L’emergenza, la fiducia e il legame sociale. Allargare lo sguardo…
“A fronte di una ipercomplessità sempre più evidente e riconoscibile che connota il mutamento in corso e che trova drammaticamente impreparate le istituzioni educative e formative; a fronte di una crescita esponenziale delle interdipendenze/interconnessioni/interazioni/condizionamenti che innervano fenomeni e processi, assistiamo, da tempo e quasi paradossalmente, al dominio/egemonia di analisi/spiegazioni riduzionistiche e deterministiche e al ritorno di una visione/concezione neo-positivistica del reale e della realtà. Dinamiche e processi che si concretizzano, da una parte, nella ricerca, talvolta ossessiva, della semplificazione a tutti i costi – anche quando è perfino pericoloso semplificare (educazione, formazione, comunicazione, democrazia) – e, dall’altra, in quelle che ho definito “grandi illusioni della civiltà ipertecnologica (razionalità, controllo, prevedibilità, misurabilità, eliminazione dell’errore)” (Dominici, 1995, 1998, 2003 e sgg.).
Questa ennesima “emergenza” con caratteri di globalità, senz’altro più importante, sistemica e invasiva di altre, ha evidenziato, ancora una volta, una serie di questioni anche, e soprattutto, in termini di approccio e metodologia, di scelte e strategie da adottare, su cui siamo ritornati più volte, negli anni.
Il testo/ipertesto è lungo e articolato e, come sempre, ricco di collegamenti ad altri articoli e pubblicazioni (con i consueti riferimenti bibliografici), divulgativi e scientifici. Percorsi di approfondimento e riflessione/analisi. Un approccio e percorsi di ricerca dal’95.
In queste settimane, in cui da più parti si inizia ad evocare la (iper)complessità dei processi e delle dinamiche in corso e l’urgenza di un approccio sistemico a questa stessa complessità (più come slogan che per una rinnovata consapevolezza!), come puntualmente accade in tutte le situazioni di emergenza e/o di fronte a crisi/disastri di qualsiasi genere, stanno tutti riscoprendo e riconoscendo – al valore della scienza e della conoscenza scientifica e, più in generale e ad un altro livello, della preparazione e dell’esperienza sul campo (incredibile ma, anche questo ‘valore’, purtroppo, viene sempre riconosciuto a corrente alternata e a seconda della convenienze, non soltanto politiche) – la rilevanza cruciale e la centralità strategica di educazione, libertà, responsabilità (individuale e collettiva – ripeto ogni volta: concetti relazionali), della ben nota “questione culturale”; in altri termini, stanno tutti ri-scoprendo e riconoscendo – come sempre capita in queste situazioni – il ruolo fondamentale assunto dai fattori/dalle variabili sociali e culturali. E, con essi, anche il peso/ruolo che, da sempre, hanno la paura, le paure, la cultura dell’indifferenza, oggi più che mai alimentate da un ecosistema dell’informazione e della comunicazione progettato soprattutto per essere veloce e virale, secondo logiche di controllo e sorveglianza ormai note.
Temi e questioni di vitale importanza purtroppo da sempre sottovalutati e – ripeto – riscoperti soltanto nelle situazioni di emergenza: quelle che più mostrano tutte le nostre vulnerabilità e incertezze; quelle che, più di ogni altro tipo di situazione, ci fanno capire quanto siano inadeguate e infondate le nostre sicurezze e, con esse, i paradigmi, organizzativi, politici e sociali che, almeno in apparenza, le sostengono/supportano.
Situazioni che, ogni volta, tra le tante dimensioni da considerarsi (la fase di transizione, che è soltanto in parte “crisi economica”; la storica, ormai datata, crisi della agenzie di socializzazione; l’affermazione di un policentrismo formativo; l’individualismo e l’indebolimento del legame sociale, la perdita di credibilità delle istituzioni educative e politiche, la complessità e l’imprevedibilità del mutamento in corso; l’assenza di un pensiero e di un “sistema di pensiero” adeguato alla “società ipercomplessa” etc. etc.) evidenziano/hanno evidenziato la sostanziale inadeguatezza e incompletezza di educazione e formazione, talvolta/spesso accompagnate da superficialità e incapacità di tradurre operativamente le decisioni. In questi ultimi decenni, scelte, strategie e strumenti adottati, proprio per ripensare l’educazione e la stessa formazione, si sono mostrati del tutto sbagliati e inefficaci, oltre che costruiti su approcci riduzionistici e deterministici. Non è bastato tentare di adeguare/adattare i processi educativi e formativi al cambiamento tecnologico e alla cd. rivoluzione digitale. E, francamente, non ci voleva molto a capirlo, anche se tuttora stiamo continuando ad andare nelle direzioni di sempre, seguendo mode e tendenze, e non soltanto sottovalutando implicazioni etiche ed epistemologiche (Dominici,1995 e sgg.).
Scelte, strategie e strumenti (insieme alla mancanza di risorse e investimenti) assolutamente non in grado, ancor più allo stato attuale delle cose, neanche di definire/creare le condizioni minime (conoscenze, competenze, pensiero critico, cultura dell’errore, empatia e responsabilità, spazio relazionale e comunicativo etc.) per comprendere, meglio ancora “abitare”, la complessità, l’imprevedibilità, l’ambivalenza, la variabilità e la dinamicità dei processi educativi e formativi, e, più in generale, della vita e del sociale.
Crisi, disastri ed emergenze che, in altre parole, hanno messo/mettono drammaticamente in luce quanto sia/siano decisivo/i il legame sociale/i legami sociali e, soprattutto, quanto siano decisivi i processi educativi e formativi erroneamente ri-progettati e ripensati (o per meglio dire…ripensati soltanto in apparenza, con tanto marketing ed effetti speciali) in questi ultimi decenni. Me ne occupo e ne parlo da oltre vent’anni in studi e ricerche, che non hanno mancato di sottolineare ed evidenziare, a più riprese, questi aspetti e criticità. Anche a partire da studi e ricerche – ancor prima dal concetto, con la relativa definizione operativa – su quella che ho definito, in tempi non sospetti, “società dell’irresponsabilità”.
Un tipo, un idealtipo (Weber) di società, un modello sociale che pensiamo, ci illudiamo, di poter plasmare e, per certi versi, contrastare, come in passato, a colpi di leggi e decreti (ripeto ogni volta: condizioni necessarie ma non sufficienti), a colpi di tecnologia, di algoritmi e intelligenza artificiale (che, con tutte le implicazioni del caso, possono rivelarsi/si riveleranno straordinarie opportunità) e, più in generale, delegando tutto alla tecnologia e, sempre più oggi e in futuro, ai processi di automazione e simulazione. Le tecnologie e i social – non è inutile ribadirlo – in questo genere di situazioni, non soltanto possono, “sono” di straordinario aiuto e supporto, ma occorre affiancare altre dimensione e “strumenti”.
Al contrario, siamo ancora lì, fermi, fermi dentro un movimento ed una dinamicità soltanto atteggiate e/o, peggio ancora, simulate; fermi dentro una serie di “illusioni”, quelle della civiltà ipertecnologica (Dominici, 1995, 1996 e sgg.), che continuano a convincerci che sia tutto governabile e sotto controllo: e, quando ci accorgiamo – a tutti i livelli e in tutti gli ambiti della prassi sociale e organizzativa – che “le cose non stanno così”, non ci resta che la paura, l’indifferenza, la chiusura verso tutti e tutto.
“Grandi illusioni” della civiltà ipertecnologica e iperconnessa – così le ho definite – temi e questioni che riguardano – come ripeto da molti anni – anche il mondo (e gli ecosistemi) dell’intelligenza artificiale e della cd. “materia vivente” e, più in generale, i processi (in atto) di “sintesi complessa”, all’interno dei quali, “continuiamo a confondere l’intelligenza con la simulazione dell’intelligenza, il pensiero con la simulazione del pensiero, l’empatia e i sentimenti con la simulazione dell’empatia e dei sentimenti” (Dominici, 1995, 1998, 2003, 2oo5 e sgg.).
Questione educativa e culturale, ancora una volta! Determinante anche per il rilancio dell’economia che tutti invocano, spesso non avendo ancora compreso quanto anche questa dimensione sia correlata anche/soprattutto a fattori sociali e culturali.
Infine, un ultimo ‘snodo cruciale’ che continuo a riproporre e su cui sono tornato più volte in passato: cerchiamo di non commettere, per l’ennesima volta, (anche) l’errore di pensare (e agire come se) che disastri ed emergenze ricreino, quasi magicamente, tutti i legami sociali di fiducia, cooperazione e solidarietà, “meccanismi sociali” (vedi anche Coleman, Putnam) di vitale importanza per l’esistenza stessa dei gruppi, delle organizzazioni, di quella che chiamiamo “società”: legami e meccanismi complessi, che hanno bisogno di ben altre “forze” ed “energie” per essere riattivati (educazione, formazione e ricerca, anche in questo caso). Disastri ed emergenze funzionano sul momento e, in ogni caso, nel breve periodo.
Lo so bene: esiste una corposa letteratura scientifica su questi temi che ha evidenziato come, in presenza di disastri ed emergenze, tornino a rafforzarsi i meccanismi della cooperazione e della solidarietà; ciò nonostante, troppo spesso, erroneamente, anche basandosi su questi stessi studi e ricerche che, senz’altro, hanno avuto anche il merito di fotografare sincronicamente situazioni e contesti, si è creduto/pensato che emergenze e disastri potessero/possano ricreare fiducia, cooperazione, solidarietà tra le persone, tra i gruppi, perfino tra gli Stati-Nazione; in alcuni contesti/periodi storici ciò si è anche parzialmente verificato, a tratti, ma le condizioni erano totalmente differenti; nel medio/lungo periodo, invece, non è mai andata a finire così…appena termina il momento/la fase (anche lunga) di emergenza, di emotività e solidarietà indotta dalla paura, alimentata da copertura mediatica e social si torna/torniamo tutti, inevitabilmente, alle nostre vite ed esistenze quotidiane, ad un generale disinteresse (individualismo sempre egemone), chiusi nei nostri interessi particolari, distanti dagli altri e diffidenti verso ogni cosa. E già… “questione culturale ed educativa”. Dobbiamo necessariamente ripensare a fondo e operare, pensando concretamente al lungo periodo, in direzione di una riscoperta delle ragioni (forti) che tengono gli attori sociali, le Persone, gli umani – uso una vecchia metafora sociologica – intorno ad un focolare. Le ragioni del legame sociale e dei meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione.
Sempre a proposito di “Società dell’Irresponsabilità”, la ricerca del 2009…
L’innovazione di un Paese è la sua cultura della responsabilità (cit.)
Un approccio e percorsi di ricerca dal’95
#educazione #responsabilità #istituzioni #emergenza #cultura #politica #società #GestionedelRischio #comunicazione #coronavirus #QuestioneCulturale
La “questione culturale” e il problema della responsabilità: il ruolo strategico di scuola e istruzione. In cerca di “teste ben fatte”
👉 La cultura della complessità come cultura della responsabilità (def.) https://m.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/?ec_carp=6961499919259718541
👉 https://gianfrancomarini.blogspot.com/2019/02/piero-dominici-la-cultura-della.html?m=1
“L’evoluzione complessa**: la civiltà tecnologica tra bisogno di #sicurezza e solidarietà della #paura**. #Libertà vs #sicurezza … condivido altro vecchio contributo che, a sua volta, recupera…
________________________________________________________________
Ri-condivido brani estratti da un vecchio articolo:
L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale
Progresso tecnologico ed economico condizioni necessarie ma non sufficienti ad affrontare una crisi che è anche, e soprattutto, culturale e di civiltà.
Individualismo, fine del legame sociale e del vincolo di appartenenza alla Comunità. Storie di precarietà e incertezza divenute, ormai per molte persone, condizioni esistenziali…una crisi non soltanto economica, aggravata dall’indebolimento del tessuto sociale e dei meccanismi sociali della cooperazione e della fiducia; in molti casi, dalla stessa percezione di una solitudine che non è “visibile” e non fa rumore e dall’assenza di una rete sociale di sostegno. Si tratta di questioni cruciali che studio da anni ma che, soprattutto, ci riguardano tutt* da vicino. Passatemi la semplificazione (perché le questioni vanno sempre sciolte, evidenziandone la complessità e i molteplici nessi di causalità/livelli di connessione): proprio nella cd. società della comunicazione e delle reti, che sono riproduzione ed estensione di quelle preesistenti all’interno dei sistemi sociali (1998), assistiamo – con qualche timido segnale di risveglio, che puntualmente si verifica dopo crisi e/o disastri (cfr. letteratura sul tema del capitale sociale e della fiducia) – all’indebolimento del tessuto sociale e di quei “dispositivi” che rendono possibile la coesione sociale (culture e modelli culturali compresi). Non a caso se, da una parte, abbiamo parlato di trasformazione antropologica, di nuovo ecosistema (1996) e di un individuo sempre più libero e autonomo (?), dall’altra, non abbiamo potuto fare a meno di rilevare come sia anche sempre più “isolato” nelle scelte e nel riferimento a sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo, già di per sè indefiniti e frammentari.
Tornano attuali, mai come ora, categorie concettuali come “anomia” (Durkheim) e “vuoto etico” (Jonas) e, forse, per provare a comprendere la “natura” complessa e ambigua del mutamento in atto, occorre ripartire proprio da quel progetto della modernità che ha prodotto non soltanto emancipazione, delle masse e delle “nuove soggettività”, ma anche “forze centrifughe” e disgreganti (Dominici 2003,2005,2014). È la “società interconnessa” (connessione vs. comunicazione) basata su un’economia politica dell’insicurezza (politiche, welfare etc.) e su opportunità che per ora riguardano, esclusivamente, èlite e gruppi ristretti legati a saperi esperti (architettura aperta ma reti chiuse) (1998); anche su questo abbiamo lavorato molto ma c’è ancora tantissima strada da percorrere (assenza di politiche -> lungo periodo) e richiede un cambiamento culturale radicale che coinvolga più livelli. Inclusione, cittadinanza digitale, democrazia…società della conoscenza sono ancora ‘lontane’ e, sempre più spesso, l’impressione è che si navighi a vista, oltretutto con un preoccupante ridimensionamento della sfera dei diritti individuali e collettivi che viaggia di pari passo con il ruolo di una Politica sempre più marginale e sempre meno autonoma dalla sfera economico-finanziaria.
Il pericolo serio e concreto è quello di continuare a interpretare ed affrontare questa crisi, così drammatica, affidandosi a spiegazioni riduzionistiche e deterministiche e, contemporaneamente, sottovalutando la “questione culturale” e uno dei grandi “mali” del nostro tempo, ad essa correlato: l’indifferenza (1998).
La crisi contemporanea, infatti, riguarda da vicino i sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo, le credenze e le pratiche condivise, i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione su cui, non soltanto si fonda il legame sociale, ma poggia l’idea stessa di civiltà, di Persona, di dignità umana, di cittadinanza e di democrazia. Ed è una crisi anche, e soprattutto, della comunicazione così come l’abbiamo intesa fin dal primo momento: processo sociale (complesso) di condivisione della conoscenza ( = potere). Una crisi che riguarda tutti i livelli, da quello dei sistemi sociali a quello delle organizzazioni complesse, per arrivare al livello delle relazioni sociali e della mediazione simbolica. Ad essere tirate in ballo anche le identità e le soggettività e, come detto più e più volte anche in passato, è quanto meno paradossale che tutto ciò si verifichi proprio nella cd. società globale della comunicazione.
Questa, una delle ragioni per cui ho preferito parlare di “società interconnessa” (comunicazione vs. connessione), sforzandomi di fornirne una definizione operativa chiara (altrimenti si scade, come spesso capita in queste aree di studio e ricerca, nel puro “nominalismo” e/o nella parola-chiave/neologismo più alla moda), che ponesse l’attenzione sulle ruolo delle asimmetrie informative e conoscitive, sui rapporti di potere (1995), sulle logiche di controllo e sorveglianza sempre più stringenti che caratterizzano quella che, diversi anni fa, avevo definito la società ipercomplessa (Dominici 2003, 2005, 2011); una definizione operativa che prendesse le mosse dalla profonda consapevolezza che, in qualsiasi campo della prassi sociale e umana, la sempre più crescente interdipendenza dei sistemi e l’accumulo di informazioni (dis-informazione) non determinano e non garantiscono produzione e condivisione di conoscenza, anzi… (Dominici 1998, 2003). Una “risorsa”, quest’ultima, indispensabile ed unica (parliamo, non a caso si parla di economia della conoscenza) che – la dico così – non se la passa troppo bene anche a causa della radicale parcellizzazione dei saperi e delle competenze, nonché dell’eccessiva specializzazione che, di fatto, contribuisce ad isolare e deresponsabilizzare gli individui all’interno delle organizzazioni e, più in generale, dei sistemi sociali (temi su cui sono tornato spesso e sui quali non si improvvisa -> scuola, università, logica della torre d’avorio, educare e formare alla complessità, competenze per la complessità etc.).
Di fondamentale importanza, in tal senso, ridefinire lo spazio del sapere e ripensare lo “spazio relazionale” (1996 e sgg.), all’interno del quale si costruiscono le identità – che non sono mai date una volta per tutte…in costante divenire – e le soggettività: “costruzione” che avviene attraverso il dialogo, la conversazione, la reciprocità, l’empatia, la comunicazione = processo sociale (complesso) di condivisone della conoscenza (potere). Siamo sempre un “NOI” e non un “IO” (identità <-> riconoscimento), anche se non ne siamo consapevoli.
Esistiamo, sempre e comunque, all’interno di un sistema di reti di conversazione e comunicazione. Pensiero critico ed educazione alla complessità, da subito: la via per le #TestebenFatte. Perché conoscere/sapere è vivere e viceversa e tali dinamiche nascono e si evolvono, sempre e soltanto, attraverso gli ALTRI, in chiave sistemica, oltre che relazionale. Livello “micro” (quello delle relazioni e dell’interazione sociale) e livello “macro” (quello delle organizzazioni, dei sistemi, degli Stati-nazione etc.), non soltanto non sono separati, ma si influenzano reciprocamente e sono in costante connessione e relazione…un duplice livello di analisi che, come ripetuto tante volte negli anni, richiede approccio alla complessità e una prospettiva sistemica (superamento del principio di causalità, di qualsiasi forma di determinismo mono-causale e riduzionismo; tante le concause e molteplici le variabili da considerarsi; sistemi e organizzazioni evolvono e si differenziano non in maniera lineare etc.). La sfida della e alla complessità ci chiede di ripensare educazione e istruzione, in maniera profonda, radicale. Significa ripensare gli stessi concetti di “libertà”, di “comunità” e, conseguentemente, di “democrazia” e, per arrivare alla stretta attualità, ripensare la nostra idea di Paese, di Europa, di Umanità (parlavo dell’urgenza di un “nuovo umanesimo”, esattamente, vent’anni fa…). Può sembrare la più classica delle lotte contro i mulini a vento…non è così e va portata avanti!
Riprendo due parti di altri articoli pubblicati in passato:
“[…] Da questo punto di vista, il nuovo ecosistema della conoscenza trova nell’economia interconnessa potenziali opportunità di democratizzazione della conoscenza e dei processi culturali in grado di scardinare, definitivamente, il vecchio modello industriale costituito da assetti consolidati, gerarchie, logiche di controllo e di chiusura al cambiamento. La conoscenza, risorsa immateriale strategica per il mutamento in corso, comincia ad essere sempre più vista e percepita come bene comune in grado di ristabilire rapporti sociali e di potere meno squilibrati e asimmetrici.
In questa stessa linea di discorso, è di vitale importanza il non ricadere nell’errore storico di misurare le disuguaglianze solo sulla base di indicatori economici: l’accesso alla conoscenza, all’informazione, all’istruzione, la possibilità di vedere riconosciuti la propria identità e i diritti di cittadinanza, l’eguaglianza delle opportunità, le libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e di realizzarsi, lo sviluppo della società aperta sono indicatori fondamentali tanto quanto il reddito pro-capite o il PIL. La politica deve attivarsi affinché i media sociali e le reti diventino tecnologie di cooperazione e non di controllo, aprendo alla sperimentazione di nuove forme di partecipazione democratica ed al potere delle “moltitudini mobili e intelligenti” (concetto di Rheingold, 2002).
La logica del libero mercato autoregolato ha avuto un peso rilevante ma la dimensione socioculturale continua a rimanere assolutamente strategica nella lettura anche di fenomeni e processi economici. In tal senso, non possiamo non prendere atto come la società globale sia stata plasmata dai valori di un individualismo talvolta esasperato – anche dalla stessa retorica postmoderna – e dal mito di una produttività senza lavoratori. A nostro avviso, è stata creata quasi una mitologia dell’Individuo autonomo e svincolato da ogni legame, un individuo che, per le sue azioni, sembra non dover rispondere a niente e nessuno: altro che il riferimento alla ben nota distinzione tra etiche dell’intenzione ed etiche della responsabilità. Siamo andati ben al di là di ogni vincolo giuridico e/o culturale: contano il denaro e il consumo e l’unico (micro)potere dei cittadini è nel loro essere consumatori. Tali dimensioni, insieme al vuoto di significato lasciato dalla crisi delle ideologie, hanno prodotto, tra le conseguenze, anche una sorta di generale disarmo morale che nutre la “società dell’irresponsabilità” (Dominici, 2010): una società (NOI e le reti sociali di cui facciamo parte) priva di qualsiasi senso di appartenenza alla comunità e di etica del sacrificio. Un tipo di società dove, al di là di un quadro normativo e deontologico estremamente articolato, l’etica e la responsabilità sono molto “parlate”, “visibili” e discusse, non soltanto mediaticamente parlando (oggi, forse, come mai in passato), ma poco praticate (il valore della coerenza…come dico sempre, tra ETICA ed ETICHETTA).
La mitologia dell’individuo sovrano, portatore di diritti ma non di doveri, ha prodotto danni difficilmente calcolabili/valutabili soprattutto per ciò che concerne il rispetto del Bene comune e della “cosa pubblica”, ma anche il modo di percepire e osservare norme, valori, regole, modelli di comportamento etc.; una mitologia o, per meglio dire, una narrazione che ha prodotto, tra gli altri effetti, una deregolamentazione negativa e una deresponsabilizzazione degli attori sociali, a tutti i livelli. Anche da questo punto di vista, occorre uscire da questa fase di navigazione a vista, in cui i legami tra l’individuo e le istituzioni, tra l’individuo e le tradizionali agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, religione etc.), tra la Politica e i cittadini, si sono fortemente indeboliti e questa distanza che si è creata ha certamente favorito il coinvolgimento sempre più massiccio e decisivo dei media – e nello specifico della Rete e dei media sociali – nel processo di formazione delle identità individuali e collettive e, perfino, nel riconoscimento e nella definizione operativa delle istanze sociali su cui operare delle rivendicazioni nei confronti della Politica (Dominici). Questa ulteriore proliferazione dei centri formativi e, più in generale, delle arene in cui si sostanzia il pensiero e si progetta la prassi procede di pari passo con la crisi comunicativa che ha investito le istituzioni e gli attori tradizionali del processo formativo, sospesi tra informazione eccessiva e paura della disconnessione.
L’egemonia della razionalità strumentale e dell’economia di mercato (autoregolato) ha finito con il far trionfare una logica di dominio che è stata estesa alla totalità della vita sociale. Tale processo ha indebolito anche i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive. Al livello della coabitazione sociale, si è generata pertanto una società globale fortemente individualizzata, che scarica molte più responsabilità sulle spalle di ogni singolo attore sociale richiedendo una libertà responsabile. Sotto questo aspetto, lo sviluppo delle forme di comunicazione mediata (Thompson,1995), al di là dei vantaggi in termini di telelavoro e di distribuzione della conoscenza, potrebbe anche raffreddare ulteriormente i meccanismi protagonisti della produzione di capitale sociale.
La crescita esponenziale del potere finanziario ha avuto conseguenze estremamente negative per l’economia-mondo e, soprattutto, per la vita delle persone; il processo di formazione di uno spazio virtuale, ove far scorrere ad altissima velocità i flussi economici ed informativi, non ha fatto altro che privare la Politica e i sistemi di potere del controllo sul proprio “corpo”, separandoli ulteriormente dalla società civile e dai singoli attori sociali. E credere che la tecnologia (in particolare, le reti) possa risolvere qualsiasi problema, compreso il riavvicinamento tra Politica e cittadini potrebbe rivelarsi l’ennesimo errore fatale. Dal momento che la prassi politica e sociale, pur trovando nuove arene virtuali di costruzione e organizzazione del consenso e/o delle opinioni, richiede il passaggio cruciale dall’elaborazione teorica all’azione pratica, concreta, che deve incidere sul decisore politico. E per far questo occorrono attori sociali informati e criticamente formati in carne e ossa, destinatari attivi e consapevoli dentro le loro reti di cooperazione sociale […]”
Ed ancora:
“[…] Oltre alla più volte richiamata marginalità della Politica (aspetto preoccupante), la liberalizzazione dei mercati mette ancora più in evidenza l’assenza di istituzioni globali realmente funzionanti e operative: un vuoto di potere a livello transnazionale, per certi versi, paradossale in un’epoca profondamente segnata da logiche di controllo e sorveglianza globali, rafforzate da sistemi sempre più interdipendenti. L’economia globale, dunque, sta affrontando un processo di radicale ristrutturazione che implica il ridimensionamento del capitale fisico e il trionfo dell’offerta di servizi sulla vendita di beni e sugli scambi di proprietà: l’accesso è diventato la nuova misura dei rapporti sociali (Dominici). Oltretutto, dopo la recente crisi finanziaria mondiale, il capitalismo globale e tecno-nichilista (definizione di Magatti, 2009), caratterizzato dalla progressiva acquisizione dei vissuti sociali di ogni singolo cittadino/consumatore, sembra sul punto di legittimare anche nuovi modelli di scambio sociale. Individui e istituzioni sono coinvolti in un processo di commercializzazione di tutta la prassi che delinea uno scenario, per certi versi, inquietante nel quale vengono messe in discussione le strutture tradizionali del legame sociale.
[…] La complessità insita nel processo di globalizzazione ci obbliga a riformulare tutte le categorie dell’agire politico e ad allargare i nostri orizzonti di pensiero e di azione, elaborando una politica che non si limiti soltanto ad osservare le regole, bensì provi a cambiarle anche perché la stragrande maggioranza di queste stesse regole sono state definite in un contesto di Stato-nazione forte (Dominici,1998, 2003,2008). Anche perché il mercato mondiale non può, come finora è accaduto, essere lasciato andare alla deriva senza un progetto autorevole e credibile di sviluppo globale: «Dove il mercato è abbandonato alla sua autonormatività, esso conosce soltanto una dignità della cosa e non della persona, non doveri di fratellanza e di pietà, non relazioni umane originarie di cui le comunità personali siano portatrici» (Weber, 1922) […]”
In conclusione, non è inutile ribadire, alla luce della complessità delle problematiche considerate, i rischi non soltanto di tipo interpretativo (ricorso a spiegazioni riduzionistiche e deterministiche) – le culture delle classi dirigenti traducono questi modelli e queste visioni in azioni e strategie (?) – legati alla diffusa convinzione (che non appartiene solo ad alcuni economisti e tecnocrati) che progresso tecnologico e ripresa economica possano risolvere, prima o poi, tutte le questioni: si tratta di condizioni necessarie, di “variabili” di fondamentale importanza, tuttavia, non sufficienti ad affrontare e contrastare una crisi che è anche, e soprattutto, culturale e di civiltà.
Una crisi che va affrontata, in un sistema-mondo sempre più interdipendente e interconnesso, con strategie “pensate” in chiave transnazionale (evidente il riferimento al ruolo dell’Unione Europea e della famosa (?) Comunità internazionale, ad oggi “entità” assolutamente inconsistenti e prive di identità, oltre che di strategie comuni):1) riprogettando politiche di welfare e di coesione alla luce dei nuovi rischi sociali e delle nuove forme di precarietà; 2) definendo politiche per l’istruzione, la formazione e la ricerca; stimolando le società a generare “anticorpi” in grado di rinsaldare i legami sociali (educazione alla cittadinanza, alla legalità, all’anticorruzione etc.), sempre più in sofferenza sia a causa dei valori individualistici ed egoistici dominanti, che per la mancanza di modelli culturali funzionali al “bene comune”: detto in altre parole, di un’etica condivisa; 3) puntando seriamente, e concretamente, sul cambiamento culturale che, lo ripeterò fino alla noia (e non mi stancherò mai di farlo), può avvenire esclusivamente nel lungo periodo e soltanto muovendo dalla centralità e dalla qualità dei processi educativi. È quella che chiamo (da anni) la “via obbligata”: tutti – non soltanto la politica – ne parlano, tutti sembrano essere d’accordo ma, almeno per ora, registro una consapevolezza soltanto “dichiarata”. Speriamo serva almeno ad accrescere questa consapevolezza “dichiarata” rispetto all’importanza del “cambiamento culturale”…perché quella che stiamo vivendo è una crisi culturale, è una crisi che le numerose variabili e concause hanno reso una “crisi di civiltà”.
Una crisi che ci costringe ad interrogarci (e ad agire), in primo luogo, su cosa significhi essere “persone”, essere “cittadini” in questa società globale; che mette in discussione, radicalmente, la dimensione fondante della “fiducia” e il “nostro” paradigma della sicurezza; che ci obbliga a ripensare il modo di intendere e praticare i valori/principi della libertà e responsabilità (concetti relazionali, cfr. Dominici 1998, 2005); che ci spinge a ridefinire la nostra concezione di “razionalità” e i codici, i modelli, le strategie da essa prodotti; una crisi così delicata che, al di là delle straordinarie scoperte scientifiche e dell’innovazione tecnologica, rimette in primo piano la questione della dignità umana e dei diritti umani e di cittadinanza (globale).
La società ipercomplessa (Dominici 2003) richiede urgentemente un’educazione e una formazione alla complessità necessarie per provare a costruire insieme, nei “luoghi” deputati a questo, non soltanto Persone – Cittadini (cioè, le condizioni del “legame sociale”) e, successivamente, profili e competenze etc., ma anche, e soprattutto, un’etica condivisa della responsabilità e della comprensione, a maggior ragione in una fase storica così delicata, in cui il pericolo dello scontro tra civiltà (Huntington, 1996) sembra ripresentarsi, contemporaneamente all’affermarsi di nuove asimmetrie e forme di disuguaglianza, non riconducibili soltanto ad indicatori economici.
Per chi volesse approfondire, rinvio ad un mio articolo – Rivista scientifica Peer Reviewed:
La modernità complessa tra istanze di emancipazione e derive dell’individualismo: la comunicazione per il legame sociale
E sempre a proposito di #PensieroCritico e di #complessità, di educazione, di comunicazione, di controllo e imprevedibilità…
Concludo, ricordando Maturana – da sempre punto di riferimento essenziale (ma su questi temi la letteratura scientifica è davvero di qualità) – che dobbiamo essere consapevoli che l’educazione e la stessa politica sono momenti cruciali del processo inarrestabile di autopoiesi (autocostruzione) che segna la vita e la prassi degli esseri umani: e il sociale ha un fondamento anche emozionale e non soltanto razionale.
Tutti i concetti e le affermazioni sui quali non abbiamo riflettuto e che accettiamo come se significassero qualcosa per il semplice fatto che tutti li capiscono, sono paraocchi. Sostenere che la ragione caratterizza l’essere umano è un paraocchi, e lo è perché ci lascia ciechi di fronte all’emozione, che viene sminuita come qualcosa di animalesco o come qualcosa che nega il razionale […] e non vediamo il reciproco e quotidiano legame tra ragione ed emozione che costituisce la nostra umana esistenza, e non ci rendiamo conto che ogni sistema razionale ha un fondamento emozionale”
“Parlare-conversare devono essere nati insieme come un modo di convivere che integra giovani e adulti, in uno stato di benessere, nella coordinazione degli atti di tale convivenza, nel piacere della condivisione e della partecipazione. Vale a dire che il nostro linguaggio deve essere sorto nella trasmissione da una generazione all’altra di un modo di convivere nel conversare […]”
“Se insegnare è insegnare a vivere, secondo la giusta massima di Jean-Jacques Rousseau, è necessario individuare le carenze e le lacune del nostro insegnamento attuale per affrontare problemi vitali come quello dell’errore, dell’illusione, della parzialità, della comprensione umana, delle incertezze che ogni esistenza comporta” (Edgar Morin)
Sempre sulla questione educativa e culturale…
Un’inclusione per pochi. La civiltà ipertecnologica verso la “società dell’ignoranza?” (cit.)
👉 http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2018/03/08/uninclusione-per-pochi-la-civilta-ipertecnologica-verso-la-societa-dellignoranza-1996/ via Il Sole 24 Ore
👉 https://nextlearning.it/2017/11/02/prendersi-cura-le-due-culture/ via Next Learning
👉 https://gianfrancomarini.blogspot.com/2016/12/nel-labirinto-della-societa.html
👉 Il “grande equivoco” (cit.) http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2016/12/08/il-grande-equivoco-ripensare-leducazione-digitale-per-la-societa-ipercomplessa/ via Il Sole 24 Ore
👉 https://www.huffingtonpost.it/2017/05/04/al-festival-della-complessita-la-lezione-di-piero-dominici-il_a_22069135/ via Huffington Post
👉 Ripensare l’educazione nella civiltà iperconnessa https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/ripensare-leducazione-nella-civilta-iperconnessa-cosa-significa/ via Agenda Digitale
Ri-allargando lo sguardo…
“Il pericolo serio e concreto è quello di continuare a interpretare ed affrontare questa crisi, così drammatica, affidandosi a spiegazioni riduzionistiche e deterministiche e, contemporaneamente, sottovalutando la “questione culturale” e uno dei grandi “mali” del nostro tempo, ad essa correlato: l’indifferenza” Con tutti i rischi legati alla “ricerca ossessiva della semplificazione” (valore importante ma non “assoluto”, come provo a spiegare fin dalla metà degli anni Novanta), che talvolta/spesso coincide con il navigare in superficie senza… immergersi nella (iper)complessità dei problemi e della vita. (Dominici, 1995, 1998 e sgg.).
La crisi contemporanea, infatti, riguarda da vicino i sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo, le credenze e le pratiche condivise, i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione su cui, non soltanto si fonda il legame sociale, ma poggia l’idea stessa di civiltà, di Persona, di dignità umana, di cittadinanza e di democrazia” (cit.).
L’ipercomplessità e una crisi non soltanto economica. Ripensare il sapere e lo spazio relazionale
Next Learning “Piero Dominici: viaggio nel territorio della complessità e della cittadinanza”
Rinvio anche a:
La società asimmetrica* e la centralità della “questione culturale”: le resistenze al cambiamento e le “leve” per innescarlo (Il Sole 24Ore, 2015) https://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2015/09/23/la-societa-asimmetrica-e-la-centralita-della-questione-culturale-le-resistenze-al-cambiamento-e-le-leve-per-innescarlo/
L’educazione (e/è la democrazia) … tra conformismi e propensione all’accodamento culturale
_________________________________________________________
E già…ogni volta ci si torna…forse un giorno ce la faremo…piano piano.
Potrei ri-condividere come altri (non tanti, per la verità…) decine di articoli e saggi su tali questioni (cruciali)…ogni volta sembra che se ne prenda atto e/o che, chi lo sostenga, affermi qualcosa di rivoluzionario…ma, poi, si prosegue nelle direzioni di sempre!
La Scuola, l’Università, l’Educazione, la #Cultura “al centro”, il “Nuovo Umanesimo”, lo “Human Centric Approach” (concetti e termini in inglese, non da oggi, sempre utili e funzionali per restituire originalità e portata rivoluzionaria a temi e questioni che, evidentemente, non ce l’hanno) parole, concetti, definizioni, argomentazioni, che, a forze di ripeterle sono diventate – come spesso capita – degli slogan, delle parole-etichetta che non hanno mai trovato una loro concreta traduzione operativa; sembra che il tempo non sia mai passato…
Come scrivevo anni fa: «E, da sempre, una Scuola diseguale e non di “qualità” è il prerequisito e la miglior garanzia di definire, alimentare e riprodurre una società diseguale e, appunto, asimmetrica. L’impressione talvolta è quella di dirigerci in maniera lenta, ma inesorabile, verso una società dell’ignoranza (2009) incardinata su un modello feudale che prevede una mobilità sociale esclusivamente di tipo orizzontale. Tali questioni si vanno ad aggiungere alla ben nota correlazione esistente tra educazione e innovazione, tra educazione e inclusione, tra educazione e democrazia. Con tutti i rischi e le opportunità che la civiltà ipertecnologica porta con sé; su tutti quello della “delega in bianco” alla tecnologia rispetto alle questioni, assolutamente vitali per i sistemi sociali e le organizzazioni, riguardanti il controllo, la razionalità, la protezione, la sicurezza, la fiducia, il legame sociale. Nello sviluppare i suddetti punti, non possiamo fare a meno di considerare tutta una serie di fattori e criticità che intercettano livelli di analisi e intervento differenti non più trascurabili:
- l’assenza di un sistema di pensiero e di una visione sistemica e la contemporanea sottovalutazione della importanza della ricerca sul pensiero e sull’educazione;
- l’assenza di politiche (lungo periodo) relative all’istruzione, all’educazione, alla formazione, alla ricerca;
- l’inconsistenza e l’inadeguatezza degli investimenti in istruzione, educazione, formazione e ricerca (OCSE, ISTAT etc.);
- istruzione, educazione, formazione e ricerca, stentano ancora ad essere riconosciute (concretamente) e percepite come la vera infrastruttura del cambiamento e di un’innovazione che non può essere per pochi;
- Scuola e Università continuano ad essere pensate, immaginate, progettate, come entità separate;
- l’assenza di politiche di orientamento, totalmente delegate a pratiche di marketing;
- il trionfo del principio ingannevole dell’utilità dei saperi e della conoscenza;
- l’errore di continuare a rincorrere il mercato e le imprese, in un’epoca di rapida obsolescenza di tutte le conoscenze, le competenze, i profili formativi e professionali;
- il dominio e l’egemonia di una cultura della standardizzazione[1] che pervade tutta la cultura della valutazione e della comunicazione; »
Economia e/vs Società …Società ed Economia (…dico sempre: sulle spalle dei giganti, con problemi di vertigini) …Vecchie e “false dicotomie”.
Sullo sfondo, quello che ho definito, in tempi non sospetti, “l’errore degli errori”.
https://www.festivalcomplessita.it/la-complessita-della-complessita-e-lerrore-degli-errori/ saggio per TRECCANI, ripreso dal sito del Festival della Complessità.
__________
Ri-condivido soltanto alcuni articoli e saggi, senza andare troppo indietro nel tempo (p.e. agli anni Novanta):
La CULTURA: “motore” del cambiamento e agente di cittadinanza. L’importanza di una visione sistemica (2015) – prima versione più asciutta è stata pubblicata su Il Sole 24 Ore nel 2014 (nei vari formati)
La “questione culturale” e il problema della responsabilità: il ruolo strategico di scuola e istruzione. In cerca di “teste ben fatte” (2014)
Educazione, perché è necessaria una #innovazione inclusiva – (vecchio contributo) un approccio e percorsi di #ricerca dal’95 #CitaregliAutori #MIUR #scuola #università (2016)
“Piero Dominici: viaggio nel territorio della complessità e della cittadinanza” via #NextLearning (conversazione in più episodi con il prof. Gianfranco Marini) (2017)
__________
Da una vecchia definizione ….
Come sempre, senza “tempi di lettura”
NB: Il testo è ricco di link e collegamenti ipertestuali e presenta, come sempre, dei percorsi bibliografici di approfondimento.
“L’innovazione è un tema cruciale per far fronte alle sfide della società ipercomplessa e della rivoluzione digitale, ma l’innovazione deve essere inclusiva e costruita dal basso e attraverso la negoziazione e può realizzarsi solo se fondata su sull’educazione e la formazione. Quando l’innovazione è calata dall’alto e segue vie esclusivamente legislative i rischi sono quelli di una “cittadinanza illusoria” e di una “innovazione tecnologica” senza cultura”. (cit. 1996 e sgg.)
Una riflessione (e un’analisi) che non può non partire da alcuni brani estratti dalla recente pubblicazione del “Rapporto Istat sulla Conoscenza 2018” e da alcune premesse fondamentali che, purtroppo, non possono mai essere date per scontate.
“Nella società ipercomplessa, la strategia è saltare le separazioni”
Research since 1995: https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4#Sec6
N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui. Le citazioni si fanno, in primo luogo, per correttezza e, in secondo luogo, perché il nostro lavoro (la nostra produzione intellettuale) è sempre il risultato del lavoro di tante “persone” che, come NOI, studiano e fanno ricerca, aiutandoci anche ad essere creativi e originali, orientando le nostre ipotesi di lavoro.
I testi che condivido sono il frutto di lavoro (passione!) e ricerche e, come avrete notato, sono sempre ricchi di citazioni. Continuo a registrare, con rammarico e una certa perplessità, come tale modo di procedere, che dovrebbe caratterizzare tutta la produzione intellettuale (non soltanto quella scientifica e/o accademica), sia sempre meno praticata e frequente in molti Autori e studiosi.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle tante scorrettezze ricevute in questi anni. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da vent’anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede.
Buona riflessione!
Immagine: opera di Jacek Yerka