, a prendere finalmente consapevolezza dell’importanza di un Pensiero e di una Politica che non possono più permettersi il lusso di visioni chiuse e particolaristiche, a maggior ragione in un’epoca così segnata da precarietà, insicurezze e vulnerabilità di ogni tipo; un’epoca così segnata da drammatici conflitti che alimentano, non soltanto nelle classi politiche e dirigenti degli Stati-nazione, le illusioni di trovare soluzioni semplici e immediate a problemi che sono complessi; ma anche, e soprattutto, che nutrono le logiche della chiusura e dell’emergenza continua. Senza, peraltro, considerare le nuove asimmetrie e disuguaglianze che appaiono sempre più evidenti, paradossalmente, proprio nell’era della massima espansione tecnologica e di straordinarie scoperte scientifiche.

Un’era ipertecnologica, sempre più segnata da “spinte” entropiche e caotiche che, al di là delle innegabili accelerazioni e avanzamenti in ogni campo della prassi sociale e umana, avrebbe dovuto definire e determinare condizioni ideali anche in termini di controllo e prevedibilità dei comportamenti, dei processi, dei sistemi. Una fase di mutamento radicale e globale che, come ribadito più volte anche in passato, ci costringe a ripensare categorie, codici, linguaggi, strumenti, identità, soggettività, norme e modelli culturali, comunità (aperte), spazi relazionali e comunicativi, ambienti, ecosistemi. Mai, come in questo momento, l’innovazione tecnologica, con tutti i rischi/le opportunità che essa comporta, pone gli attori sociali e le organizzazioni di fronte alla possibilità di operare un ulteriore e irreversibile salto di qualità.

Questo progressivo impossessarsi delle leve della propria evoluzione mette radicalmente in discussione modelli e categorie tradizionali, obbligandoci (?) a rivedere/riformulare addirittura anche la stessa definizione del concetto di Persona. A ripensare l’umano e la sua interazione, per certi versi, ambigua con la tecnica e il tecnologico: un’interazione da cui non può che scaturire una sintesi complessa di cui non siamo ancora in grado di valutare prospettive, sviluppi e implicazioni. Tra “nuove” utopie e distopie. Tra forze dell’interdipendenza e forze della frammentazione. Tra inclusività ed esclusività, dentro asimmetrie che corrono lungo traiettorie discontinue.

Siamo dentro la società interconnessa/iperconnessa che «è una società ipercomplessa, in cui il trattamento e l’elaborazione delle informazioni e della conoscenza sono ormai divenute le risorse principali; una tipo di società in cui alla crescita esponenziale delle opportunità di connessione  e di trasmissione delle informazioni, che costituiscono dei fattori fondamentali di sviluppo economico e sociale, non corrisponde ancora un analogo aumento delle opportunità di comunicazione, da noi intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza che implica pariteticità e reciprocità (inclusione). La tecnologia, i social network e, più in generale, la rivoluzione digitale, pur avendo determinato un cambio di paradigma, creando le condizioni strutturali per l’interdipendenza (e l’efficienza) dei sistemi e delle organizzazioni e intensificando i flussi immateriali tra gli attori sociali, non sono tuttora in grado di garantire che le reti di interazione create generino relazioni, fino in fondo, comunicative, basate cioè su rapporti simmetrici e di reale condivisione. In altre parole, la Rete crea un nuovo ecosistema della comunicazione (1996) ma, pur ridefinendo lo spazio del sapere, non può garantire, in sé e per sé, orizzontalità o relazioni più simmetriche. La differenza, ancora una volta, è nelle persone e negli utilizzi che si fanno della tecnologia, al di là dei tanti interessi in gioco. Per queste stesse ragioni, parleremo di “tecnologie della connessione” e non di “tecnologie della comunicazione”» (Dominici 2014, p.9)

Ipercomplessità e Società Ipercomplessa

«[…] possiamo anche fingere di non accorgercene, ma i “vecchi” confini tra formazione scientifica e formazione umanistica (le cd. “due culture”) sono completamente saltati, e non da oggi, in conseguenza delle straordinarie scoperte scientifiche e delle continue accelerazioni indotte dall’innovazione tecnologica che rendono ancor più ineludibile l’urgenza di un’educazione/formazione alla complessità, al metodo scientifico – basato anche su ipotesi (molteplici), congetture, confutazioni, continui tentativi di falsificazione etc.- e al pensiero critico (logica), all’importanza di osservare i fenomeni in una prospettiva sistemica (Bertalanffy von L., 1968; Bateson, 1972; Maturana – Varela, 1980; Bocchi-Ceruti, 1985; Gleick, 1987; Ceruti, 1986, 1995; Gallino L., 1992; Gell-Mann, 1994 e 2017; Prigogine, 1996; Braidotti, 2013; De Toni-De Zan, 2015, Morin E., 1977, 1980 e sgg.; Capra, 1975; Emery, 2001; Barabasi, 2002; Diamond 1997, 2005; Taleb 2012; Longo 2014; Dominici 1998, 2000, 2003, 2005, 2011, 2014, 2016). Tuttavia, le resistenze ad un cambiamento così radicale di prospettiva (modelli, pratiche e strumenti) sono fortissime, arrivano soprattutto dai “luoghi” ove si produce e si elabora conoscenza e sono legate a motivazioni di diversa natura: logiche dominanti, modello sociale feudale, questione culturale, primato della politica in tutte le dimensioni, familismo amorale, culture organizzative, climi d’opinione etc. Una questione complessa, quella della complessità! Una (iper)complessità che non è un’opzione, è un “dato di fatto”: il vero problema è che non siamo educati e formati a riconoscerla e, in ogni caso, non con la nostra testa. Di fatto, non da oggi «la tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio» (Dominici, 1996), rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è soprattutto culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.). #CitaregliAutori

In altre parole, nel quadro complessivo di un necessario ripensamento / ridefinizione / superamento della dicotomia natura/cultura, non possiamo non prendere atto di come i ben noti meccanismi darwiniani di selezione e mutazione si contaminino sempre di più con quelli sociali e culturali che caratterizzano la statica e la dinamica dei sistemi sociali. Sempre più difficile, oltre che fuorviante, provare a tenere separati i due percorsi evolutivi e, allo stesso tempo, sempre più urgente si fa la domanda di un approccio interdisciplinare e multidisciplinare alla complessità per l’analisi e lo studio di dinamiche (appunto) sempre più complesse (non lineari e non prevedibili), all’interno delle quali i piani di discorso e le variabili intervenienti si condizionano reciprocamente, mettendo a dura prova i tradizionali modelli teorico-interpretativi lineari. Quanto detto dovrebbe concretizzarsi in proposte e strategie educative funzionali alla costruzione sociale del cambiamento che, ricordiamolo, se imposto esclusivamente come processo dall’alto è (e sarà) sempre un cambiamento esclusivo, per pochi e di breve periodo. Occorre prendere definitivamente coscienza che questo è il vero “fattore” strategico del cambiamento e dei processi di innovazione: il “fattore” culturale, una variabile complessa in grado, nel lungo periodo, di innescare e accompagnare i processi economici, politici, sociali. Una variabile complessa, ancor più decisiva, dal momento che mai, in passato, come in questo momento, le scoperte scientifiche e l’innovazione tecnologica pongono gli attori sociali e le organizzazioni di fronte alla possibilità di operare un ulteriore e irreversibile salto di qualità» (Dominici,1998, 2003, 2017).

 

Per ulteriori approfondimenti e percorsi:

  1. Intervista concessa a VITA http://www.vita.it/it/interview/2017/06/09/nella-societa-ipercomplessa-la-strategia-e-saltare-le-separazioni/119/
  2. Intervista concessa all’Huffington Post http://www.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/

Alcuni contributi (selezione):

N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla” (un “copia e incolla” molto sofisticato), alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.

I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.

Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.

Buona riflessione!